Concerto per pianoforte n. 5 in fa maggiore "Egyptian", op. 103


Musica: Camille Saint-Saëns (1835 - 1921)
  1. Allegro animato
  2. Andante
  3. Molto allegro
Organico: pianoforte solista, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, tam-tam, archi
Composizione: Cairo, marzo - aprile 1896
Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 2 giugno 1896
Edizione: Durand & Fils, Parigi, 1896
Dedica: Louis Diémer
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

"Numerose voci hanno proclamato Saint-Saëns il più grande musicista del suo tempo. Durante la prima metà della sua lunga carriera, fu, tuttavia, contemporaneo di Berlioz e di Gounod. Non sarebbe più esatto, e non meno glorioso, designarlo come il musicista più "completo" che in Francia abbiamo mai posseduto? Il suo sapere che non conosce limiti, la sua prestigiosa tecnica, la sua sensibilità chiara e raffinata, la sua coscienza, la varietà ed il numero stupefacente delle sue opere non giustificano forse questo titolo che lo rende riconoscibile per sempre? Per precisare la parte dovuta a Saint-Saëns nel movimento musicale di questi ultimi sessantanni, è indispensabile rappresentarsi le condizioni nelle quali si esercitava allora la nostra arte. Il pubblico di quel tempo non si interessava che alla musica di teatro e la fama non si poteva conquistare che attraverso il teatro. E allora quale influenza attribuire a questo gusto, a questa irresistibile inclinazione per la musica pura che Saint-Saëns manifestò immediatamente, se non il fatto che erano innati e che egli li aveva straordinariamente sviluppati con uno studio profondo ed appassionato dei grandi classici? ... Dopo il 1870, in stretta collaborazione con Lalo e Franck, Saint-Saëns fondò la Societé Nationale. Non saprei in poche righe calcolare l'enorme portata di un'istituzione che seppe, in pochissimo tempo, raggruppare i migliori elementi della musica francese (da Chabrier a Debussy, da d'Indy a Duparc, da Dukas a Messager ecc.). ... Si deve riconoscere che l'idea di creare un centro nel quale la Sinfonia, il Quartetto, la Sonata, il Canto, in una parola tutte le forme della musica pura potessero manifestarsi, appartiene a Saint-Saëns". Con questi concetti Gabriel Fauré, che di Saint-Saëns fu allievo ricordò il maestro nell'ora della scomparsa. Quanto ai caratteri della sua produzione, con altrettanta verità, riconobbe: "Sono sempre rimasto insensibile all'opinione troppo sommaria, secondo la quale nella musica di Saint-Saëns il cervello ha una parte maggiore del cuore... Certo, in Saint-Saëns, regnano fianco a fianco la serietà, lo spirito, il fascino, la tenerezza sorridente" (1921).

Talento poliedrico - oltre che alla musica, gli interessi di Saint-Saëns andarono alla letteratura, alle scienze fisiche e matematiche, all'archeologia e all'astronomìa - Saint-Saëns godette di notevole fama in tutto il mondo come concertista di pianoforte, con un repertorio che comprendeva Bach, Händel, Mozart, Beethoven, Mendelssohn, Schumann, spaziando dal barocco al romanticismo con una continuità di affermazioni artistiche di strepitoso risalto internazionale.

Ultimo del ciclo dei suoi Concerti per pianoforte e orchestra il Concerto in fa maggiore, a vent'anni di distanza dal Concerto in do minore che il 31 ottobre 1875 aveva inaugurato i Concerts Colonne, fu in gran parte composto nel 1895 durante un soggiorno del musicista a Luxor - da cui il sottotitolo "l'egiziano" o "l'orientale", in riferimento anche alla presenza, nel tessuto del lavoro, di spunti armonici e ritmici d'ascendenza mediorientale. La prima esecuzione assoluta del Quinto Concerto ebbe luogo a Parigi il 2 giugno 1896 in occasione d'una manifestazione celebrativa dei cinquantanni del debutto di Saint-Saëns, decenne enfant-prodige nel 1846, nella medesima Salle Pleyel ove aveva esordito suonando Mozart; nel corso della medesima serata, diretta da Taffarel, Pablo Sarasate fu l'interprete del Concerto in si minore op. 61, a lui dedicato da Saint-Saëns.

