La valse

Poema coreografico - versione per orchestra

Musica: Maurice Ravel (1875 - 1937)
Organico: 3 flauti (3 anche ottavino), 2 oboi, corno inglese, 3 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, bassotuba, timpani, triangolo, tamburello, piatti, grancassa, castagnette, tam-tam, campanelli, crotali, 2 arpe, archi
Composizione: Lapras, dicembre 1919 - aprile 1920
Prima esecuzione in concerto: Parigi, Théâtre du Châtelet, 12 Dicembre 1920
Prima rappresentazione balletto: Anversa, Opéra Royal Flamand, 2 Ottobre 1926
Edizione: Paris, Durand & Cie., 1921
Dedica: Misia Sert

Vedi al 1919 n. 109 la versione per pianoforte ed al 1919 n. 110 la versione per due pianoforti
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La danza permea l'opera di molti musicisti dei primi del Novecento. Inebriarsi dei ritmi e dello spirito della danza era per musicisti tra loro diversissimi - da Debussy, flou, sfuggente e impalpabile, a Stravinsky, fauve, violento e ossessivo - un modo per reagire alla pesantezza ritmica della tradizione sinfonica classico-romantica. Ma c'è anche un'altra spiegazione, più contingente, per quell'ondata di musica di danza: questa spiegazione ha un nome e un cognome, Sergej Diaghilev, il geniale impresario dei Ballets russes, che è stato una fonte vulcanica di proposte, di suggerimenti e di stimoli per i compositori dei primi trent'anni del ventesimo secolo.

Anche la nascita della Valse è merito di Diaghilev, che però, quando ricevette la partitura, la rifiutò. Fu poi Ida Rubinstein a metterla in scena, il 20 novembre 1928, all'Opera di Parigi, con un'accoglienza entusiastica e surriscaldata, ma intanto la prima esecuzione aveva avuto luogo in forma di concerto il 12 dicembre 1920, con l'Orchestra Lamoureux di Parigi diretta da Camille Chevillard: da allora La Valse ha la funzione di tonico infallibile nelle sale da concerto per il suo potere di accontentare simultaneamente tutti i tipi d'ascoltatore, che possono scoprirvi le infinite e preziose meraviglie timbriche e armoniche della raffinata tavolozza di Ravel o lasciarsi semplicemente andare al suo effetto trascinante.

Ravel scrisse questa musica durante l'inverno 1919-1920, nel villaggio di Lapras, in Ardèche, dove si era stabilito a casa d'un amico per riprendersi dall'abbattimento fisico e morale in cui era caduto dopo la guerra e la morte della madre («Sono terribilmente triste. Soffro sempre più», scriveva nel dicembre 1919): privato dalla stagione particolarmente rigida anche dello svago delle sue passeggiate quotidiane, si dedicò esclusivamente alla composizione e scrisse La valse. Dunque questa musica sfolgorante e vorticosa nacque nel raccoglimento di quei mesi grigi e gelidi.

Sembra che in questo "poema coreografico" Ravel abbia ripreso un suo precedente progetto d'un poema sinfonico intitolato Wien: amava la capitale austriaca per la sua gentilezza e la sua frivolité ormai appartenenti ad un'epoca trascorsa, e parimenti prediligeva il valzer, simbolo musicale di quel vecchio mondo. Già nel 1910 aveva reso omaggio alla danza viennese per eccellenza con le Valses nobles et sentimentales, eleganti e delicate: ma la bufera della guerra aveva spazzato via quelle atmosfere, lasciando un segno indelebile sul grande valzer del 1920, il cui slancio danzante proteso verso un culmine parossistico di sonorità orchestrale rivela, nonostante la leggerezza dei temi ispirati a quelli di Johann Strauss jr, un tormento e un'angoscia palpabili.

