Concerto n. 1 in la minore per violoncello e orchestra, op. 33


Musica: Camille Saint-Saëns (1835 - 1921)
  1. Allegro non troppo
  2. Allegretto con moto
  3. Un peu moins vite
Organico: violoncello solista, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: novembre 1872
Prima esecuzione: Parigi, Salle de Concert du Conservatoire Nationale de Musique, 19 gennaio 1873
Edizione: Durand, Schoenewerk & Cie., Parigi, 1873
Dedica: Auguste Tolbecque
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Camille Saint-Saëns coltivò la forma classica, ma contemporaneamente non fu mai indifferente alle correnti del suo tempo. Padrone delle strutture classico-romantiche, ma pure sensibile osservatore delle novità espresse dalla musica di fine Ottocento, abile sinfonista, conosceva perfettamente la tecnica «di mestiere» del contrappunto e sapeva valorizzare al meglio l'eredità dei grandi maestri del passato; allo stesso tempo non volle certo mai rinunciare al gusto per la fantasia dello scrivere: amava la linea melodica penetrante ed efficace, il gusto per l'originale impasto timbrico, per il bel color orchestrale; tutti elementi così ben espressi dalla musica francese del periodo, ma pure tangibili nelle sue composizioni. Ma altri aspetti spiccano particolarmente nella sua arte: nel così eterogeneo repertorio sinfonico troviamo ad esempio elementi di contaminazione dei generi, essendo egli pure valente operista oltre che autore di notevole musica strumentale. Uomo legato al bel canto - gli studi di gioventù gli avevano permesso di avvicinarsi alle opere di Meyerbeer, Berlioz, all'opera italiana - ma anche all'opera classica con il valore delle sue arie e dei brani d'assieme, nel suo particolarissimo stile sincretico sapeva ben sussumere la complessità e l'articolazione di una variegata esperienza artistica. Sono tutti questi tratti che, in un certo senso traspaiono ed emergono anche nel Concerto n. 1 in la minore per violoncello e orchestra, opera che gli valse la considerazione di molti per l'originalità e la vivacità d'ispirazione. Nella sintesi di uno stile suo peculiare, Saint-Saëns espresse le proprie idee con un'impronta personale, in uno stile, diremmo, del tutto sui generis.

Dal punto di vista delle strutture, il Concerto in la minore è caratterizzato sostanzialmente da un unico, grande movimento sinfonico all'interno del quale, però, convivono tre singole sezioni (separate dall'autore da doppia barra di battuta), però combinate tra di loro ordinatamente in tre veri e propri movimenti che rispettano sostanzialmente i canoni della normale forma da concerto. È un'articolazione della forma che riflette quella del Concerto per violoncello di Schumann e del Concerto per violino di Mendelssohn, un modo di procedere informale rispetto ai modelli. Si succedono, così, un primo tempo in forma-sonata, un secondo costituito da un minuetto con trio, un terzo in forma Lied tripartita. Ogni sezione risulta dunque autonoma, ma contemporaneamente - e sta qui la testimonianza della grande arte equilibratrice della forma di Saint-Saëns - permeabile rispetto alle altre e a esse collegata: ad esempio, l'Allegro non troppo iniziale si apre con una prima sezione in forma-sonata, con un'Esposizione, uno Sviluppo e una parziale Ripresa (del secondo tema). La seconda sezione, Allegretto con moto, presenta «regolarmente» i propri nuclei tematici, ma si conclude con l'inaspettata ripresa anche del Tempo I (ovvero l'Allegro non troppo d'apertura); la terza, Un peu moins vite, è un'altra linea di moderata discontinuità rispetto a ciò che precede - con elementi tematici nuovi rispetto a quelli già espressi - ma ancora una volta conclude sorprendentemente il suo arco con il ritorno del primo tempo, tanto che Saint-Saëns sottolinea «Più allegro comme le prèmier mouvement», enfatizzando così il ritorno dell'impetuoso tema che aveva aperto e, di fatto, contrassegnato l'intero concerto. Alla fine l'effetto d'insieme è mirabile: l'opera spicca per il suo classicismo formale e per il suo senso dell'equilibrio perfetto; con i suoi scorrimenti strutturali, con i suoi rimandi, funziona infatti da efficace architettura aperta e permette al compositore di usare tutti i tratti della propria penna d'artista senza perdere in sostanza: è carica di temi vigorosi e di zone d'ombra, di motivi perentori così come di arie d'opera di toccante levità; spicca per la scelta felice della modulazione, per l'uso del tecnicismo non fine a se stesso, per la calibrata alternanza tra solista e gruppo orchestrale, senza che mai l'uno sopravanzi sull'altro. Ogni attore è protagonista di se stesso e getta una luce di assoluto primo piano sulla vicenda narrata senza remore, né pregiudizi. Percepiamo una sostanziale spontaneità nel gesto sonoro e uno stile immediato di rara freschezza.

