La Sonata in sol maggiore K. 146 appartiene a quelle Sonate "in più facile stile" che, in strutture brevi e regolari, rinunciano a espedienti virtuosistici: la Sonata K. 146 si giova così di una scrittura prevalentemente a due voci, ma la condotta spesso per moto congiunto dà luogo a scale e arpeggi di due ottave che consentono verve e brio all'esecuzione.
La Sonata K. 146 rischia quasi di apparire banale e consueta: una «normale» sonata di tipo cembalistico, brillante e virtuosistica, gradevole nel suo insieme, ma nulla di più. E in effetti così è, tutto sommato, anche se non sarebbe giusto passare sotto silenzio la «trovata» della rapida alternanza delle due mani che ripetono lo stesso disegno di semitono ascendente, trasformandolo in una sorta di trillo: una «trovata» che come tante altre di questo genere verrà sistematizzata soltanto un cinquantennio più tardi, grazie all'opera dei grandi didatti del pianoforte che agirono a cavallo tra Sette e Ottocento, primo fra tutti Muzio Clementi.
Franco Sgrignoli