Daphnis et Chloé, suite per orchestra n. 1


Musica: Maurice Ravel (1875 - 1937)
  1. Nocturne (con coro ad libitum)
  2. Interlude
  3. Danse guerrière
Organico: ottavino, 2 flauti, flauto contralto, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti (2 anche clarinetto piccolo), clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto, 4 corni, 4 trombe, 3 tromboni, tuba, timpani, tamburo, grancassa, piatti, cassa rullante, triangolo, tam-tam, raganella, glockenspiel, macchina del vento, celesta, 2 arpe, archi
Composizione: 1911
Prima esecuzione: Parigi, Théâtre Municipal du Châtelet, 2 aprile 1911
Edizione: Durand, Parigi 1911

Vedi al 1909 n. 76 la versione per balletto, al 1910 n. 79 la versione per pinoforte, al 1912 n. 89 la suite per pianoforte ed al 1913 n. 90 la suite n. 2 per orchestra
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

«Daphnis et Chloé, sinfonia coreografica in tre parti, mi fu richiesta dal direttore della compagnia dei balletti, Monsieur Serge de Diaghilev. L'argomento è di Michel Fokine, allora coreografo della celebre compagnia. Mia intenzione era comporre un ampio affresco musicale, meno preoccupato di arcaismi che di fedeltà alla Grecia dei miei sogni, che si apparenta volentieri a quella immaginata e disegnata dagli artisti francesi della fine del XVIII secolo. L'opera è costruita sinfonicamente secondo un piano tonale molto rigoroso, attraverso un piccolo numero di motivi i cui sviluppi assicurano l'omogeneità sinfonica».

Così Ravel racconta la genesi del lavoro, che debutta a Parigi nel 1912 per la stagione dei Ballets Russes al Théàtre du Chàtelet, un anno dopo l'esecuzione di una prima suite di frammenti del balletto. Un anno prima, Richard Strauss aveva consegnato il Cavaliere della Rosa: la tradizionale datazione al 1920 (Pulcinella di Stravinsky) della svolta neoclassica nella musica europea del Novecento, va riconsiderata. Gli sguardi verso il passato, il dubbio sulla fatalità di un'evoluzione continua, la tentazione di opporsi al peso del sinfonismo tardoromantico recuperando una levità di scrittura e di orchestrazione, la riscoperta del Settecento musicale e figurativo, la rinnovata fiducia concessa alle possibilità dell'armonia temperata, si moltiplicano già all'inizio di quel decennio. Strauss e Ravel concordano anche sulla necessità di ristabilire le distanze tra Mozart e Beethoven; se il musicista bavarese si adopera, come direttore, per restituire al repertorio le opere mozartiane, in quegli anni ancora poco frequentate, il francese ripeteva che «Mozart è la perfezione: è greco, mentre Beethoven è romano. Greco significa grande, romano colossale. Preferisco la grandezza. Non v'è nulla di più sublime del terzo atto dell'Idomeneo di Mozart».

Il debutto di Daphnis et Chloé non è del tutto favorevole: Ravel era in quegli anni ancora orfano della continuità del successo e le proprie ansie e insicurezze lo avevano spinto a chiedere all'amico Louis Aubert di completare lui il lavoro. Di quella prima sera parigina le cronache riportano anzitutto il successo di Nijinskij come interprete del Prelude a l'après-midi d'un faune di Debussy.

La ripresa nel 1913 ha la disgrazia di capitare nel pieno del trionfo di scandalo del Sacre du printemps. Ma a Londra nel 1914, poi di nuovo, e definitivamente, a Parigi nel 1921 in occasione del debutto all'Opera, il titolo convince e valica il confine che separa una partitura dal repertorio, dalla consuetudine dell'ascolto, che a sua volta presenta altri rischi: la stratificazione dell'abitudine, della moda.

Dalla "sinfonia coreografica" Ravel trae, subito, due suite orchestrali, ciascuna suddivisa in tre parti: Nocturne, Interlude, Danse guerrière- Lever du jour, Pantomime, Danse generale. È questa la versione proposta dal concerto di oggi.

Roland-Manuel, allievo e biografo del compositore, sottolinea che «la tavolozza orchestrale è varia come quella dei russi, ma conserva nella propria ricchezza un tatto, una misura, una discrezione tutta francese». Misura, o invece tensione verso l'eccesso? All'inizio, per raccontare l'Arcadia purissima e impossibile inseguita dalla poetica neoclassica, la scrittura di Ravel insegue la germinazione ancestrale del suono, indaga quello che Gustav Mahler aveva chiamato, nella sua Prima Sinfonia, l'Urlaut, il suono prima del suo nascere, la realizzazione del suo venire al mondo. L'orchestra che partorisce suoni, ne viene lei stessa stordita nella Danse guerrière, dove palpitazioni e sghembature ritmiche accumulano progressivamente un'energia figlia di quel motorismo felice che attrae molti compositori d'inizio secolo. Il tempo nervoso della velocità, della moltiplicazione dei punti di vista e degli incroci possibili nel cammino di un'idea, conquista le partiture, espressione della nuova frenesia metropolitana. Neoclassico, futurista e cubista, se proprio avessimo bisogno di etichette. Questo gli chiedeva Michail Fokine, proponendogli per il suo balletto un argomento ricavato da Gli amorì pastorali di Dafni e Cloe, romanzo di Longus Sophista, autore greco del terzo secolo, già colmo di nostalgia per il tempo lontano della Grecia del mito. Ma il coreografo voleva anche una storia di seduzione, di desiderio negato e rinviato che possa poi appagarsi nel "trasognato turbinio" che conduce i due amanti, le ninfe, i pastori, al baccanale conclusivo. Anche Salome era efficace nel sedurre, ma sanguinaria. Ai francesi, le teste deposte sul piatto, ancorché d'argento, garbano meno.

