Ravel, artista di rigore esemplare, parlava della sua musica con competenza ma senza compiacenza, a ciglio asciutto, da critico più che da autore. Per natura era molto riservato e aveva un estremo pudore nel discutere il proprio lavoro. Nel caso del balletto Daphnis et Chloé, per fortuna, ha lasciato una testimonianza un po' più generosa:
«Mi fu commissionato dal direttore dei Ballets Russes, Serge de Diaghilev - scriveva Ravel nel 1928 nel suo Esquisse autobiographique -. Il soggetto è di Fokine, allora coreografo della celebre compagnia. Nello scriverlo avevo intenzione di comporre un vasto affresco musicale, meno preoccupato dell'arcaismo che di rimanere fedele alla Grecia dei miei sogni, che s'imparenta abbastanza volentieri con quella immaginata e dipinta dagli artisti francesi della fine del Settecento. L'opera è costruita sinfonicamente secondo un piano tonale molto rigoroso per mezzo di un limitato numero di motivi, i cui sviluppi assicurano l'omogeneità sinfonica dell'opera. Abbozzata nel 1907, Daphnis fu rielaborata più volte, soprattutto nel finale».
Nel breve ricordo di Ravel sono sfiorati parecchi temi utili per ripercorrere la vicenda di questo lavoro, che segna in sostanza il confine della prima fase della sua opera. La frase conclusiva, nella sua apparente noncuranza, cela il travaglio dell'autore per la creazione di questo balletto. L'intero progetto, non solo la musica del finale, fu più volte interrotto e ripreso, lasciando nel compositore un'impressione di estenuante lunghezza. Ravel confonde addirittura le date, dal momento che non era possibile che nel 1907 fosse già al lavoro sul balletto, visto che in quell'epoca Diaghilev non aveva ancora iniziato le sue saisons a Parigi. Le ragioni delle difficoltà a portare avanti il progetto furono di natura diversa. La principale era costituita probabilmente dall'incomprensione di fondo tra Fokine e Ravel sul soggetto. La Grecia dell'uno non corrispondeva minimamente a quella dell'altro, e la precisazione di Ravel, di essere stato "moins soucieuse d'archaisme que de fidélité a la Grece de mes réves", allude a una distanza tra le loro visioni del soggetto più marcata di quanto la lievità delle parole manifesti. La fonte era il romanzo di un autore greco chiamato Longo, vissuto probabilmente nel II secolo d.C, di cui si conosce quasi soltanto il nome. Il desiderio di Ravel di raffigurare in teatro la "Grecia dei suoi sogni" mal s'accordava con la passione quasi archeologica di Fokine per i riti del mondo arcaico, tanto meno in un romanzo come quello di Longo, che raffigurava con realismo e immagini vivaci la vita dell'isola di Lesbo.
Un'altra frase del musicista, a distanza di tanti anni, sembra scritta per togliere con eleganza un sassolino dalla scarpa: "L'opera è costruita sinfonicamente secondo un piano tonale molto rigoroso". La puntigliosa spiegazione del carattere musicale della partitura rivela forse una vecchia ferita. Diaghilev infatti, fin dall'audizione al pianoforte della prima parte del lavoro, rimase piuttosto freddo verso la musica di Ravel, giudicata troppo sinfonica e poco adatta alla coreografia. Ribadì le sue critiche anche all'editore Durand, alla vigilia dell'allestimento, e fu convinto solo a fatica ad accettare il lavoro. Il confronto con la naturalezza coreografica della musica di Stravinskij, allora astro nascente dei Ballets russes, doveva aver infastidito non poco l'amor proprio di Ravel.
La vicenda teatrale di Daphnis et Chloé non costituisce un episodio felice della carriera di Ravel. La partitura fu terminata il 5 aprile 1912 e il balletto venne rappresentato per la prima volta al Théàtre du Chàtelet l'8 giugno dello stesso anno, con le scene dipinte da Leon Bakst e la direzione d'orchestra di Pierre Monteaux. Nijinskij e Tamara Karsavina interpretavano i ruoli principali. La produzione fu turbata per tutta la durata delle prove da incomprensioni tra gli artisti. Diaghilev, che alla fine ridusse la produzione dello spettacolo a due sole rappresentazioni, non perdeva occasione di trattare con sufficienza Ravel davanti a tutti. La prima rappresentazione diventò una sorta di duello al fioretto tra i due artisti. Il musicista arrivò di proposito in ritardo, a spettacolo già cominciato, con un vistoso pacco sotto braccio, recandosi nel palco di Misia Sert. Giusto nel momento in cui Nijinskij faceva la sua entrata, Ravel cominciò a scartare rumorosamente l'involucro della scatola, che conteneva una splendida bambola giapponese, porgendo l'oggetto all'amica Misia e ignorando platealmente quel che accadeva sul palcoscenico. Per tutto il resto della rappresentazione non si mosse dal suo palco, senza presentarsi alla ribalta per i ringraziamenti. La musica fu accolta con stima, ma piuttosto freddamente.