Ravel stesso, che per le Valses nobles et sentimentales aveva invocato «il piacere delizioso e sempre nuovo d'una occupazione inutile», ha messo in rilievo questa tensione oscura e drammatica della Valse quando la descrisse come un «turbinio fantastico e fatale». In vista della realizzazione scenica in forma di balletto era stato in realtà previsto un soggetto che di fatale aveva ben poco, perché La Valse avrebbe dovuto essere l'apoteosi del valzer viennese, il sogno d'un mondo sfavillante che riappare per un istante dalle nebbie del passato: «Nubi tempestose lasciano intravedere, a sprazzi, delle coppie che danzano il valzer: quando lentamente si diradano, si distingue un'immensa sala popolata da un folla volteggiante. La scena s'illumina progressivamente, finché, raggiunto il fortissimo, si accendono i grandi lampadari. La scena si svolge alla corte imperiale, verso il 1855». Ma la musica composta da Ravel non si adattava facilmente ad una rievocazione della Vienna di Francesco Giuseppe e degli Strauss, quindi, dal suo punto di vista, Diaghilev non ebbe tutti i torti a rifiutarla. Il sussurrare misterioso dell'inizio, col suo fremito sordo che pulsa sotterraneo ma chiaramente avvertibile, indica che sta per venire alla luce qualcosa di luminoso: ma allo stesso tempo c'è un senso d'inquietudine, serpeggia l'ombra del dubbio. Ecco che, dopo parecchi tentativi d'emergere dalla bruma, il tema appare: è leggero, frivolo e frizzante e porta con sé un senso di felicità. Con movenze feline e voluttà cromatiche questo tema sale, scoppia e trionfa, poi cade, si dissolve, riappare ancora più esasperato, sale di nuovo in un frenetico crescendo fino al più parossistico fortissimo. Allora lo scatenamento orgiastico del ritmo e il bagno voluttuoso di suoni s'impossessano irresistibilmente dell'ascoltatore, ma non si deve dimenticare il lato demoniaco della Valse e considerarla soltanto un rassicurante pezzo di bravura orchestrale.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Già nel 1906 Ravel aveva pensato di comporre «un grande valzer» per rendere omaggio alla memoria di Johann Strauss: si sarebbe dovuto chiamare «Wien». Il lavoro lo interessava enormemente e infatti, come scrisse in una lettera all'amico Jean Marnold, nel ritmo del valzer e della danza in genere si estrinsecava — a suo modo di vedere — tutta la «gioia di vivere». In realtà subentrarono motivi per cui l'opera non si potè realizzare; ma il tema del valzer viennese fu ripreso in chiave schubertiana (influenzata dai raffinati esotismi mallarmeani) nei «Valses nobles et sentimentales» del 1911.

Ci furono poi gli anni bellici che incisero fortemente sull'animo del musicista forse anche nel senso di un nuovo modo di concepire la vita. Pur affascinato sempre dal valzer, la nuova opera che avrebbe composto su questo tema, nella sua dinamica incalzante e ossessiva, si sarebbe fatta riflesso delle esperienze passate.

L'invito a comporre «La valse» fu dato a Ravel dal direttore dei «Ballets russes» Diaghilev che lo pregò di scrivere un balletto, una sorta di apoteosi coreografica dei valzer viennesi contemporaneamente alla richiesta che Diaghilev stesso faceva a Stravinskj di un altro balletto che evocasse in certo senso l'atmosfera pergolesiana («Pulcinella»). Ma l'impresario russo si dimostrò indignatissimo del lavoro presentatogli perché, a suo avviso, — stando alle testimonianze del comune amico Serge Lifar — «la partitura non dava adito a nessun sviluppo spettacolare e paralizzava ogni varietà coreografica». Diaghilev si rifiutò di ricavarne pertanto un balletto, che sarà infatti portato sulle scene solo nel 1928 da Ida Rubinstein, mentre la prima esecuzione de «La Valse» risale al febbraio del 1920 per i concerti Lamoureux di Parigi.

Le note al programma di sala per la prima realizzazione ci danno un'idea approssimativa di alcune immagini del poema coreografico: «Nubi turbinanti diradano, di tanto in tanto, per lasciar scorgere le coppie dei ballerini. Le nubi dileguano lentamente e appare un'immensa sala dove rotea l'intero corpo di ballo». Ma la lettura migliore è forse quella in senso strutturale per un'opera in cui tutta la sostanza si plasma su una ritmica che si fa struttura solida dell'intera composizione e dove i temi, più che citazioni puntuali sono evocazioni fantastiche di un certo mondo. «Ho concepito il lavoro» — scrisse Ravel — «come una specie di apoteosi del valzer viennese, nel quale, secondo il mio pensiero, è contenuta l'impressione di un turbinìo fantastico e fatale. Immagino «La Valse» nella cornice di una corte imperiale, verso il 1855».

Da un punto di vista formale «La Valse» è articolata in due grandi sezioni che vanno dal piano al fortissimo in un susseguirsi di temi di danza che toccano le tonalità più svariate, le sfumature più incredibili. Nel primo crescendo l'aria di danza che appare alla dodicesima battuta si libera dalle brume e raggiunge un'ossessività densa, quasi fisica. Il secondo crescendo si avvale di melodie e ritmi di vario genere opposti l'uno all'altro con una vitalità frenetica che ha dell'ineluttabile.

Fiamma Nicolodi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 29 gennaio 2000
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 20 ottobre 1973


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Ultimo aggiornamento 1 febbraio 2020