Se guardiamo al primo movimento (Allegro non troppo), notiamo ad esempio come il violoncello compaia subito insieme all'orchestra nell'enunciazione della linea tematica, irrompendo letteralmente sulla scena con un gesto di plateale, smaccata teatralità: bruschi salti, accenti, tremoli orchestrali, ansanti appoggiature (composte da un inciso caratterizzante il tema e pure della massima importanza per tutta l'opera), volate verso l'alto, improvvisi crolli verticali. Tutto concorre a disegnare una scena carica di pathos e di sentito drammatismo, dove il solista spicca per la sua plastica immediatezza e l'orchestra non sfigura, poiché a sua volta si appropria delle idee del solista e le espone in un unico tessuto connettivo, fatto di dialoghi partecipati e coinvolgenti; e quando il solista riprende il filo del discorso, lo fa per riannodare le fila dell'Esposizione in una ripresa tematica che ora cambia funzione e si trasforma in una deliziosa frase di collegamento. È il segnale per la presentazione del secondo tema, cui però Saint-Saëns pare proprio non voler far prender forma: lo sentiamo infatti solo per pochi istanti, un'oasi lirica appena accennata dal violoncello e poi volutamente lasciata sospesa, come irrisolta. La tinta di fondo è infatti quella dell'inquieto vivere e Saint-Saëns preferisce lasciarsi trascinare dal vortice del primo tema, che torna brevemente ma efficacemente con l'Epilogo, dando poi a sua volta la spinta per il primo, vero episodio tecnico del solista, un turbinoso Animato che infine letteralmente si infrange sull'elegante coda orchestrale di chiusa. Sono dunque bastate poche battute musicali a Saint-Saëns per tratteggiare il suo sgargiante quadro sonoro, uno scenario carico di colori e di impressioni vivide e ficcanti. Tanto che risulta assolutamente una logica conseguenza la costruzione di uno Sviluppo (Tempo I) dove ancora una volta emerge centrale la figura motivica del primo tema, che qui però colpisce per la restituzione sonora che Saint-Saëns ce ne dà: questa volta l'ondulato primo tema è inserito in un grande quadro d'assieme carico di nuove idee e sfumature che s'intersecano l'una nell'altra, mentre l'orchestra appare come un eletto laboratorio della fantasia dove si forgiano sempre nuove impressioni, in uno stile che richiama le grandi parafrasi e fantasie dell'Ottocento strumentale, nello stile rapsodico di Liszt e di Brahms. Il primo tema si è trasfigurato ora in un motivo tzigano, sottoposto com'è a segmentazioni, varianti, spostamenti ritmici che ne mutano i contorni e le impressioni, mentre il tono di fondo è divienuto improvvisamente più solenne, epico. E anche il secondo tema appare trasmutato: questa volta Saint-Saëns non lo lascia «incompiuto», presentandocelo completo in tutto il suo bell'arco. Lo conclude infine nella solinga, pacata frase di violoncello e orchestra in funzione di cerniera melodica: così si stende un commosso silenzio sul quadro appena disegnato.