Il vero motivo del fallimento del progetto consisteva tuttavia in un errore radicale da parte di entrambi, aver creduto di rimediare con il grande mestiere degli artisti ai difetti di una coppia malassortita. Ravel e Diaghilev non potevano certo intendersi, specie su un tema così delicato come quello stimolato dall'opera di Longo Sofista. La chiave dell'interpretazione del testo è contenuta nel labirinto dell'erotismo. «Mentre nel romanzo tradizionale - osserva giustamente Gaetano Balboni - gl'innamorati sono impediti di dar vita al loro sogno da un succedersi di contrarietà di carattere esterno, qui, invece, l'ostacolo è di natura intima, psicologica e viene dall'ingenuità, dalla semplicità e, a un certo punto, anche dalla paura, non d'altrui ma di sé».
Il tema fondamentale della trama, la scoperta del sesso da parte di due giovani pastori, conferisce al corpo un valore preponderante, in linea con i mezzi espressivi dei Balletti russi. La sensualità del corpo umano era sempre stata al centro del mondo artistico di un personaggio come Diaghilev. Nijinskij, il puro folle che incarnava nella presenza fisica esplosiva il suo ideale di genio, aveva appena lasciato di stucco il pubblico parigino, qualche giorno prima di Daphnis, con un'interpretazione del Prelude a l'après-midi d'un faune che suscitò uno scandalo clamoroso. Nijinskij, inebetito dal piacere e disteso sui veli delle ninfe, terminava la coreografia con la rappresentazione nuda e cruda di un vero orgasmo.
Ravel rimaneva profondamente estraneo a questa sensibilità, per così dire mediterranea. La fisicità entra nel suo mondo sempre in modo trasfigurato, mai attraverso un coinvolgimento diretto. L'erotismo non era certo un tema evitato da Ravel, basti pensare a Shéhérazade, ma la sostanziale innocenza con cui la sua musica esprime questa dimensione umana era infinitamente lontana dalla sensualità del corpo vibrante negli spettacoli dei Ballets russes. Lo stile di Ravel, anche nelle partiture più lussureggianti, procede per vie oblique, privilegiando l'ironia, l'elisione e l'astrazione. La sensualità, che costituisce una componente essenziale della musica sia di Debussy, sia del primo Stravinskij, manca in Ravel, il quale osserva, analizza e quindi raffigura il mondo come fosse un chimico che studiasse le proprietà della materia.
La fortuna di Daphnis et Chloé è stata però consacrata dalle due serie di frammenti sinfonici che Ravel trasse dal balletto. La prima Suite, che corrisponde alla parte centrale, fu eseguita in concerto un anno prima della rappresentazione, il 2 aprile 1911 allo Chàtelet, dall'Orchestre Colonne diretta da Cabriel Pierné. È composta da Nocturne, Interlude e Danse guerrière. Il Nocturne era contrassegnato in origine dalla presenza di un coro a cappella, che canta fuori scena. La parte vocale, però, non fu considerata essenziale dall'autore, che preparò nell'aprile 1912 una versione dell'intera partitura senza coro. Entrambe le versioni sono dunque lecite. La seconda Suite, suonata più spesso, comprende tre episodi concatenati, che corrispondono puntualmente al finale dell'opera: Lever du jour, Pantomime e Danse générale.
Partitura volta a volta poetica e brillante, Daphnis et Chloé è senza uguali nell'opera di Ravel per slancio e fantasia timbrica. Considerata la vicinanza tra il lavoro di Ravel e Le Sacre du Prìntemps di Stravinskij, è facile notare come Daphnis et Chloé abbia rappresentato all'inizio del Novecento un modello alternativo di orchestra moderna. Rispetto all'aggressività manifestata dall'orchestra di Stravinskij nella contrapposizione dei timbri, la strumentazione di Ravel esalta l'impasto dei colori, amalgamati con fantasia e sensibilità magistrali. Il Sacre comprime il suono in una densa materia stratificata, mentre Daphnis compone un affresco lussureggiante e di splendidi colori. La concezione delle due musiche rispecchia in parte la molteplice natura dei linguaggi che hanno dato vita al Novecento. L'orchestra di Stravinskij sembra prendere in considerazione la tecnica del montaggio cinematografico, quella di Ravel propende invece verso la scienza ottica di Seurat.
Dopo il Daphnis, Ravel compì una svolta stilistica, in direzione di una musica sempre più raffinata e spoglia. Gli capitava talvolta di riascoltare in concerto la musica del balletto e di meravigliarsi, quasi a malincuore, di questa facile vena alla quale non voleva più abbandonarsi. Resta tuttavia la certezza che l'orchestra del Novecento deve moltissimo al primo Ravel, il più brillante virtuoso di un simile pantagruelico strumento.
Oreste Bossini