Quintetto in sol minore per strumenti a fiato, P 21


Musica: Ottorino Respighi (1879 - 1936)
  1. Allegro
  2. Andante con variazioni
Organico: flauto, oboe, clarinetto, corno, fagotto
Composizione: 1897 - 1898
Edizione: Bologna, Bongiovanni, 1982
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Senza dubbio Respighi occupa un posto importante nel panorama musicale italiano del primo trentennio del Novecento e gode ancora oggi di meritata popolarità per il suo repertorio sinfonico, per diverse pagine cameristiché e per le trascrizioni e reinvenzioni strumentali di alcune partiture del Seicento e del Sette-Ottocento, a cominciare dalla equilibrata e intelligente trasposizine moderna dell'Orfeo di Monteverdi. Si può dire tranquillamente che Respighi è stato il più popolare e amato dei musicisti della cosiddetta generazione dell'Ottanta con Pizzetti, Malipiero e Casella in testa, perché seppe creare un tipo di musica fatta di chiarezza di immagini e di immediatezza di espressione, oltre che ricca di vivaci colori timbrici e orchestrali, frutto di intuizione e di una sensibilità di raffinata educazione classicista. Allievo di Torchi e di Martucci nel 1899 a Bologna, di Rimskij-Korsakov nel 1900 in Russia (ebbe da quest'ultimo lezioni di composizione e di orchestrazione) e di Max Bruch nel 1902 in Germania, Respighi non si legò rigidamente ad alcuna scuola e non fu seguace di alcuna corrente; evitò atteggiamenti intellettualistici e posizioni polemiche verso questa o quella tendenza musicale e mirò ad un'arte essenzialmente descrittiva e decorativa, spiritualmente sana e senza tormenti interiori, improntata ad una visione chiara e precisa per tutto ciò che di pittoresco e di fantasioso avvolge e circonda la vita dell'uomo.

Per ragioni diverse e dettate o da diatribe polemiche di carattere musicale o da invidie personali, inevitabili nel mondo dell'arte in cui è facile trovarsi a fianco un personaggio di statura superiore alla propria, si è voluto etichettare la figura di Respighi con qualifiche restrittive e diminutive, specialmente negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, quando più forte e massiccio si scatenò l'assalto dei movimenti di avanguardia contro alcune prese di posizioni culturali e linguistiche della musica italiana del trentennio precedente. Volta a volta Respighi venne definito "un conservatore", "un restauratore", "un dannunziano", "un crepuscolare", "un rètore", "un acquarellista di cartoline illustrate" e altre aggettivazioni del genere. Da allora molti giudizi su compositori del recente passato si sono modificati anche per merito di pubblicazioni e di convegni molto qualificati sulla musica italiana del primo Novecento, da cui, tra l'altro, è scaturito un contributo positivo alla conoscenza più dettagliata e criticamente aggiornata di Respighi, un compositore che ha svolto un ruolo di primaria importanza nel rinnovamento della vita musicale del nostro paese nel periodo che va dal 1915 al 1935 e che non è rimasto insensibile, è vero, alle sirene del mito bifronte, carducciano e dannunziano (ma seppe schivare il pericolo di musicare il libretto abbozzato su "La vergine e la città" di D'Annunzio), senza tuttavia sposarne "toto corde" la retorica nazionalistica di una romanità vista secondo aggiornati scopi politici e propagandistici. Si può essere d'accordo in misura maggiore o minore con i risultati e gli obiettivi artistici raggiunti da Respighi (il discorso vale in questo caso più sulla sua opera teatrale), ma non si può negare al suo sinfonismo una cifra e una dimensione chiaramente definite e distinte dal sanguigno gesto sonoro straussiano e dalla sfumata mezza tinta della musica debussiana.

Anche nella produzione strumentale da camera Respighi dispiega il suo stile classicista, in ottemperanza a quella chiarezza di linguaggio armonico che resta l'elemento base del suo modo di comporre. Ciò si avverte principalmente nei vari Quartetti per archi e nel Quintetto per strumenti; a fiato, scritto nel 1898 e costituito da due soli movimenti, arricchiti da una serie di variazioni di scorrevole fattura e di elegante inventiva tematica.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il Quintetto per strumenti a flato in sol minore P 021 di Ottorino Respighi risale al 1898, nel periodo di approfondimento e perfezionamento degli studi in cui il compositore, recatosi in Russia, ebbe come insegnante anche il grande Rimsky-Korsakov. Si può parlare di un'opera di grande nitore, dipinta in gusto tipicamente neo classico. Il lavoro, scritto in due soli tempi, Allegro e Andante, si presenta in tipico stile arcaico, in linea con gli stilemi del compositore, rielaborato con sottile originalità e risultando all'ascolto, come molti dei suoi lavori, diretto e immediato. Anche le strutture corrispondono agli ideali del classicismo, secondo i tipici idiomi dell'autore, con alcune pennellate in qualche modo riconducibili alla mano dell'antico Maestro, Giuseppe Martucci.

L'Allegro si rifà al modello della forma sonata, con l'aggiunta di una sorta di fanfara d'apertura dalla linea placida e rotonda, in cui man mano si scoprono i timbri dei vari strumenti che a turno intervengono nell'enunciazione. Giunge il primo tema, dove si conferma la notevole capacità di rendere omogeneo il materiale motivico e timbrico in una realizzata osmosi tra le parti: qui emerge, chiaro, nell'esposizione, un disegno di trama intrecciata trasfuso dentro il particolare background timbrico fornito dalla formazione del quintetto a fiati, assai adatto a riverberare atmosfere misteriose e vagamente oniriche. Così, quasi senza accorgersi, si passa, con una breve e flessibile frase di ponte, al secondo profilo tematico, nel tono parallelo di si bemolle maggiore, enunciato la prima volta dall'oboe, mentre man mano si originano per gemmazione altri spunti e idee, coronati da una bella ed estesa sezione di epilogo. Se lo sviluppo risulta del tutto imprevedibile e fantastico, con Respighi che procede nel suo viaggio misterioso facendo sentire gli elementi precedenti del tutto riforgiati, il ciclo naturale della forma sonata si conclude con una ripresa in cui riemergono i due temi principali, estesi dentro un soave Meno Mosso finale, dove si conferma il clima di maestosa, diremmo, bucolica serenità. Il tema delle variazioni contenuto nell'Andante è un motivo di haydiana sonorità, tenero e gioviale, scritto in una trama a quattro parti, a mo' di corale, escludendo, nell'enunciazione, il flauto. L'arcata del tema delle variazioni si distende placidamente sulle due frasi caratteristiche, prima di venir sottoposto alla serie di varianti. Nella prima il flauto, tenuto in precedenza a riposo, può emergere in tutta la sua aerea mobilità esibendosi in una plastica congerie di disinvolte evoluzioni, mentre nella seconda troviamo tutti i dettami esibiti di un'antica e raffinata danza; la terza variazione è una specie di scherzo danzante e gentile, mentre la quarta, cinguettante e serena sopra la reiterazione di trilli e morbide frasi annuenti, si conclude con una delicata coda reiterante il tema principale.

Marino Mora


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 18 maggio 1889
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 299 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 10 gennaio 2015