Lauda per la natività del Signore, P 166

per soli, coro, strumenti pastorali e pianoforte a 4 mani

Musica: Ottorino Respighi (1879 - 1936)
Testo: attribuito a Jacopone da Todi

Ruoli: Organico: ottavino, 2 flauti, oboe, corno inglese, 2 fagotti, triangolo, pianoforte a 4 mani
Composizione: Roma, 20 giugno 1930
Prima esecuzione: Siena, Sala "Micat in Vertice", 22 Novembre 1930
Edizione: Milano, Ricordi, 1931
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Respighi occupa un posto importante nel panorama musicale italiano del primo trentennio del Novecento e gode ancora oggi di meritata popolarità per il suo repertorio sinfonico e le sue trascrizioni e reinvenzioni strumentali delle partiture del Seicento e del Settecento, a cominciare dalla intelligente trasposizione moderna dell'Orfeo monteverdiano. Inoltre, anche se il suo teatro non rivela una precisa e forte personificazione stilistica, bisogna riconoscere che Respighi si adoperò non solo a parole per lo svecchiamento dell'opera in musica, ponendosi in posizione polemica nei confronti dell'esperienza verista della Giovane scuola, mascagnana o pucciniana che sia, specie per una diversa impostazione e soluzione dei problemi della vocalità.

Senza entrare nel merito su ciò che è vivo e ciò che è caduco della produzione respighiana, si può affermare tranquillamente che è il suono, il colore della sua orchestra quello che distanzia e distingue questo autore da ogni altro musicista italiano del suo tempo, oltre alla ben nota e indiscussa abilità di orchestratore (non per nulla Puccini, che fu un attentissimo osservatore del linguaggio orchestrale e della sua evoluzione, lo ebbe in alta considerazione). L'intuizione e la tipicizzazione del timbro strumentale, che è suo e di nessun altro, nei lavori orchestralmente ideati e realizzati, a cominciare dai migliori poemi sinfonici, pone Respighi in una posizione unica nella vita musicale primonovecentesca. Egli naturalmente fece tesoro delle esperienze armoniche e strumentali più avanzate in rapporto alla tradizione nazionale, mostrando una apertura verso certe correnti tecnicistiche europee, pur nell'italianismo delle forme, ma nello stesso tempo impresse alla musica la propria personalità, assorbendo e riequilibrando le influenze specialmente russo-francesi (Rimskij-Korsakov e Debussy in testa). Lo stesso Casella, che non mancò di avvertire in Respighi una tendenza alla pigrizia spirituale, perché, a suo dire, non era riuscito a superare e ad andare oltre i confini linguistici ed estetici dell'impressionismo, riconobbe al musicista bolognese «magnifiche doti di colorista e di immaginista», racchiuse in un'orchestra dal suono fisicamente trasparente e luminosamente mediterraneo, dove naturalismo e immaginazione si compenetrano a vicenda, sia che si tratti di musiche ispirate ad un elegante arcaismo, come le Antiche arie e danze o la suite Gli uccelli, due componimenti esemplari nella loro misurata rivisitazione strumentale, e sia che ci si riferisca ai più sostanziosi e altisonanti lavori sinfonici.

Un altro aspetto della sensibilità respighiana che va messo in evidenza è quel ripensamento del canto gregoriano e dei modi della musica antica, visti come reperti della coscienza musicale sepolta del nostro paese e cercando di innestare le moderne relazioni tonali sulle vecchie costruzioni melopeiche. In tal senso la Lauda per la Natività del Signore costituisce un esempio di come Respighi sentisse dentro di sé «il primitivo» e riuscisse a tradurlo musicalmente. La composizione, scritta nel 1929 per soprano, mezzosoprano, tenore, coro e otto strumenti (flauto, ottavino, oboe, corno inglese, due fagotti, triangolo e pianoforte a 4 mani), vuole essere una rievocazione sonora di un antichissimo testo religioso, fatta con semplicità e schiettezza di sentimenti e senza alcuna riserva intellettualistica. Egli, da appassionato ricercatore di musiche del passato qual'era, utilizza in modo personale caratteristici moduli linguistici: un polifonismo scarno e rudimentale, un senso ritmico salmodiante, un melos liturgico piuttosto fisso ed estatico, un tessuto armonico di gusto madrigalistico e una strumentazione sobria e trasparente negli effetti timbrici. Le voci soliste e il coro concorrono a determinare l'atmosfera da presepe e di intonazione pastorale, caratterizzante questa lauda dai contorni di un pittoricismo sfumato e volutamente naìf, quasi una riproduzione di una preziosa tela di scuola giottesca.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La «Lauda» fu composta da Respighi nel 1930 per l'Accademia Chigiana, e dedicata al conte Guido Chigi Saracini. il testo è attribuito a Jacopone da Todi, e dialogato fra un Angelo (soprano lirico leggero), Maria (mezzosoprano), un pastore (tenore), un coro di angeli e un coro di pastori. Lo spirito della rappresentazione musicale è stato suggerito dal «Cantico della Natività di Jesu Cristo», opera certa di Jacopone che Respighi ha premesso alla partitura, ed in cui si parla della potenza assembleare della musica che nella adorazione del presepe invita anche i peccatori a cantare le lodi del Signore. L'organico di strumenti pastorali, flauto oboe fagotto a coppie, è sostenuto con discrezione al basso dai pianoforti. Lo spirito della musica si attiene alla reinvenzione di gusto: melodia processionale delle laude per le voci, ogni tipo di figurazione pastorale negli strumenti, vezzi modali nell'armonia. Il principio è quello della visione artistica che domina la stagione decadentista sin dall'inizio del secolo. In Italia verso gli anni venti esso è posto soprattutto sotto l'egida del gregoriano, e l'arcaismo armonico si attiene al gusto degli stilemi popolari. La scienza isoritmica e polifonica del tre e quattrocento, elemento di distanza e di rottura verso le regole posteriori, non viene presa in considerazione, e l'attenzione è fissata sul falso bordone e su stilemi strumentali che non saranno introdotti nella musica d'arte prima del seicento. Il passato è assimilato nel presente quale elemento di gusto e fonte di nostalgie; è la ricerca del tempo immacolato, con cui tutta una generazione tentò l'evasione dai guai del presente. La credibilità è data dal grande artigianato. E la «Lauda» ne è fra i modelli più riusciti. Si ascoltino ad esempio le continue varianti con cui ritmi e materiali melodici addirittura logori vengono sottratti alla monotonia, la chiara suddivisione del testo in pannelli, ciascuno distinto da un preciso carattere, la straordinaria esultanza di alcune improvvise modulazioni, la retorica perfetta del canto di gloria.

Gioacchino Lanza Tomasi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 8 aprile 1983
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 29 ottobre 1975


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Ultimo aggiornamento 10 ottobre 2015