Sonata n. 2 in sol maggiore per violino e pianoforte


Musica: Maurice Ravel (1875 - 1937)
  1. Allegretto (sol maggiore)
  2. Blues. Moderato (la bemolle maggiore)
  3. Perpetuum mobile. Allegro (sol maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: 1923 - 1927
Prima esecuzione: Parigi, Salle Érard, 30 maggio 1927
Edizione: Durand, Parigi, 1927
Dedica: Hélène Jourdan-Morhange
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Sembra che sia stato l'ascolto delle due Sonate per violino e pianoforte (1921-'22) di Bartók nell'esecuzione di Jelly d'Aranyi al violino e dell'autore alla tastiera, oltre all'incontro personale di Ravel con quella strepitosa artista all'arco, a costituire lo stimolo determinante a scrivere un nuovo lavoro per il medesimo organico strumentale, al quale il musicista francese non s'era più interessato dall'epoca della giovinezza: allora Ravel frequentava il Conservatorio di Parigi come discepolo di Bériot per il pianoforte, di Gédalge per il contrappunto e di Fauré per la composizione. Proprio in quel tempo, aprile 1897, appena ventiduenne, Ravel aveva iniziato a scrivere una Sonata per violino e pianoforte, ultimandone però soltanto il primo movimento (Allegro moderato), per il quale aveva vergato a margine très doux. La prima esecuzione s'era svolta proprio al Conservatorio parigino ad opera dell'autore affiancato da Georges Enescu al violino ma il giudizio degli astanti non era stato tanto favorevole, venendogli imputato un influsso eccessivo di Fauré, tra manierismo ed estroverso afflato lirico.

La gestazione della nuova Sonata per violino e pianoforte fu lunga e complessa nel susseguirsi di improvvisi e profondi stati depressivi, di fugaci soprassalti d'energia inventiva ma anche di lunghe pause d'inazione quasi completa. La conseguenza era stata quella d'un rinvio della presentazione pubblica, originariamente prevista alla Aeolian Hall di Londra nell'aprile 1924. Ed a monte v'era anche la continua incertezza sull'effettiva stesura dell'opera, rispetto alla quale di volta in volta ebbe la precedenza nella primavera del 1924 Tzigane, qualche mese dopo L'Enfant et les Sortilèges, che De Sabata diresse a Montecarlo nel 1925, infine il lavoro alle Chansons madécasses, ultimate nel 1926. Nel frattempo l'originaria dedicataria, la violinista Hélène Jourdan-Morhange, per gravi problemi di salute, s'era ritirata dalla carriera concertistica e s'imponeva la necessità di trovare un altro virtuoso dell'arco. Ravel si ricordò di Enescu ed in proposito Yehudi Menuhin, allora suo allievo di violino, ricordò con queste parole quanto accadde un giorno del maggio 1927, allorché la composizione della Sonata per violino e pianoforte risultò condotta a termine: «un giorno, mentre Enescu ci dava lezione di violino, Ravel fece improvvisamente irruzione tra noi portando una Sonata per violino e pianoforte che aveva appena terminato. Enescu si mise a leggere questa difficile opera con Ravel al pianoforte, arrestandosi ogni tanto per chiedere un chiarimento. Ravel si sarebbe accontentato, ma Enescu propose di eseguire di nuovo la Sonata, cosa che fece chiudendo il manoscritto e risuonando il tutto a memoria». La prima effettiva esecuzione assoluta si svolse a un Concert Durand di Parigi, nella Salle Erard, il 30 maggio del 1927, con Enescu al violino e Ravel al pianoforte.

In questa composizione, l'ultima di Ravel nell'ambito della musica da camera, si ha la conferma di un orientamento iniziato già in Tzigane, cioè quello dell'autonomia, dell'indipendenza reciproca delle parti, dal momento che secondo sua esplicita ammissione «il pianoforte e il violino sono strumenti tra loro fondamentalmente incompatibili»: di conseguenza in quest'opera «invece di equilibrare i loro contrasti, mettono in evidenza proprio la loro incompatibilità» (1928).

A differenza degli intenti estetici di Debussy e della sua predilezione per il retaggio dell'antica musica francese, Ravel scelse di riallacciarsi agli schemi formali della tradizione mitteleuropea, all'articolazione in tre movimenti, persino agli archetipi beethoveniani della Primavera, o della Kreutzer. Dall'altra parte però ci fu l'apertura ad aspetti esotici insoliti, intitolando Blues il tempo centrale con l'impiego di certi atteggiamenti strumentali di stampo jazzistico, quasi a rivaleggiare con le estrosità del Groupe des Six.