Articolato nella consueta struttura in tre movimenti della tradizione classica, il Quinto Concerto prende l'avvio con l'Allegro animato in fa maggiore 3/4, ove la prima idea viene enunciata dal solista in un'atmosfera fluida e trasparente sui pizzicati degli archi che, a loro volta, quando riprendono questo tema, sono accompagnati da una fitta gamma d'ornamenti e d'arpeggi del pianoforte. In un clima cullante fa poi la comparsa la seconda idea in re minore, essa pure intonata dal solista con atteggiamenti melodici più capricciosi che conducono l'andamento musicale, secondo una continua progressione, ad un vertice d'esaltazione lirica, ove si coglie, tra i cromatismi, qualche analogia con la celebre aria "Mon coeur s'ouvre à ta voix" del Samson et Dalila. Altrettanto ben costruito appare lo sviluppo sia negli scambi e contrasti drammatici sia nell'evoluzione in dialoghi polifonici del materiale motivico. Simmetrica è poi la ripresa, con il gioco delle modulazioni che riporta alla tonalità d'impianto, mentre all'assenza della cadenza sembra supplire la coda, ove il solista è in primo piano nel ricordare principalmente il secondo tema.

Sul carattere del secondo movimento, Andante in re minore in 3/4, c'è un'esplicita puntualizzazione di Saint-Saëns: "Domina qui l'eco d'una sorta di viaggio in Oriente, e l'episodio in sol evoca un canto d'amore nubiano che una volta ho udito intonare dai battellieri sul Nilo e che, per l'assenza d'un foglio di carta, annotai sul mio polsino inamidato". Nell'andamento nettamente rapsodico s'impongono gli elementi di natura descrittiva e pittoresca, nella fantasiosa animazione coloristica, magari "d'un Egitto un po' convenzionale d'un'animatissima via del Cairo in un giorno di fiera, con i canti monotoni di qualche popolano, i timbri malinconici di strumenti folclorici, la sensuale frenesia di danze millenarie, il tutto però visto con un colpo d'occhio occidentale" (Cortot). Tra i singolari effetti fonici di questo tempo si colgono interessanti echi di gamelan al pianoforte con risonanze armoniche di quinta, impiego di cadenze imperfette, di gradi alterati, oltre all'evocazione di melopee d'origine più moresca che egiziana e l'incidenza di un motivo secondario affidato all'oboe e ripreso poi dal pianoforte nell'abile gioco melodico tra le due mani sulla tastiera. Una turbinosa cadenza del solista si raccorda infine alla ripresa del moto ritmico iniziale per spegner poi ogni sonorità negli arpeggi sognanti d'una conclusione in pianissimo.

Il terzo movimento, Molto allegro, impone all'attenzione il prevalente suo incedere virtuosistico, dominato dal solista, con una carica vitalistica estroversa su cui s'innestano singolari sprazzi melodici. All'ampia enunciazione del primo soggetto subentra nella tonalità di sol maggiore la seconda idea, proposta inizialmente dall'orchestra. Nell'articolato sviluppo, nel serrato confronto dialogico tra il pianoforte e l'orchestra, nell'effervescente progressione ritmica e nel sagacissimo gioco imitativo, si esalta la maestria della scrittura strumentale di Saint-Saëns. Da ultimo vi è la ripresa della sezione iniziale secondo lo schema sonatistico, con l'aggiunta di numerose varianti pianistiche al materiale motivico originario, sino alla verve scatenata della coda, siglata da un vero e proprio tourbillon di crepitanti ottave.

