Trio in la minore per pianoforte, violino e violoncello


Musica: Maurice Ravel (1875 - 1937)
  1. Modéré (la minore)
  2. Pantoum. Assez vite (la minore)
  3. Passacaille. Très large (fa diesis minore)
  4. Final. Animé (la maggiore)
Organico: pianoforte, violino, violoncello
Composizione: St. Jean de Luz, 3 aprile - 7 agosto 1914
Prima esecuzione: Parigi, Salle Gaveau, 28 gennaio 1915
Edizione: Durand, 1915
Dedica: André Gédalge
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Ravel compose il Trio in la minore nel 1914, quando si ritirò per un periodo di riposo nella località di Saint-Jean-de-Luz, situata nella zona basca dove era nata sua madre. Fu eseguito per la prima volta il 28 gennaio 1915 alla Salle Ga-veau di Parigi nella interpretazione di Alfredo Casella (pianoforte), Georges Enesco (violino) e Feuillard (violoncello) in un concerto promosso dalla Società Musicale Independente per la Croce Rossa. Il lavoro venne accolto in modo lusinghiero dal pubblico e soprattutto dalla critica, che annotò il vivissimo senso della costruzione musicale, così misurata e calibrata sotto il profilo formale, quasi una proiezione sonora di quell'esprit de geometrie tanto pazientemente perseguito dall'autore, notoriamente sensibile ai problemi della razionalità matematica, senza tuttavia escludere i valori dell'invenzione melodica e la varietà del linguaggio armonico. In quella occasione non mancò chi volle osservare come la composizione si richiamasse allo stile classico della musica francese e specialmente di Rameau, tenendo presente innanzitutto lo snodarsi calmo e solenne del tema della passacaglia. Ma ciò non vuol dire che il classicismo di Ravel sia una fredda adesione ai moduli tradizionali, perché proprio nel Trio, e forse più che nel Quartetto in fa, egli rivela una libertà creativa, puntata sulla raffinatezza della scrittura strumentale e sull'inesauribile gioco timbrico, caratteristiche della sua migliore produzione sinfonica e da camera.

Ciò appare evidente sin dal primo movimento, un Modéré in 8/8, il cui tema viene esposto in pianissimo dal pianoforte e ripreso in tonalità diverse dal violino e dal violoncello, fino a sfociare in un motivo elegante di danza che ricorda certe soluzioni folcloristiche della musica basca e della Pavane dello stesso Ravel. A proposito di questo, primo tema del Trio, la violinista Hélène Jourdan-Morhange, autrice anche di un libro di ricordi sul musicista, parla di sonorità di cristallo e «allorché il violino inizia il canto con le sue piccole note arpeggiate occorre che tali note siano suonate leggermente «rubate» e senza alcun appoggio d'archetto, un po' come un "glissando" di chitarra hawaiana». Il Pantoum, così chiamato da una forma poetica declamata dai malesi, è uno scherzo brillante, in tempo assai vivo; esso poggia su tre temi: il primo dal ritmo marcato, come quello del pianistico Scarbo, il secondo lirico e il terzo vivace, simile ad uno spigliato divertissement. Nel terzo movimento Ravel recupera l'antica forma della Passacaglia con una pensosa melodia dalla sonorità del pedale d'organo; dopo alcune variazioni in crescendo il violino e il violoncello riprendono il tema in sordina, immergendo l'ascoltatore in un clima di quiete notturna. Il Finale, ritmicamente animato, sembra un allegro girotondo in cui gli strumenti ad arco intessono accordi brillanti e fanno da sfondo alle sortite del pianoforte. Trilli e glissando, in una girandola di colori festosi, concludono in una tonalità chiara e lucente la musica di questo Trio, frutto della personalissima sensibilità di un'artista, il cui stile, come ha scritto un musicologo, risveglia sempre l'interesse e sfida il torpore del pubblico.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il Trio per violino, violoncello e pianoforte, composto nel 1914, quando Ravel si era già lasciato alle spalle due importanti lavori cameristici come il Quartetto in fa maggiore per archi, dedicato a Gabriel Fauré (1902-1903), e l'Introduction et Allégro per arpa con accompagnamento di flauto, clarinetto e quartetto d'archi (1905). Anche se in una lettera del 26 marzo del 1908 a Cipa Godebski, in cui vengono nominati una serie di lavori rimasti poi allo stadio di progetto, Ravel fa riferimento all'idea di comporre un trio («vado a rimettermi al lavoro. Che cosa? Cloche engloutie, trio, sinfonia, San Francesco d'Assisi? Non lo so ancora»), le date apposte sul manoscritto indicano chiaramente che il Trio fu composto a Saint-Jean-de-Luz, nei Bassi Pirenei, fra la primavera e l'estate del 1914; cosa che trova conferma anche in un breve scritto autobiografico redatto da Ravel nel 1928 («il Trio [...] fu composto per intero nel 1914, a Saint-Jean-de-Luz»), e nella sua corrispondenza: «Sto lavorando al trio malgrado il freddo, la tempesta, i temporali, la pioggia e la grandine», aveva scritto da Saint-Jean-de-Luz alla signora Casella il 21 marzo; e il 30 giugno, scrivendo a Lucien Garban: «Con l'aiuto di 35° almeno, lavoro al trio [...] malgrado i numerosi intrattenimenti: pelota basca, fuochi di St-Jean, toros de fuego e altre pirotecnie». Eseguito per la prima volta il 28 gennaio del 1915 in un concerto della S.M.I. (Société Musicale Indépendante) alla Salle Caveau di Parigi con Gabriel Willaume al violino (o forse George Enescu, le fonti non sono concordi), Louis Feuillard al violoncello e Alfredo Casella al pianoforte, il Trio fu pubblicato in quello stesso anno da Durand con dedica ad André Gédalge che era stato maestro di contrappunto di Ravel al Conservatorio.