Il movimento iniziale, Allegretto in sol maggiore in 6/8, presenta una peculiare ampiezza, figurando nell'esposizione non meno di quattro idee, la prima delle quali è di carattere pastorale ed introdotta dal pianoforte, mentre la seconda si caratterizza per lo staccato a note ripetute, risultando la terza idea marcatamente espressiva, con il pianoforte infine alla ribalta con una successione di accordi perfetti. Tra il pianoforte e il violino, come ha notato Marnat, s'instaura una sorta di contrappunto «avventuroso perché ciascuno strumento valorizza, il proprio timbro specifico». I quattro soggetti tematici non conducono ad un'elaborazione di stampo brahmsiano ma ad una specie di riequilibrio lirico del materiale motivico. Nella breve ripresa appare affidato al violino un suggestivo cantabile che si sovrappone alle prime due idee dell'esposizione per approdare infine a un disinvolto fugato a tre voci e sfumare in dissolvenza.

Con l'indicazione Moderato in 4/4, il secondo tempo, Blues, è in la bemolle maggiore: l'impressione d'ascoltare qualche specifico influsso nordamericano fu confutata dallo stesso Ravel che ebbe a dichiarare a Houston «di non essersi distaccato dalle origini popolari della musica francese» (1928), per il frequente impiego di settime minori e dell'ostinato ritmico, quasi nella traiettoria delineata dai Sites aurìculaires, nonché per l'abbondanza di sincopi e d'un certo gusto per l'improvvisazione. Una successione di glissandi sigla il movimento con tratto elegante e significativo.

Il Perpetuum mobile (Allegro in sol maggiore in 3/4) è il movimento di minor ampiezza dell'opera: dopo aver preso l'avvio con l'idea in staccato del primo tempo, l'incedere musicale si fa sempre più virtuosistico mentre si ascolta la ricomparsa di incisi motivici dei due tempi precedenti, più o meno variati. E la conclusione, oltre a riproporre un frammento dell'idea bucolica del movimento iniziale, impone in primissimo piano la magistrale sagacia e la sicurezza non meno che assoluta della scrittura raveliana.

Luigi Bellingardi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Lungo, travagliato e sofferto è il cammino che, fra il 1923 e il 1927, porta alla nascita della Sonata per violino e pianoforte, destinata a rimanere l'ultima composizione cameristica di Ravel. Iniziata nel 1923, la Sonata avrebbe dovuto essere eseguita per la prima volta dalla violinista Jelly d'Aranyi in un concerto alla Aeolian Hall di Londra previsto per il 26 aprile del 1924. Ma all'inizio di quell'anno Ravel piombò in uno stato di profonda depressione che gli impediva di lavorare e mise da parte la Sonata, come apprendiamo da un passo di una lettera a Manuel de Falla scritta l'11 gennaio: «pensavo di terminare la mia Sonata per violino e pianoforte verso i primi giorni di febbraio. L'ho appena abbandonata. [...] Sono pienamente ricaduto nella depressione. La sola cosa che posso fare è mettere in musica un epitaffio di Ronsard, rispondente al mio stato d'animo. [...] Ma avevo promesso a Londra la prima esecuzione della mia Sonata!». E pochi giorni dopo, in un'altra lettera, Ravel informava anche Robert Casadesus di avere «momentaneamente abbandonato» la Sonata «per via di una crisi depressiva che tante distrazioni non sono riuscite ad allontanare». Il 14 febbraio sembrava che le cose andassero un po' meglio per Ravel, ma non per la Sonata: «la depressione da qualche giorno se ne sta relativamente tranquilla, ma la Sonata non per questo va meglio. Perdio! Ce la farò in ogni modo!». Intanto il tempo passava e il 26 aprile, data prevista per la prima esecuzione, si avvicinava sempre più. Il 13 marzo Ravel scrisse a Jelly d'Aranyi: «desidererei incontrarvi a proposito della Tzigane che sto scrivendo in particolare per voi, che vi sarà dedicata, e che sostituirà nel programma di Londra la Sonata momentaneamente abbandonata».

Ravel insisteva nel continuare a considerare «momentaneo» l'abbandono della Sonata, ma le cose erano destinate ad andare diversamente. Dopo la depressione ci fu il frenetico lavoro all'opera L'Enfant et les Sortilèges, andata poi in scena a Montecarlo il 21 marzo del 1925 sotto la direzione di Victor De Sabata; quindi la fisiologica fase di indolenza che seguiva immancabilmente ogni periodo di superlavoro: «fino a questo momento ho curato una colossale crisi di pigrizia» - scriveva il 20 aprile - «mi sento invecchiato di dieci anni: è sempre così, dopo ogni periodo di lavoro intenso». Poi fu la volta del lavoro alle Chansons madécasses, commissionategli dalla mecenate americana Elizabeth Sprague Coolidge e terminate, in ritardo, nell'aprile del 1926, che si sovrappose al progetto, poi abbandonato, di un'operetta su testo di Mayrargues, alla correzione delle parti d'orchestra e alla direzione delle prove di L'Enfant et les Sortilèges, messa in scena all'Opéra-Comique a partire dal primo febbraio del 1926, e a una tournée, durata due mesi, di conferenze-concerto in Belgio, Germania, Scandinavia, Inghilterra e Scozia.