È come un segnale: la linea di cesura apre il secondo grande quadro tratteggiato da Saint-Saëns nel suo Concerto, un grazioso Minuetto (Allegretto con moto) introdotto dagli archi attraverso un leggiadro motivo di danza che costituisce la prima idea principale; il cello intona un delicato controcanto che prima precede e poi si sovrappone al nuovo sopraggiungere del tema di danza: sono bastati questi brevi passaggi per comunicare sensazioni, idee di pacata letizia, tanto che ora percepiamo la contiguità ideale tra il secondo tema della prima sezione (che era stato appena sviluppato da Saint-Saëns in toto) e questo nuovo elemento di particolare grazia. Presto vi subentra una seconda idea (in funzione di Trio) che corrisponde a una sorta di tema di valzer d'afflato romantico: l'orchestra appoggia morbidi rintocchi al basso, mentre il violoncello intona una dolce melodia ispirata e carica di trasporto. Poi una frase di coda suggella questa scena incantata soffermandosi su iridescenti giochi in chiaroscuro orchestrale, lasciando infine la voce al cello, che compie un breve passo solistico come ponte di collegamento. È un momento magico della partitura di Saint-Saëns: il trillo vibrante del violoncello riapre i giochi con il ritorno ciclico del tema di Minuetto, questa volta ripreso in orchestra con qualche variante e poi più profondamente sviluppato in uno scambio cello-orchestra che ora, rispetto a prima, è se possibile ancor più convinto e si concretizza in un dialogo caldo e avvincente. Dopo la Coda dell'Allegretto con moto, costruita sul contorno melodico del tema principale del Minuetto e spenta sulla declinante, ombrosa frase del violoncello, irrompe però, inaspettato, di nuovo il tema principale della prima sezione, l'Allegro non troppo, ancora una volta in una veste soprendentemente differente rispetto alle precedenti apparizioni: qui il compositore lo presenta arricchito e reso consistente dal colore sgargiante dei fiati, esposto dall'oboe e sostenuto da clarinetti, fagotti e corni in un impasto orchestrale di ottoni - quasi una banda - dallo spiccato sapore operistico: come se si aprisse un sipario d'opera, come una meravigliosa sinfonia «avanti all'opera». Si tratta di una Ripresa variata della precedente sezione di Sviluppo, là dove il tema principale del primo tempo era apparso elaborato in veste parossistica; tuttavia qui il tono di fondo è proprio diverso, e l'agitazione è tale che questa «operistica» ripresa tematica pare proprio voler affannosamente concludersi nell'ansante respiro di orchestra-violoncello - in realtà l'inciso in forma di appoggiatura caratterizzante il primo tema - che funziona da emozionata frase di chiusa. È qui che Saint-Saëns può dar fondo alla sua fantasia, lasciando a questo punto esprimere al massimo grado la propria sensibilità nei riguardi di uno stile vocale davvero esibito.

Ecco infatti aprirsi la terza sezione del Concerto, indicata nel tempo Un peu moins vite, e stagliarsi come d'incanto la linea vellutata di un primo tema che richiama una dolcissima aria d'opera. È sorprendente, ma esistono nette relazioni melodiche e ritmiche con il tema principale della prima sezione: eppure quasi non le riconosciamo più, allargati come sono i tempi, ammorbiditi come sono, nel cesello «vocale» e nel sogno lirico, i toni. Prevale invece una linea sfumata, e l'atmosfera si stempera in un sogno notturno senza tempo, dove il tema è affidato al cello, mentre l'orchestra lo sostiene con commossi accenti, rispondendo coralmente, scossa da tale ispirata melodia, e aprendo la strada a un funambolico quanto ubriacante intervento del solista, con una serie di virtuosistici scambi tra i due attori centrali sulla scena. Il secondo tema è una melodia intensa tracciata dal violoncello, sostenuta da piccoli riverberi armonici orchestrali (elementi ricavati dalla precedente coda), che paiono incantevoli bagliori notturnali. Mentre questa voce carica di devota spiritualità procede, man mano si solleva verso l'alto, lasciando una traccia arcuata e ascendente, con archi e fiati che schiudono empirei scenari su diafane armonie. Il tempo si ferma, perso in questa musica «divina», come cristallizzato nell'ascolto di un'aurea melodia dai toni celestiali. Sull'ultimo rintocco l'orchestra si fa avanti, illuminando d'un tratto la scena e aprendo un altro, movimentato passo del solista, similmente a quanto era successo in precedenza. Dopo la ripresa del tema vocalistico, sul finale, imprevedibilmente, non c'è la classica cadenza conclusiva di frase, ma una risoluzione eccezionale, che letteralmente fa scivolare il piano su armonie più instabili e accidentate. È l'Epilogo, con la nuova ripresa del primo tema principale dell'Allegro non troppo, che ora, dentro a questo agitato, artificioso addensarsi armonico, ci restituisce temperie squisitamente romantiche: vero e proprio Leitmotiv del Concerto, dunque, messo a chiusura di ogni sezione nella prima parte e nella seconda; e qui come cardine strutturale. La breve inserzione del Molto Allegro è l'appendice del Concerto, un'efficace coda altisonante ricavata da un precedente episodio (prima in tempo Allegro molto) e seguita da un'ultima, accorata frase solistica di commiato del violoncello.

