Histoires naturelles (Storie naturali)

Canti per voce media e pianoforte
Musica: Maurice Ravel (1875 - 1937)
Testo: Jules Renard
  1. Le paon (il pavone): Il va surement se marier aujourd'hui - Sans hâte et noblement (fa maggiore)
    Dedica: Madame Jean Bathori
  2. Le grillon (il grillo): C'est l'heure où, las d'errer - Placide (la minore)
    Dedica: Mademoiselle Madeleine Picard
  3. Le cygne (il cigno): Il glisse sur le bassin -Lent (si maggiore)
    Dedica: Madame Alfred Edwards, née Godebska
  4. Le martin-pêcheur (il martin pescatore): Ça n'a pas mordu, ce soir - On ne peut plus lent (fa diesis maggiore)
    Dedica: Emile Engel
  5. La pintade (la gallina faraona): C'est la bossue de ma cour - Assez vite (mi maggiore)
    Dedica: Roger-Ducasse
Organico: voce, pianoforte
Composizione: ottobre - dicembre 1906
Prima esecuzione: Parigi, Salle Érard, 12 giugno 1907
Edizione: Durand, Parigi, 1907
Guida all'ascolto (nota 1)

Occorre attendere, nel 1906, le Histoires naturelles, per specillare specifiche modalità raveliane.

Sentiamo anzitutto l'autore: 'Il linguaggio diretto e chiaro, la poesia profonda e nascosta di Jules Renard mi sollecitavano da molto. Il testo stesso mi imponeva una declamazione particolare, strettamente legata alle inflessioni del linguaggio francese. La prima audizione delle Histoires naturelles alla Société Nationale de Musique provocò un vero scandalo seguito da vive polemiche nella stampa musicale di allora...' (Esquisse biographique). Ma il primo degli scontenti fu l'autore del testo. Si legge nel suo Journal, in data 16 novembre 1906: 'Thadéo Natanson mi dice:
«Un giovane musicista vuol musicare alcune delle Sue Histoires naturelles. E' un musicista d'avanguardia su cui si fa assegnamento: per lui Debussy è già una vecchia barba... Che effetto Le fa?

"Nessuno".
"La commuove, via!"
"Per nulla".
"Che si deve dirgli da parte Sua?"
"Ciò che vorrà: gli dica grazie".
" Non desidera che Le faccia ascoltare la sua musica?"
"Ah, no, no".

I fasti di questa incantevole repubblica delle lettere, e delle arti, registrano anche la clamorosa risata che accolse la cantatrice, l'eccelsa Jane Bathori, che già aveva crée il ciclo di Shéhérazade nel 1904, l' 'admirable musicienne' di una serata ammirabile, e di una vita ammirabilissima. I facinorosi profittarono di un momento fra i più squisiti, 'Ca n'a pas mordu, ce soir', l'incipit incantato del Martin-Pécheur.

Ma particolarmente maligna fu poi la critica dello autorevole Pierre Lalo, sul "Temps", da cui derivò il motteggio storico: 'Du caf" conc' avec des neuvièmes'. In quell'aureo tempo, anche le boutades erano, come ognun sa, di grande stile. In realtà, per la prima volta in sede culta, Ravel aboliva una secolare distinzione fra il parlato e la prosodia: laddove nel primo le e finali di sillaba e di parola sono mute, nella seconda (verso o canto) divengono semimute, ed esigono una nota tutta per sé. Quasi contemporaneamente, l'elisione veniva teorizzata da Paul Claudel. Per questo, il caffè concerto che secondo Lalo proseguiva in questa musica amabile, s'era meritato l'atroce troncamento.

La prosa di Renard, cesello di vocaboli preziosissimi incuneati in spazi vuoti, è intonata da Ravel senza alcuna attenuazione. Per di più, il musicista introduce altri blancs (vocali) entro gli stessi periodi più lunghi del suo autore: profittandone per comporre musica di una tesa sensibilità, di una fonicità commossa, che era destinata a restare fra le sue più incantatorie. Le cinque figure del minuscolo bestiario sono indicate essenzialmente da questi sottofondi pianistici: dal ritmo secentesco, d'ouverture francese, nel lulliano Paon, dallo scorrere delle quartine di semicrome, su cui intervengono le sigle di terza minore discendente, nel Grillon, nell' ondulare 'enveloppé de pédales' delle settimine ne Le Cygne, negli accordi stagnanti e le doppie ottave di gelo del Martin-Pêcheur, nei movimenti di toccata della Pintade.

La voce che enuncia il testo di Renard spazia fra i molteplici modi del declamato che, senza arrivare a un vero arioso, può concedersi qualche momento espressivo (anzi talvolta très expressif). (Ricordiamo le parallele esitazioni dello Schoenberg liederista dopo l'abbandono della tonalità, e la sua sicurezza che il testo fosse sufficiente ad attuare l'unità che la musica non poteva più garantire).