Luigi Bellingardi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La longevità ha nuociuto, invece di giovare, alla fortuna postuma di Camille Saint-Saëns. Compositore alquanto prolifico grazie a una invidiabile facilità di scrittura, di lui si ricordano soltanto pochi titoli: Introduction et Rondò capriccioso per violino e orchestra (1870), il poema sinfonico Danse macabre (1874), l'opera Samson et Dalila (1877), la fantasia Le carnaval des animaux (1886). Soprattutto, però, quasi a contrassegnarne la personalità, si è soliti citare l'acerrima avversione di lui, già anziano, per uno dei pilastri dell'avanguardia musicale novecentesca, il Sacre du printemps di Stravinsky, ostilità che ha contribuito a far sì che nella considerazione generale Saint-Saëns venisse etichettato come uno dei più pervicaci conservatori della storia musicale francese. Giudizio guanto meno ingeneroso, se affibbiato a colui che negli anni Settanta dell'Ottocento, partecipando, all'indomani della sconfitta di Sedan, alla fondazione della Société Nationale de Musique, intese promuovere la rinascita di una produzione strumentale autoctona, capace di far concorrenza all'egemone musica tedesca e che, durante il quinquennio di insegnamento presso l'Ecole Niederneyer (1861-65), educò allievi spesso poco più giovani di lui, fra cui Messager e l'amico per la pelle Fauré, alla comprensione della contemporaneità europea. Di cui fu anche l'alfiere in molte circostanze, per esempio come primo esecutore in terra di Francia dei poemi sinfonici di Liszt, autore di un pezzo celebrativo dell'elettricità (Le feu céleste) per l'Esposizione universale del 1900 e primo compositore di fama a scrivere per il cinema (L'assassinat du duc de Guise, 1907).

Certo, autentico modernista Saint-Saëns non lo fu mai, e allo scoccare del Novecento, divenuto una gloria nazionale accademicamente pluridecorata (addirittura partecipò all'inaugurazione del proprio monumento a Dieppe), era ormai considerato un musicista sorpassato. La sua musica equilibrata, nitida, affabile, elegante, razionalistica, quasi cartesiana, costruita con somma sapienza musicale e con distinto mestiere, si fonda su presupposti estetici di matrice sostanzialmente classica: Mozart, dunque, insieme al romanticismo temperato di Mendelssohn. «Ciò che manca a questo giovane è l'inesperienza», aveva sentenziato Berlioz, a sottolineare la forte dottrina tecnica, la poderosa maestria contrappuntistica che sosteneva l'ispirazione di Saint-Saèns: "spirito eclettico", secondo la definizione datasi da lui stesso, "favorito dagli dèi" e "Mozart del suo tempo", come qualcuno che gli voleva particolarmente bene lo gratificava, "musicista della tradizione" a parere del non amato Debussy.

Saint-Saëns fu un famoso organista e un eccellente pianista che, oltre all'Europa e alle due Americhe, toccò per concerti lidi esotici quali il Nord Africa, Ceylon, Saigon, l'India. Cultore di letteratura francese e di lingue classiche, di matematica, scienze naturali, astronomia, archeologia e filosofia, i suoi interessi eruditi lo portarono a interessarsi perfino di lire e cetre antiche, dei dipinti di Pompei, dell'architettura dei teatri romani. Sulla sua estetica ebbe importanti riflessi l'intensa frequentazione della musica del Settecento: la riscoperta di Händel, in Francia del tutto dimenticato; le revisioni di partiture teatrali di Lully, Charpentier, Gluck; la cura editoriale, per la casa Durand, degli opera omnia di Rameau.