Marino Mora

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Negli ultimi anni dell'Ottocento si fece sempre più concreta la possibilità che il sistema tonale e le sue forme storiche andassero incontro a una saturazione espressiva e quindi a un loro dissolvimento. Il momento disgregativo, cui seguirà poi un'era di sperimentazione sonora, fu però preceduto da un fenomeno che potremmo definire come recupero 'riassuntivo' del passato. Tale fenomeno diede origine a sincretismi interessanti e originali, e Camille Saint-Saëns fu con ogni probabilità il migliore esponente di questa tendenza in Francia. La sua attività, come quella di altri compositori francesi suoi contemporanei, fu caratterizzata da una forte propensione stilistica all'eclettismo.

La tradizione nazionale, patrimonio enorme osservabile da infinite prospettive, poteva servire come chiave per dare linfa e corpo a una modernità che rischiava di scivolare nel buco nero della comunicazione o che poteva finire schiacciata da novltà estranee al linguaggio 'autoctono', Sotto questa luce è infatti de leggere anche la fondazione, nel 1871 a Parigi, della Sociète Nationalede Musique, il cui motto "ars gallica" è emblematico della volontà di contrapporre alla moda tedesca il valore della tradizione francese. Non a caso, anima dell'iniziativa fu proprio Saint-Saëns.

Tuttavia, che tale fenomeno di rivalutazione e rielaborazione del passato fosse espressione di un'elite musicale e di una piccola parte del pubblico colto ce lo testimonia il fatto che Saint-Saëns non fu molto apprezzato dai suoi contemporanei come compositore. Grande virtuoso di pianoforte e d'organo già in giovanissima età, mantenne questo ruolo fino ai primi anni del Novecento. La vite concertistica lo portò in giro per il mondo intero (Egitto, Argentina, Stati Uniti, Grecia, India) rendendolo celebre. La produzione per solista e orchestra, principalmente per il pianoforte, ma anche per violino e violoncello, occupa dunque discreta parte del catalogo delle sue composizioni.

Il Concerto per violoncello e orchestra in la minore op. 33 fu composto tra il 1872 e il 1873. All'apparenza è in un unico movimento sinfonico, ma in realtà il Concerto è suddiviso in tre tempi veri e propri fra i quali però non è prevista pausa. L'omaggio formale palese è a Franz Liszt, sperimentatore della 'forma ciclica', tecnica basata sulla mutazione costante del materiale tematico che riappare quindi in tutti e tre i tempi. Tale struttura formale permette però di conservare le tensioni tipiche della vecchia 'forma sonata' (quella con cui Mozart, Haydn e Beethoven costruivano grosso modo le loro composizioni). Se da una parte dunque c'è il rispetto per le forme classiche, dall'altra c'è il gusto per la libertà creativa, la ricerca del colore e dell'impasto timbrico, la melodia insolita, l'interazione con forme ancora più antiche. Si ascolti il tempo centrale del Concerto, Allegretto con moto, riconoscibile grazie alla comparsa di un Minuetto che fa da sipario all'entrata del violoncelli e che si aggiunge poi all'insieme con un controcanto. Tale ultimo tema del solista evolve velocemente in un valzer creando un'ambigua sfasatura della percezione storica che è forse la cifra creativa migliore di Saint-Saëns. Lo stesso accade quando il violoncello sembra preparare la scena dei suoni per l'entrata di un solista di canto. Ciò si nota subilo all'inizio del Concerto: il primo tema ricorda una scena d'opera in un momento d'alto sapore drammatico. Lo stesso accade all'inizio del terzo tempo: qui il violoncello incarna un ruolo vocale in una dimensione sempre operistica, ma più distesa e lirica (non a caso una 'forma-lied'). Almeno per questo Concerto, il teatro d'opera e i suoi 'atteggiamenti' orchestrali sembrano proprio fare da collante all'eclettismo della partitura. L'influenza della realtà operistica era in ogni modo enorme nella vita parigina dell'epoca. Lo stesso Saint-Saëns ci darà un capolavoro in questo ambito con il Samson et Dalila del 1877. Non mancano tuttavia le caratteristiche del virtuosismo prettamente strumentale, soprattutto nei passi più funambolici del terzo tempo. Colpisce poi l'estrema raffinatezza dell'orchestrazione, principalmente per la creazione di affascinanti chiaroscuri che mettono l'autore in contatto con le tendenze più innovative della musica francese dell'epoca (soprattutto Ravel). Per questo aspetto, e per la superba capacità di giocare con la storia delle forme musicali, dando vita a stranianti impasti percettivi, Saint-Saëns finì per aggiungere un tassello importante alla costruzione del futuro musicale.