Che il Trio sia stato concepito durante un lungo soggiorno nei Bassi Pirenei ha fatto probabilmente risuonare in Ravel le proprie origini basche («mia madre, quando ero piccolo, mi cullava cantandomi canzoni basche o spagnole», ricordava spesso il compositore). Questo si avverte soprattutto nell'ampio primo movimento (Modéré), pagina luminosa e distesa che deve soprattutto il suo «colore basco» al ritmo fondamentale che lo attraversa fin dalla cantilena d'apertura enunciata dal pianoforte solo, un'altalenante battuta di 8/8, suddivisi però in maniera asimmetrica, proveniente da una danza basca.

Il successivo Pantoum (Assez vif) svolge un po' la funzione di scherzo e deve il suo nome a una particolare struttura metrica di origine malese utilizzata nella poesia francese da Gautier e Baudelaire (ad esempio in Harmonie du soir). Rifacendosi a questo complesso modello formale, Ravel dà vita a delle raffinatissime sovrapposizioni ritmiche fra il pianoforte e i due strumenti ad arco che hanno fatto scrivere a Hélène Jourdan-Morhange: «Leggere questa pagina di musica sembra dapprima un'impresa più complicata che l'inizio di un cruciverba, ma quando la si incomincia a capire [...] i motivi si innestano facilmente l'uno nell'altro, come i frammenti di un gioco di pazienza».

Nobilissima e solenne, l'ampia Passacaille (Très large) emerge lentamente dal silenzio, prendendo vita a poco a poco da suoni profondissimi e appena percettibili in un modo che anticipa l'inizio del Concerto per la mano sinistra: l'austero tema di otto battute viene esposto in pianissimo dal pianoforte nel registro più grave, quindi ripreso dal violoncello, poi dal violino. E, dopo vari percorsi, la Passacaille torna a spegnersi nel silenzio, passando ancora una volta per gli arcani abissi della tastiera da cui aveva preso le mosse.

In un istante ci si trova trasportati in un mondo completamente diverso nel Final (Anime), pagina ricca di iridescenze, trilli e brillìi che sembrano riecheggiare vagamente quelli di Laideronnette, imperatrice des pagodes, terzo brano di Ma Mère l'Oye, ma animata dagli anomali ritmi di 5 e di 7 di derivazione basca e attraversata da un senso di irresistibile positività e salute che soddisfa il gusto, tutto francese, per i finali festosi e affermativi.