Mario Bortolotto

Testo

I - LE PAON

Il va sûrement se marier aujourd'hui.
Ça devait être pour hier. En habit de gala, il était prêt.
Il n'attendait que sa fiancée. Elle n'est pas venue.
Elle ne peut tarder.
Glorieux, il se promène avec une allure de prince indien et porte sur lui les riches présents d'usage. L'amour avive l'éclat de ses couleurs et son aigrette tremble comme une lyre.
La fiancée n'arrive pas.
Il monte au haut du toit et regarde du côté du soleil. Il
jette son cri diabolique: Léon! Léon!
C'est ainsi qu'il appelle sa fiancée. Il ne voit rien venir
et personne ne répond. Les volailles habituées ne lèvent
même point la tête. Elles sont lasses de l'admirer. Il
redescend dans la cour, si sûr d'être beau qu'il est
incapable de rancune.
Son mariage sera pour demain.
Et, ne sachant que faire du reste de la journée, il se
dirige vers le perron. Il gravit les marches, comme des
marches de temple, d'un pas officiel.
Il relève sa robe à queue toute lourde des jeux qui
n'ont pu se détacher d'elle.
Il répète encore une fois la cérémonie.
I - IL PAVONE

Si sposerà sicuramente oggi.
Doveva essere ieri. Era pronto, in abito di gala. Aspettava solo la fidanzata. Non e venuta.
Non può tardare.
Pomposo, passeggia con andatura di principe indiano e porta con sé i ricchi doni d'uso. L'amore ravviva il fulgore dei suoi colori e il suo pennacchio trema come una lira.
La fidanzata non arriva..
Egli sale sul tetto e guarda verso il sole. Getta il suo grido diabolico: Leon! Leon!
Così chiama la fidanzata. Non vede venir nulla e nessuno risponde. I volatili abituali non alzano nemmeno la testa. Sono stanchi di ammirarlo. Egli scende nel cortile, così sicuro d'esser bello che è incapace di rancore.
Il suo matrimonio sarà domani.
E, non sapendo che fare della giornata che resta, si dirige verso la scalinata. Sale i gradini, come gradini di tempio, con passo ufficiale.
Solleva la sua veste a coda, pesante di tutti gli occhi che non se ne sono potuti staccare.
Ripete ancora una volta la cerimonia.
II - LE GRILLON

C'est l'heure où, las d'errer, l'insecte nègre revient de promenade et répare aver soin le désordre de son domaine.
D'abord il ratisse ses étroites allées de sable.
Il fait du bran de scie qu'il écarte au seuil de sa retraite.
Il lime la racine de cette grande herbe propre à le harceler.
Il se repose.
Puis il remonte sa minuscule montre.
A-t-il fini? est-elle cassée? Il se repose encore un'peu.
Il rentre chez lui et ferme sa porte.
Longtemps il tourne sa clef dans la serrure délicate.
Et il écoute:
Point d'alarme dehors.
Mais il ne se trouve pas en sûreté.
Et comme par una chainette dont la poulie grince, il descend jusqu'au fond de la terre.
On n'entend plus rien.
Dans la campagne muette, les peupliers se dressent comme des doigts en l'air et désignent la lune.
II - IL GRILLO

E' l'ora in cui, stanco di errare, l'insetto nero ritorna dalla passeggiata e ripara con cura il disordine del suo possesso.
Dapprima sarchia i suoi stretti viali di sabbia.
Fa della segatura che scarta sulla soglia del suo rifugio. Lima la radice di quell'erba alta capace di molestarlo.
Si riposa.
Poi carica il suo minuscolo orologio.
Ha finito? si è rotto? Si riposa ancora un poco.
Rientra in casa e chiude la porta.
A lungo gira la chiave nella serratura delicata.
E ascolta:
nessun allarme al di fuori.
Ma non si sente sicuro.
E come con una catenella la cui carrucola stride, scende fino ai fondo della terra.
Non si sente' più nulla.
Nella campagna muta, i pioppi si levano come dita nell'aria, ed indicano la luna.
III - LE CYGNE

Il glisse sur le bassin, comme un traîneau blanc, de nuage en nuage. Car il n'a faim que des nuages floconneux qu'il voit naître, bouger, et se perdre dans l'eau. C'est l'un d'eux qu'il désire. Il le vise du bec, et il plonge tout à coup son col vêtu de neige.
Puis, tel un bras de femme sort d'une manche, il le retire. Il n'a rien.
Il regarde: les nuages effarouchés ont disparu.
Il ne reste qu'un instant désabusé, car les nuages tardent peu à revenir, et, là-bas, où meurent les ondulations de l'éau, en voici un qui se reforme. Doucement, sur son léger coussin de plumes, le cygne rame et s'approche... Il s'épuise à pêcher de vains reflets, et peut-être qu'il mourra, victime de cette illusion, avant d'attraper un seul morceau de nuage.
Mais qu'est-ce que je dis?
Chaque fois qu'il plonge, il fouille du bec la vase nourrissante et ramène un ver.
Il engraisse comme une oie.
III - IL CIGNO