Simone Ciolfi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Camille Saint-Saëns ha avuto «la gloria di diventare, ancora vivente, un classico». Così Romain Rolland iniziando il suo sudio sul musicista francese (Parigi 1835, Algeri 1921). E veramente pochi compositori ebbero la sodisfazione di vedersi, come lo potè il Saint-Saëns, sia pure dopo un inizio un po' freddo e riserbato, onorati, festeggiati e riconosciuti come esponenti maggiori di una scuola nazionale. Soltanto la «scoperta» di Franck, il Franck del Quartetto e delle «Béatitudes», portò, con il confronto, un non lieve riesame della posizione di Saint-Saëns, posizione però che oggi i suoi esegeti tendono a riconfermare, specialmente a ragione di alcuni «caratteri generali» abbastanza positivi: la naturalezza del discorso musicale (che sembra emulare, e forse realmente lo può, se si prescinda dal valore umano dei concetti manifestati, quella d'un Mozart); naturalezza che giustifica la prodigiosa fecondità. Tra le 169 opere numerate e la quarantina fuori numerazione sono molti concerti per pianoforte, violino e violoncello, di cui quello in la minore, è il più noto ed eseguito. Dire che in questo concerto echeggino reminiscenze di quelle terre di sole e di luce ove il musicista cercava ristoro alla sua salute malferma, si rievochino paesaggi smaglianti di policromia, vorrebbe forse dire cose vere ma inutili alla comprensione della composizione che, nella sua chiarissima costruzione e nella sua assoluta assenza di ogni esibizionismo, non è altro, come non vuol essere altro, che un mirabile, lucidissimo discorso musicale.

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Un riuscito esempio di stile sincretico: ecco in una parola il senso più autentico del Concerto per violoncello n. 1 in la minore di Saint-Saëns, una delle opere più rappresentative dello stile originale dell'artista francese. Da una parte il riferimento ai grandi maestri del passato, visibile nel rispetto della forma e delle tecniche classiche, dall'altra il gusto per la libertà creativa, il piacere e la ricerca del colore, della linea melodica forbita, dell'impasto timbrico. E poi la citazione dell'opera lirica, con il ricorso a uno stile vocale esplicitamente esibito, anche nei lavori strumentali come questo, che non nasconde, nell'uso particolare riservato alla melodia rotonda del violoncello, piegata, forgiata, resa di volta in volta palpitante dalle più sottili inflessioni e sfumature interpretative, l'amore per il bel canto. Composto «sulla carta» come un unico movimento sinfonico, è in realtà costituito da tre veri e propri tempi - ben riconoscibili dai temi e dalle strutture interne differenti - che seguono la classica articolazione della forma concerto, semplicemente separati da una doppia barra di battuta. Ma è un po' questa la sorprendente soluzione escogitata dall'autore: una «forma aperta», in cui ogni sezione risulta autonoma eppure permeabile rispetto alle altre. Dopo l'Allegro non troppo iniziale, nella canonica forma-sonata con la sequenza di Esposizione, Sviluppo e (parziale) Ripresa tematica, ecco seguire la seconda sezione, Allegretto con moto, che si chiude con l'inaspettata ripresa del Tempo I (cioè l'Allegro non troppo d'apertura); infine giunge la terza, Un peu molns vite, con l'inserzione di nuovi elementi tematici e l'ennesimo ritorno dell'impetuoso primo tema che aveva aperto il Concerto, tanto che Saint-Saëns sottolinea quasi con enfasi «Più allegro comme le premier mouvement». Classicismo formale ed elasticità architettonica, riferimenti e rimandi, costituiscono dunque la tecnica seguita per assemblare l'opera, che spicca per il suo perfetto stato di equilibrio; in essa violoncello e orchestra sono co-protagonisti di un grande quadro d'assieme dai toni intensi, mossi, vivaci, sul filo ideale dell'inquieto vivere.