Carlo Cavalletti

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale Ravel era desideroso di arruolarsi per dare il proprio contributo al fronte (l'esperienza bellica poi sarà per lui, com'è noto, un'esperienza sconvolgente); fu dunque con una certa ansia che a Saint-Jean-de-Luz, nell'estate del 1914, portò a termine il Trio per pianoforte, violino e violoncello. Il calco classicista del lavoro è riconoscibile nell'architettura come nelle forme di sonata (invero molto libere) del primo e dell'ultimo movimento, ma al posto dello Scherzo e dell'Adagio Ravel inserisce rispettivamente un movimento singolare, intitolato Pantoum, e uno, Passacaille, che rende omaggio alla tradizione barocca. La struttura ciclica di ascendenza franckiana del Quartetto lascia qui il posto a sottili relazioni tematiche (tutti i movimenti traggono avvio, per esempio, da una stessa successione intervallare: mi-re-mi). Nella partitura dai colori sgargianti, tra le più alte della musica da camera di tutti i tempi, colpisce l'equilibrio perfetto tra la qualità dell'invenzione e il controllo di un'arte compositiva superba (equilibrio messo in discussione da qualche critico soltanto per il finale).

Nello Schizzo autobiografico Ravel afferma che «il primo movimento ha un colore basco». In realtà il primo tema del Modéré, di decisiva importanza nel movimento, è ispirato alle movenze dello zort-zico, una danza basca. Inizialmente su pedale, il tema è in la minore dorico (cioè col fa diesis) e offre un'ingegnosa costruzione ritmica per il gioco di figure asimmetriche e irregolari rispetto alla suddivisione binaria indicata dalla misura (8/8). Da un punto culminante ha origine la transizione, in progressivo rallentando, sempre basata su motivi del tema. In tempo più lento si delinea quindi il secondo tema, più lirico, in la minore che si svolge per incisi simili o affini attraverso brevi imitazioni tra gli strumenti. Il tempo rallenta ulteriormente sino alla chiusa dell'esposizione, dove la testa del primo tema ha un ritorno quasi ipnotico. Lo sviluppo è interamente fondato sugli elementi del primo tema, tanto da sembrare una specie di ricapitolazione nella tonalità sbagliata (la sezione inizia in re diesis minore), e disegna un grande climax in accelerando. Di fatto lo sviluppo e la ripresa sono così fusi l'uno nell'altra che tra loro riesce difficile stabilire una netta demarcazione, a meno di non considerare quella che appare l'effettiva ripresa del primo tema molto compressa (pianoforte) e simultaneamente sovrapposta al secondo tema (archi). Tale ripresa attacca inoltre su un punto culminante che corrisponde a quello del primo tema. Quanto sia stata compressa la ripresa della prima parte del movimento lo si coglie ascoltando, dopo poche battute, quella del secondo tema, in do maggiore e in tempo quasi lento. In ulteriore, progressivo rallentando giungono anche la chiusa della ripresa e poi la coda. Qui il primo tema risuona ancora una volta su pedale (do), come una reminiscenza larvale, ridotta quindi a pura essenza ritmica che si perde, infine, in lontananza.

Il titolo del secondo movimento, Pantoum, si riferisce a una forma poetica (il pantoum appunto) desunta dalla tradizione malese, con quartine a rime incrociate, dove il secondo e il quarto verso di ogni strofa sono ripetuti come primo e terzo verso della strofa successive; alle riprese e alle alternanze dei versi si associa inoltre un incrocio di contenuti dato dal ricorrere di due temi, l'uno descrittivo e l'altro sentimentale. Il pantoum, che ebbe una certa diffusione nella poesia francese tra Ottocento e primo Novecento (un esempio celebre: Harmonie du soir di Baudelaire), è dunque una forma poetica di estremo virtuosismo. E fu proprio il virtuosismo a indurre Ravel, particolarmente sensibile all'artificio, a concepire un brano in cui la struttura musicale riproducesse il gioco di corrispondenze del modello poetico, con l'alternanza di sezioni o idee contrastanti che generano varianti sempre diverse eppure riconoscibili in alcuni elementi essenziali. Come se ciò non bastasse, il principio formale del pantoum si fonde con quello propriamente musicale dello Scherzo ternario.