E così la Sonata per violino e pianoforte, che nella lettera alla d'Aranyi del marzo del 1924 Ravel considerava «momentaneamente abbandonata», esattamente due anni dopo, il 20 marzo del 1926, veniva descritta in una lettera a Robert Casadesus come «fatta per metà, e attesa dal mio editore»; e ancora dopo altri dieci mesi, il 18 gennaio del 1927, le cose non erano cambiate affatto, ma nel frattempo era stata fissata una nuova data per la prima esecuzione assoluta: «la mia Sonata per pianoforte e violino, lungi dall'essere terminata, dovrà esserlo per il 30 maggio, data fissata per la prima esecuzione a Parigi». Ma naturalmente a poco più di un mese da questa prima parigina, Ravel era ancora in alto mare: il 21 aprile del 1927, rispondendo all'invito di un'amica per il 23 maggio, il compositore sembrava preoccupato di non riuscire a portarla a termine in tempo: «il 23 maggio, cara amica? Piaccia alla nostra buona Euterpe che la mia Sonata sia in via di com-pletamento, e che Enescu non debba decifrarla una settimana dopo!».

Fu infatti il romeno George Enescu ad essere scelto come primo interprete della Sonata in sostituzione della dedicataria, Hélène Jourdan-Morhange, costretta poco più che trentenne ad abbandonare la carriera concertistica per gravi problemi a un braccio. È Yehudi Menuhin, a quel tempo allievo di Enescu, a ricordare il momento - presumibilmente nella terza decade di maggio del 1927, viste le abitudini del compositore - in cui Ravel riuscì finalmente a portare a termine la sua Sonata: «un giorno, mentre Enescu ci dava lezione di violino, Ravel fece improvvisamente irruzione tra noi portando una Sonata per violino e pianoforte che aveva appena terminato. Enescu si mise a leggere questa difficile opera con Ravel al pianoforte, arrestandosi ogni tanto per chiedere un chiarimento. Ravel si sarebbe accontentato, ma Enescu propose di eseguire di nuovo la Sonata, cosa che fece chiudendo il manoscritto e risuonando il tutto a memoria». Dopo questa prova estemporanea, la Sonata ebbe finalmente la sua sospirata prima esecuzione nella Salle Erard di Parigi il 30 maggio del 1927, in un concerto organizzato dall'editore Durand con l'autore al pianoforte e George Enescu al violino.

Nel suo breve schizzo autobiografico del 1928, Ravel offre un'interessante analisi dello stile adottato in questa Sonata. Parlando dell'indipendenza fra i vari strumenti e la voce ricercata nelle Chansons madécasses, contemporanee della Sonata, il musicista francese dice di aver perseguito «un'indipendenza delle parti che sarà riscontrata in modo più marcato nella Sonata. Mi sono imposto questa indipendenza scrivendo una Sonata per pianoforte e violino, strumenti essenzialmente incompatibili, e che, invece di equilibrare i loro contrasti, mettono qui in evidenza proprio questa incompatibilità».

Esemplare a questo proposito è l'ampio primo movimento, Allegretto, pagina levigata e luminosa nella sua pacata scorrevolezza, in cui i due strumenti si fondono mirabilmente "in negativo", contrapponendo continuamente mondi sonori e atmosfere timbriche ben distinte. Forte è il contrasto con il movimento lento, dove Ravel ricorre ai ritmi americani tanto in voga nell'Europa musicale degli anni Venti con un Blues (Moderato).

Il finale, il movimento più breve della Sonata (vale la pena notare che le durate decrescono sensibilmente di movimento in movimento) prende l'avvio, quasi come un motore che si metta in azione, dall'idea ritmica del movimento d'apertura per trasformarsi subito in un virtuosistico Perpetuum mobile (Allegro), una sorta di ronzante "volo del calabrone" attraversato qui e là da qualche eco americaneggiante e sorretto dallo stesso meccanicismo che di lì a qualche anno animerà il finale del Concerto in sol per pianoforte e orchestra.

