Il primo incontro di Ravel con la poesia moderna, anzi con la poesia francese tout court, è del 1894, quando egli ha appena diciannove anni: una Ballade de la reine morte d'aimer, che non è stata pubblicata, e probabilmente giace negli archivi dell'Istituto Ravel di Parigi. Autore del testo, un poeta belga, Roland de Marès, allora assai giovane: che poi - al dire di José Bruyr - 'abbandonò la dolce Polinnia per la megera politica'. Interessa comunque segnalare questo immaturo incontro, che testimonia di un'attenzione al clima decadente della lirica belga: da essa erano usciti il Samain caro a Franck, il Rodenbach che aveva sedotto più di un compositore, il Verhaeren intonato nel '99 (Si morne), il gran maestro Maeterlinck, tacendosi del Guiraud di Pierrot lunaire. Ma il gusto per il béguinage di Bruges la morta, i canali nebbiosi e le fanciulle che muoiono di mali ignoti alla patologia ufficiale, fu naturalmente solo una giovanile infatuazione, nel musicista basco. Il secondo lavoro, Un grand sonimeil noir, uscito postumo per le cure del citato Istituto, affronta, debussianamente, Verlaine.
Nel 1896 esce la prima lirica, la emblematica, araldica Sainte del divino Stéphane. (Al quale Ravel tornerà soltanto nel 1913, ma con un lavoro supremo, i Trois poèmes de Stéphane Mallarmé, che a tutt'oggi costituiscono, con buona pace degli illustri Claude Debussy e Pierre Boulez, il vero, l'assoluto 'portrait de Mallarmé').
Sainte nasce in un ambito musicale assai preciso: i suoi vicini naturali, omettendosi la questione annosa degli influssi, e delle precedenze, sono il primo Debussy e il Satie delle Sarabandes: è probabile che proprio quelle impavide serie di none maggiori, intese come blocs o grumi sonori, al di fuori di ogni dialettica armonica, siano l'exemplum del nostro neofita mallar meano. Del pari, non si dovranno trascurare le soluzioni accordali delle Proses lyriques debussiane.
Sulla serie insistente di accordi (settime, none prevalendo), la linea vocale, estremamente semplice, per gradi diatonici il più possibile congiunti, schiva accortamente la inequivoca identificazione tonale. La prima frase, ad esempio, potrebbe intendersi anche in fa maggiore, mancando la sensibile mi, e per di più è innestata, 'liturgicamente', in un'armonia indicata con bastante precisione da due bemolli in chiave.
Mario Bortolotto
SAINTE A' la fenêtre recelant Le santal vieux qui se dédore De sa viole étincelant Jadis avec flûte ou mandore, Est la Sainte pâle, étalant Le livre vieux qui se déplie Du Magnificat ruisselant Jadis selon vêpre et complie: A'ce vitrage d'ostensoir Que frôle une harpe par l'Ange Formée avec son vol du soir Pour la délicate phalange Du doigt que, sans le vieux santal Ni le vieux livre, elle balance Sur le plumage instrumental, Musicienne du silence. |
SANTA Alla finestra che asconde il vecchio sandalo che si sdora della sua viola scintillante un tempo con flauto e mandola, sta la Santa pallida, aprendo il vecchio libro che si spiega del Magnificat scorrente un tempo secondo vespro e compieta: a quel vetro d'ostensorio che sfiora un'arpa dall'Angelo formata col suo volo di sera per la delicata falange del dito che, senza il vecchio sandalo né il vecchio libro, essa fa oscillare sul piumaggio strumentale, musicista del silenzio. |