Apre la parte iniziale la prima sezione (a), in la minore con inflessioni frigie (si bemolle) e doriche (fa diesis), vivacissima per gli accenti instabili e i pizzicati degli archi. Le risponde la seconda sezione (b), in fa diesis maggiore con inflessioni modali: è un tema melodico, quasi di valzer, degli archi. Ciò che segue è un'elaborazione in alternanza delle due sezioni (a, b), via via variate attraverso un percorso armonico particolarmente complesso. Una svolta sopravviene con la parte centrale, dove si sovrappongono due diverse misure (3/4,4/2) e compare un nuovo tema accordale al pianoforte (e), in fa maggiore, combinato con elementi della prima e della seconda sezione (a, b) così da intensificare il gioco della parte iniziale. L'intento di sfruttare la possibilità della musica di rendere simultaneo ciò che nella poesia non può che essere lineare e successivo si fa scoperto con la ripresa. Qui il ritorno della prima sezione (a: pianoforte) si sovrappone alla conclusione della parte centrale (e: archi): l'attacco della ripresa è così risucchiato e incorporato dalla conclusione della parte centrale, il che genera un'ambiguità formale simile a quella che si riscontra nel movimento iniziale. La ripresa si delinea, in ogni caso, molto libera: le sezioni della prima parte riappaiono abbreviate, in un ordine diverso e sotto forma di nuove varianti sino al punto culminante del movimento. Questo coincide con la chiusa, dove sono sovrapposte, in crescendo, le idee della prima e della seconda sezione (a, b).

Nella Passacaille, Ravel assume il principio delle variazioni su ostinato della forma barocca, mantenendo fissa per tutto il movimento la scansione di otto battute data dal tema e puntando sulla scrittura contrappuntistica. Lo svolgimento formale, in cui si può riconoscere una partizione ternaria, comporta il passaggio dalla scabra asciuttezza a un graduale arricchimento della tessitura per ritornare quindi alla situazione iniziale. La tonalità di riferimento è fa diesis minore, ma il tema principale è pentatonico: lo presenta il pianoforte nel registro grave. Nella prima variazione il tema passa al violoncello con un semplice contrappunto del pianoforte, nella seconda esso inizia a essere variato dal violino su un corale d'accompagnamento del pianoforte, mentre nella terza è affidato alla scrittura accordale della tastiera. Incomincia quindi l'elaborazione centrale, comprendente le variazioni dalla quarta alla settima e basata su un nuovo tema che rifonde motivi ed elementi del tema principale. La quarta variazione dà avvio a un climax, che prosegue nella quinta attraverso progressioni e l'addensarsi della tessitura. Con la sesta variazione si raggiunge il punto culminante, seguito da un anticlimax dove l'ordito tende ad assottigliarsi sino alla settima, su pedale, per il pianoforte. Si profila quindi un effetto di ripresa su cui s'innesta un procedimento di inversione: il tema che all'inizio era passato dal pianoforte al violoncello e di qui al violino (rispettivamente nella seconda e nella terza variazione) compie nelle ultime tre variazioni il percorso inverso. Così l'ottava variazione è una ricapitolazione della prima con diversa strumentazione (ora tema al violino e contrappunto al violoncello con sordina), mentre la nona lo è della seconda (tema al violoncello). La decima variazione ha funzione di coda: il tema ritorna al pianoforte, in graduale rallentando.

Ravel prescrive che il passaggio al Final avvenga senza soluzione di continuità, anche per rendere più forte il contrasto con un movimento in cui la brillantezza virtuoslstica della scrittura assume tratti e spessore che si direbbero orchestrali. Il primo tema, in la maggiore, è danzante e quasi pentatonico: a suonarlo è inizialmente il pianoforte su arpeggi di armonici e tremoli degli archi, poi l'idea è svolta lungo un'estensione-transizione. In tempo meno mosso, netto è la stacco con il secondo tema, in fa diesis maggiore, squadrato e solenne nei motivi di fanfara e nelle successioni di accordi paralleli del pianoforte sui trilli acuti degli archi. Lo sviluppo si apre con una sezione misteriosa basata sul primo tema e prosegue quindi con una combinazione dei motivi di fanfara del secondo tema e di elementi del primo tema in un climax che infittisce la scrittura sino a un veemente punto culminante in terzine. In rapido diminuendo, la saldatura con la ripresa è resa estremamente fluida in una ritransizione dove ricompare la testa del primo tema. La ripresa incomincia con il primo tema, in la maggiore, al violino seguito da una nuova estensione-transizione. Seguono il secondo tema, in la maggiore, e la coda, dove ai motivi del primo tema in imitazione succede la testa del secondo tema in una chiusa di grande e risonante pienezza.

Cesare Fertonani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 21 aprile 1978
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 23 marzo 2000
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 192 della rivista Amadeus


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 30 gennaio 2014