Per pianoforte e orchestra Saint-Saëns ha lasciato cinque Concerti e una manciata di pezzi caratteristici. Fra i Concerti solo il Secondo e il Quinto hanno goduto di una certa fortuna interpretativa: l'uno fra l'altro cavallo di battaglia di Arthur Rubinstein, l'altro amato da Busoni e, più di recente, da Sviatoslav Richter. Il Quinto Concerto per pianoforte e orchestra fu composto ed eseguito da Saint-Saëns come pezzo forte della serata di festeggiamenti per il cinquantesimo anniversario del suo esordio come concertista: la ricorrenza cadeva nel 1896, giacché aveva debuttato solo undicenne. A quell'epoca il musicista francese era ormai coronato da un larghissimo successo internazionale; erano però molti anni che non si cimentava più con la forma del concerto per pianoforte: dal 1875, anno del Quarto Concerto. Il nuovo lavoro venne scritto tra il 1895 e il 1896 a Luxor, in Egitto, durante uno dei consueti soggiorni invernali di Saint-Saëns nel Nord Africa. Il Concerto op. 103 porta i segni di queste peregrinazioni nel suo particolarissimo miscuglio di melodie orientali e spagnoleggianti, sposate con la quadratura della forma-sonata. Il primo movimento, assai ricco di materiale tematico, offre un esempio di scrittura elegante e appassionata in una acconcia costruzione formale; nel successivo Andante si affaccia invece prepotentemente l'elemento esotico, con citazioni di melodie nubiane (pare ascoltate dai barcaioli del Nilo), associate a spunti moreschi, tutti d'impianto modaleggiante: sono queste tinte che hanno valso al lavoro il titolo di "Concerto egiziano", o anche "L'orientale". In effetti, esso rappresenta egregiamente le suggestioni orientali della Parigi fin de siècle, le stesse che ritroviamo, proiettate però verso il futuro, nelle opere più o meno coeve di Debussy e Ravel. Il finale, brillantissimo e tecnicamente assai arduo, vive di un'effervescenza ritmica tutta mondana, ma che con i suoi richiami teatrali, operettistici, e la sua cavalcata virtuosistica ha tutto lo charme della migliore musica francese. Il pianoforte vi svolge una parte di bravura, pur riuscendo a mantenere con l'orchestra un rapporto intimamente concertante e a dar luogo a una riuscita fusione anche sotto l'aspetto timbrico e coloristico.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nella seconda metà dell'Ottocento Camille Saint-Saëns si assunse l'impegno di ricondurre l'arte musicale francese in un alveo nazionale e di promuovere una rinascita dei generi strumentali. Sul piano istituzionale questo impegno si concretò, nel 1871, con la fondazione della Société Nationale de Musique il cui motto, «ars gallica», è un'esplicita dichiarazione d'intenti. Su quello creativo, la vasta produzione musicale del compositore, che comprende numerose sinfonie, concerti e lavori cameristici, rappresenta, nell'ambito francese, l'innesto della linea più classica della tradizione tedesca dell'Ottocento sul corpo di quella francese. Il risultato di questo innesto è uno stile sempre in bilico tra il formalismo ed una sorta di neoclassicismo ante litteram. Ciò che la musica perde in profondità di pensiero e in tensione emotiva acquista in brillantezza sonora e in chiarezza di disegno. Se si uniscono a queste qualità un totale possesso della tecnica e della scrittura pianistica, e una notevole disponibilità a soddisfare certe aspettative del pubblico, si può comprendere la fortuna che i suoi cinque concerti per pianoforte hanno goduto specialmente a quell'epoca. Temi memorizzabili, la cui struttura ben delineata si presta a funger da telaio per elaborazioni che danno vita al profluvio di scalette e di arpeggi del concertismo virtuoso; sviluppi brevi e non troppo impegnativi, e che comunque non si discostano troppo dai temi; protagonismo dello strumento solista. Questa la formula generale.

Nel Quinto Concerto c'è anche un tocco di esotismo. L'inserzione di una seconda aumentata nel profilo scalare del tema del movimento centrale e un certo colore orientale intendono rievocare echi e suggestioni musicali di un viaggio compiuto dal compositore in Egitto in quel periodo di vagabondaggi africani che segui la morte della madre.

Gianfranco Vinay


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto della Fondazione Arena di Verona,
Verona, Teatro Filarmonico, 11 aprile 2003
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 21 maggio 1988


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Ultimo aggiornamento 29 aprile 2016