Carlo Cavalletti

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

A proposito della Sonata per violino e pianoforte, Ravel scrisse di considerare il violino e il pianoforte «strumenti essenzialmente incompatibili» e di aver dunque composto un lavoro in cui essi «lungi dall'equilibrare i loro contrasti, mettono qui in evidenza proprio questa incompatibilità». Come spesso in Ravel, la composizione nasce da una specie di scommessa e i tratti dello stile più tardo del musicista si manifestano tra l'altro nel gioco molto ironico con gli archetipi formali, linguistici ed espressivi della tradizione. La forma di sonata dell'Allegretto iniziale, per esempio, è quanto mai elusiva e originale nella sua ingegnosità, contraddistinta dall'apparizione e sparizione di nuove idee tematiche. Il primo complesso tematico è costituito da due elementi esposti in successione dal pianoforte: una melodia, in sol maggiore lidio (col do diesis) e poi una breve frase ritmica e incisiva. Un enigmatico tema complementare di transizione, espressivo, è quindi combinato con la frase ritmica e incisiva del primo complesso tematico per arrivare all'area del secondo complesso tematico: dopo una serie di ottave diminuite del pianoforte si dipana una lunga melodia del violino, in mi minore, armonizzata dal pianoforte con quinte vuote. Il rallentamento della pulsione ritmica conduce a un' idea tematica conclusiva, armonizzata per quinte e ottave come un'antica polifonia. Lo sviluppo è costruito sull'intreccio di tutti i motivi salienti dell'esposizione: la melodia del primo complesso tematico e l'idea conclusiva, la frase ritmica e incisiva e il tema complementare di transizione, le ottave diminuite del secondo complesso tematico. Un climax conduce quindi al punto culminante, dove risuona la linea del tema complernentare di transizione (tremoli al violino), mentre nell'anticlimax che segue si profila un nuovo tema cantabile del pianoforte. Nella ripresa abbreviata la melodia del nuovo tema si sovrappone, come controcanto cantabile del violino, agli elementi del primo complesso tematico e ai frammenti del tema complementare di transizione, sino a un crescendo che conduce alla ricapitolazione dell'idea conclusiva. La coda, in tempo Andante, offre una serie di imitazioni del pianoforte con la testa della melodia del primo complesso tematico su una nota acuta tenuta (sol) del violino.

Il Blues in la bemolle maggiore è uno dei numerosi omaggi del Ravel postbellico alla musica americana. La logica formale del movimento si fonda sull'allineamento e sulle varianti di diverse idee tematiche: l'espansione sentimentale dell'idea principale contrasta, incompatibilmente, con la costrizione meccanica di quelle secondarie. L'introduzione produce un effetto quasi bitonale tra il violino pizzicato (sol maggiore) e il pianoforte (la bemolle maggiore). Sugli accordi del pianoforte il violino suona, nostalgico, la prima idea tematica, per proporne poi subito una variante. Una nuova sezione con ritmi sincopati e puntati, caratterizzata da progressioni armoniche e trasposizioni, serve da interludio a un'ulteriore variante della prima idea, sino all'apparire di una seconda idea tematica dall'andamento quasi meccanico - in re maggiore, al pianoforte - che anticipa a un certo punto la susseguente terza idea e quindi genera un breve passaggio in canone tra i due strumenti. Andamento decisamente meccanico e ripetitivo ha poi la terza idea tematica, in fa diesis maggiore, del pianoforte, sulla quale il violino disegna un controcanto melodico. Un guizzo del violino conduce poi alla ritransizione. Questa vale come breve parte centrale: al pianoforte si giustappongono in alternanza frasi derivate rispettivamente dalla seconda e dalla prima idea tematica, mentre il violino esegue accordi pizzicati. Il punto culminante del movimento coincide con la ripresa, abbreviata e concentrata, dove la prima e la seconda idea tematica sono simultaneamente sovrapposte. Poi frasi derivate rispettivamente dalla terza e dalla seconda idea tematica si giustappongono in alternanza sino alla coda: qui la prima idea tematica, senza accompagnamento, è spezzata tra il violino e il pianoforte.

Nel Perpetuum mobile la divaricazione nel trattamento degli strumenti raggiunge l'apice. Il moto perpetuo propriamente inteso è affidato al violino, mentre al pianoforte Ravel assegna il compito di accompagnare e al contempo di assicurare un tessuto tematico costituito in larga misura di citazioni dai movimenti precedenti. Ecco allora l'introduzione citare, nella rapida accelerazione dell'impulso ritmico, la frase incisiva del primo complesso tematico del movimento iniziale. Dopo l'avvio del moto perpetuo, in sol maggiore, s'ascolta un tema del pianoforte armonizzato con triadi parallele, poi compaiono le citazioni dei motivi della seconda e della terza idea tematica del Blues, sino a disegnare un climax subito seguito da un anticlimax. Le citazioni proseguono con il tema complementare di transizione del primo movimento, poi di nuovo con la terza idea del Blues. Una ripresa abbreviata ripresenta il tema armonizzato con triadi parallele e quindi le citazioni della seconda e della terza idea tematica del 8lues laddove nella coda ritorna la melodia iniziale della sonata che sfocia in un scintillante epilogo di arpeggi.

Cesare Fertonani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 18 maggio 2001
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 23 marzo 2000
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 192 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 30 gennaio 2014