Nel primo movimento (Allegro non troppo), ad esempio, il violoncello irrompe sulla scena con un gesto plateale di smaccata teatralità in cui enuncia, insieme all'orchestra, la linea tematica: si disegna un'immagine carica di pathos in cui il solista brilla per la sua plastica immediatezza e l'orchestra non sfigura, perché a sua volta si appropria delle idee del «solo» esponendole in un unico tessuto connettivo fatto di brevi dialoghi partecipati e coinvolgenti. Il secondo tema è appena accennato e pare non voler prender forma: lo si sente pochi istanti al violoncello, elemento dolce e sognante che, una volta iniziato, è lasciato sospeso, irrisolto. La tinta di fondo, infatti, è di polo opposto, e Saint-Saëns preferisce tornare al vortice sonoro del primo tema, che infatti subentra nell'Epilogo e conduce al turbinoso Animato, un passo molto tecnico del solista. Anche nello Sviluppo è il primo tema a prevalere, ma proposto in una versione totalmente diversa, dai toni epici e un po' fantastici, alla maniera delle grandi fantasie e parafrasi ottocentesche, sottoposto com'è a segmentazioni, varianti, spostamenti ritmici che ne mutano ogni volta forma e contorni. Dopo una parziale ripresa ancora del primo tema ecco la svolta: torna il secondo tema, ma questa volta Saint-Saëns non lo lascia a metà strada, incompiuto, e lo presenta nel suo arco completo, intonato dalla voce incantata e solitaria del cello: così sulla scena si stende un commosso quadro di assorto silenzio.

Il secondo affresco tratteggiato da Saint-Saëns è un gentile Allegretto con moto in forma di minuetto, il cui motivo principale è costituito da un leggiadro motivo di danza; percepiamo subito la continuità con quel secondo tema della prima sezione che lo aveva appena preceduto, così come il sopraggiungere della melodia di valzer (in funzione di Trio) spicca per quel suo profilo di squisita affabilità, per quel senso di tenera immediatezza sentimentale che richiama romantici notturni. Il quadro è davvero cambiato, ora, con una frase di coda affidata al violoncello che lascia trasparire un sottile, raffinato gioco di chiaroscuri orchestrali, di iridescenti riflessi timbrici. È come se il tempo si fermasse, mentre il trillo del solista che coincide con la Ripresa del tema principale introduce nuove, coloristiche varianti estendendo all'orchestra un senso di partecipata commozione che solo lentamente si spegne nella coda, anch'essa ritagliata sul calco del tema di danza. Chi mai si aspetterebbe, proprio ora, un improvviso ritorno del tema che aveva aperto il Concerto? Ma così è, ed ecco di colpo irrompere sulla scena il sibilante Leitmotiv dell'Allegro non troppo, ancora una volta in una veste sorprendentemente differente rispetto alle precedenti apparizioni: qui il compositore lo presenta ispessito nel colore sgargiante dei fiati, attraverso un impasto di ottoni che fa pensare davvero a una movimentata e travolgente ouverture operistica.

Si apre cosi, dopo un simile, rutilante preambolo la terza sezione del Concerto, in tempo Un peu moins vite, dove Saint-Saëns può effettivamente esprimere al massimo grado la sua fantasia, nel senso di uno stile vocale candidamente esibito. Ecco, infatti, farsi avanti la linea melodica di un primo tema che richiama un'appassionata aria d'opera, intonato dal violoncello e sostenuto da commossi appoggi d'accompagnamento. Scossa da tale ispirata melodia, l'orchestra risponde coralmente, avviando un impegnativo passo virtuosistico del solista. Il secondo tema è una melodia «patetica» del violoncello punteggiata da piccoli riverberi armonici orchestrali che paiono incantevoli bagliori notturni; man mano che procede traccia una lunga, arcuata linea verso l'alto, sollevando poco alla volta il piano dell'eloquio, mentre archi e fiati dischiudono empirei scenari su cristalline armonie. Si sprigiona una sorta di «armonia delle sfere», di musica «divina» di devota spiritualità. Solo sull'ultimo rintocco l'orchestra si fa avanti, illuminando la scena e aprendo un nuovo, movimentato passo per il solista. Dopo la ripresa del tema vocale, nella parte finale imprevedibilmente compare una risoluzione su di una cadenza evitata, che fa scivolare il discorso su armonie nuove e instabili. È l'Epilogo, con la nuova ripresa del primo tema principale dell'Allegro non troppo; qui però, addensato attorno ad armonie più scure, agitate, ci restituisce una temperie squisitamente romantica. Vero e proprio Leitmotiv del Concerto, dunque, messo a cardine strutturale di ogni sezione: nella prima parte, nella seconda, nella terza. L'inserzione del Molto Allegro è la vera e propria appendice finale del Concerto, un'efficace coda a effetto ricavata da un precedente episodio (in tempo Allegro molto) e proseguita da un'ultima, definitiva frase del violoncello che così, in toni brillanti e solenni, si accomiata.

Marino Mora


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 149 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 12 maggio 2007
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 1 dicembre 1980
(4) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 164 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 5 febbraio 2017