Un lavoro nato su richiesta di un coreografo, cammina in piena autonomia sinfonica: a Ravel accadrà anche con il Boléro. Era stato saggio l'amico Louis Aubert, quando rifiutò il denaro che il compositore gli offriva perché terminasse il lavoro: «Daphnis e Chloé appartiene a voi e voi non avete il diritto di cederla a nessuno».

Sandro Cappelletto

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il progetto di «Daphnis et Chloé» nasce in seguito alla proposta di Serge Diaghilev, direttore dei Balli russi che nel 1909 ottennero a Parigi i loro primi grandi successi. Ravel accetta, ma non senza riservarsi una completa autonomia musicale, e in due anni di lavoro stende una partitura in cui la musica, non subordinata alla cornice appariscente del balletto, conserva intatta la sua supremazia: il sottotitolo di «Sinfonia Coreografica» testimonia infatti la precisa volontà dell'autore. Il soggetto, affidato al librettista Fokine, fu tratto dagli «Amori pastorali di Dafni e Cloe», romanzo di Longo Sofista, scrittore greco del III secolo d.C, imperniato sulle vicende a lieto fine dei due giovani protagonisti. Lo sfondo idilliaco e naturalistico della trama fornisce a Ravel lo spunto e la possibilità di ispirarsi a un modello ben preciso: «la Grecia dei miei sogni, cosi come l'hanno immaginata e dipinta gli artisti francesi della fine del 700».

Sotto la direzione di Pierre Monteux e con le parti principali affidate a Nijinsky e a Tamara Karsavina, la prima rappresentazione ebbe luogo al teatro dello Chàtelet di Parigi l'8 giugno 1912, ottenendo un vivo successo. La critica non mancò di sottolineare l'esito incerto di alcune pagine del balletto, indubbiamente condizionato dalle incomprensioni e dai non lievi dissapori fra Ravel e Fokine: quest'ultimo, infatti, era riuscito a imporre un libretto macchinoso e prolisso, viziato da esigenze spettacolari. Ma nonostante ciò, la musica del «Daphnis», lontana e avulsa da tutto il 'contorno' coreografico, resta sicuramente tra le più valide e suggestive create da Ravel, sul presupposto di una linea stilistica che assimila, ma progressivamente supera, l'eredità debussiana, inoltrandosi in un modo di nuove e più ampie dimensioni sonore. La prova di questa significativa 'libertà', che esclude i legami con l'azione scenica, e insieme la conferma delle intenzioni dell'autore sul ruolo primario da assegnare alla musica, è data dalle due «Suites» che Ravel estrae dalla sua Sinfonia Coreografica, originariamente allestita in tre parti. All'organico orchestrale Ravel aggiunge un Coro, ma specifica 'ad libitum' indicando in alternativa una sostituzione con varianti strumentali.

La prima «Suite», in genere meno nota ed anche meno eseguita, potrebbe forse definirsi un insieme di frammenti musicali, tra l'altro già proposti in una 'anteprima', sempre a Parigi, nel marzo 1911. Si compone di un «Notturno», che nel balletto corrisponde al sogno del pastore Dafni circondato da ninfe che si muovono con ritmo lento e misterioso; seguono «Interludio» e una «Danza guerriera», animata da Cloe, rapita dai pirati e da essi costretta a ballare con le mani legate. Anche la seconda «Suite» è divisa in tre movimenti che, come nella prima, si succedono senza interruzione. Rispettivamente «Alba», trasfigurazione musicale del risveglio della natura, 'fermato' nel momento in cui Dafni, finalmente destatosi dal lungo sonno, ritrova accanto a sé l'amata Cloe; «Pantomima», in cui i due pastori imitano l'incontro del Dio Pan con la ninfa Siringa, mentre un 'a solo' di flauto, delicatamente intrecciato di trilli, richiama la leggenda, collegata a quella circostanza, dell'invenzione dello strumento; una «Danza generale» conclude questo secondo ciclo di 'visioni' musicali, trasformando la melodia in una sorta di orgiastico e frenetico baccanale di suoni.

La ricerca dell'immagine sonora, i differenti mezzi impiegati per individuarla e inserirla in un ambito strumentale denso di sfumature, dissolvenze, contrasti, caratterizza entrambe le «Suites», ma risalta con maggior efficacia in alcuni frammenti. Tra questi «Notturno», in cui il fluire degli accordi, statici e continuamente rallentati, fissa il permanere delle tenebre, animando con improvvisi fremiti il mondo evanescente di ombre e luci che popolano il sogno di Dafni; «Alba», magico e immateriale incanto sonoro che - scrive Roland Manuel - «non è altro che una bruma di arpeggi, ove sospira la brezza del nascere del giorno»; e infine «Danza generale», che l'autore terminò dopo un intero anno di lavoro e che rappresenta l'espressione più completa di una vera e propria estasi musicale, che, alla fine del balletto, accomuna tutti i personaggi. Nel momento conclusivo di questa catarsi spirituale si riassume e si realizza il grande «affresco» ideato da Ravel: ormai superata la funzione puramente decorativa, la musica rivela, senza alcuna ambiguità, il suo prodigioso contenuto impressionistico.

Piero Gargiulo


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 7 febbraio 1999
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino;
Firenze, Teatro Comunale, 23 marzo 1979


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Ultimo aggiornamento 7 dicembre 2018