Scivola sul bacino, come una slitta bianca, di nuvola in nuvola. Giacchè ha fame solo delle nuovole fioccose che vede nascere, muoversi, e perdersi nell'acqua. Desidera appunto l'una di esse. La mira col becco, e tuffa di colpo il collo vestito di neve.
Poi, come un braccio di donna esce da una manica, lo ritira.
Non ha nulla.
Egli guarda: le nuvole spaurite sono scomparse.
Resta disilluso solo un istante, poiché le nuvole tardano poco a tornare: laggiù, dove muoiono le ondulazioni dell'acqua, eccone una che si riforma. Dolcemente, sul suo leggero cuscino di piume, il cigno rema e s'accosta... Si estenua a pescare vani riflessi, e forse morirà, vittima di quest'illusione, prima di arraffare un solo pezzo di nuvola.
Ma che dico?
Ogni guai volta si tuffa, fruga col becco il limo nutritore e riporta un verme.
Ingrassa come un'oca.
IV - LE MARTIN-PECHEUR

Ça n'a pas mordu, ce soir, mais je rapporte une rare émotion.
Comme je tenais ma perche de ligne tendue, un martin-
pêcheur est venu s'y poser.
Nous n'avons pas d'oiseau plus éclatant.
Il semblait une grosse fleur bleue au bout d'une longue
tige. La perche pliait sous le poids. Je ne respirais plus,
tout fier d'être pris pour un arbre par un martin-pêcheur.
Et je suis sûr qu'il ne s'est envolé de peur, mais qu'il a cru qu'il ne faisait que passer d'une branche à une autre.
IV - IL MARTIN PESCATORE

Non ha abboccato nulla, stasera, ma riporto un'emozione rara.
Come tenevo la mia canna di legno tesa, è venuto a
posarcisi un martin pescatore.
Non abbiamo uccello più sfavillante.
Sembrava un grosso fiore azzurro in cima a un lungo
stelo. La canna si piegava sotto il peso. Non respiravo
più, fiero di essere preso per un albero da un martin
pescatore.
E sono certo che non è volato via per paura, ma ha creduto di non far altro che passare da un ramo a un altro.
V - LA PINTADE

C'est la bossue de ma cour.
Elle ne rêve que plaies à cause de sa bosse. Les poules ne lui disent rien: brusquement, elle se pré-cipite et les harcèlent.
Puis elle baisse sa tête, penche le corps, et, de toute la vitesse de ses pattes maigres, elle court frapper, de son bec dur, juste au centre de la roue d'une dinde. Cette poseuse l'agaçait.
Ainsi, la tête bleuie, ses barbillons à vif, cocardière, elle rage du matin au soir. Elle se batte sans motif, peut-être parce qu'elle s'imagine toujours qu'on se moque de sa taille, de «on crâne chauve et de sa queue basse.
Et elle ne cesse de jeter un cri discordant qui perce l'air comme une pointe.
Parfois elle quitte la cour et disparait. Elle laisse aux
volailles pacifiques un moment de répit. Mais elle revient
plus turbulante et plus criarde. Et, frénétique, elle se
vautre par terre.
Qu'a-t-elle donc?
La sournoise fait une farce.
Elle est allée pondre son oeuf à la campagne.
Je peux le chercher si ça m'amuse.
Et elle se roule dans la poussière comme une bossue.
V - LA FARAONA

E' la gobba del mio cortile.
E' un'attaccabrighe.
Le galline non le dicono nulla: bruscamente, essa si precipita e te infastidisce.
Poi abbassa la testa, china il corpo, e, con tutta la velocità delle sue zampe magre, corre a colpire, col becco duro, proprio il centro della ruota di una tacchina. Quella posatrice la stizziva.
Così, con la testa fattasi blu, con le penne mosse, in uniforme, essa s'arrabbia da mane a sera. Si batte senza motivo, forse perché s'immagina sempre che ci si beffi della sua sagoma, del cranio calvo e della coda bassa.
E non cessa di gettare un grido discorde che buca l'aria come una punta.
Talvolta abbandona il cortile e scompare. Lascia ai pacifici volatili un attimo di requie. Ma ritorna più turbolenta e più stridula. E, frenetica, si voltola per terra.
Che ha dunque?
La sorniona recita una farsa.
E' andata a deporre l'uovo in campagna.
Posso cercarlo, se mi ci diverto.
Essa si rotola nella polvere, come una gobba.

(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 24 gennaio 1975


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Ultimo aggiornamento 5 novembre 2015