Le tombeau de Couperin (Elegia per Couperin)

Versione per orchestra

Musica: Maurice Ravel (1875 - 1937)
  1. Prélude - Vif (mi minore)
  2. Forlane - Allegretto (mi minore)
  3. Menuet - Allegro moderato (mi minore)
  4. Rigaudon - Assez vif (do maggiore)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, tromba, arpa, archi
Composizione: giugno 1919
Prima esecuzione: Parigi, Salle Érard, 28 febbraio 1920
Edizione: Durand, Parigi 1919

Vedi al 1914 n. 100 la versione per pianoforte ed al 1920 n. 112 la versione per balletto
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Ravel ha trascritto per orchestra quasi tutti i suoi lavori composti per il pianoforte (subito o a distanza di anni), creando di solito un capolavoro da un capolavoro. La versione per pianoforte di una sua musica non nasceva mai, infatti, come un cartone preparatorio, o una sinopia, nasceva bensì come disegno elaborato e in sé compiuto, oltre al quale o accanto al quale il musicista ripensava poi la sua musica con un diverso carattere sonoro: ed è naturale che la versione per orchestra (l'orchestra di Ravel!) possa essere più mossa, cangiante, più saporita della prima concezione pianistica, classica, nitida, asciutta. Così avvenne ad esempio col Menuet antique del 1895, che Ravel orchestrò trentacinque anni dopo, illuminando la grazia compassata con una sottile ironia. Non tale è il caso del Tombeau de Couperin, le cui versioni, la pianistica e l'orchestrale, hanno la stessa chiara e agile serietà di linguaggio. Ma non hanno la stessa architettura. Infatti, delle sei parti del Tombeau per pianoforte, Prelude, Fugue, Forlane, Rigaudon, Menuet, Toccata, Ravel accantonò le due forme strumentali pure (Fugue e Toccata), non adatte a un ripensamento strumentale agile, come ho detto, e mantenne le quattro forme di danza facendone una vera suite all'antica, con il Rigaudon all'ultimo come finale efficace (prima esecuzione il 28 febbraio 1920, ai Concerts Pasdeloup).

"All'inizio del 1915 mi arruolai nell'esercito; in conseguenza di ciò la mia attività musicale s'interruppe fino all'autunno del 1917, quando fui riformato. Terminai allora Le Tombeau de Couperin. A dire il vero l'omaggio è rivolto non tanto al solo Couperin quanto all'intera musica francese del XVIII secolo. Dopo Le Tombeau de Couperin le mie condizioni di salute mi impedirono per qualche tempo di scrivere". (Une esquisse biografique de M.R., a cura di Roland-Manuel, vers. ital. in Ravel, scritti e interviste a cura di E. Restagno, EDT, Torino 1995, p. 6). Con la sua riservatezza Ravel accenna appena alla sua malattia e cela ciò che fu essenziale per lui in quei tre, quattro anni, cioè le ferite della sua anima: l'angoscia della guerra, la morte della madre nel 1917 (per lui una perdita irrimediabile), la scomparsa di amici cari nelle trincee.

Nella versione per pianoforte i sei brani del Tombeau sono dedicati ognuno a un amico morto in guerra. Nella musica di Ravel, tuttavia, non c'è traccia di dolore o di lutto: in omaggio ai morti essa volle essere la celebrazione di forme pure, perfette, consolanti giunte a noi nel disordine dell'esistenza da un'età artistica ammirata. Ed è musica mirabilmente intelligente e ricca di sfumati segreti (il meraviglioso Menuet, che si fa serio e inquieto nel trio al suo centro) e limpida (le aggraziate melodie dell'oboe nel Prélude), e a tratti allegra e ironica nella ostentata solidità del passo o nella vivacità popolaresca (le asperità "novecentesche" della Forlane).

L'organico orchestrale è quello di una nutrita orchestra barocca (tutti i legni a due, due corni, una tromba, archi), cui è aggiunta, novità timbrica, un'arpa.

Franco Serpa

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Le tombeau de Couperin, è uno dei primi brani di Ravel ascrivibili, come si vedrà, all'ambito neoclassico, e fu fra l'altro l'ultima pagina concepita dal compositore direttamente per lo strumento a tastiera (La valse, composta subito dopo, fu pensata contemporaneamente nella versione pianistica e in quella orchestrale). Ravel attese alla stesura del brano negli anni della prima guerra mondiale, e la gestazione si rivelò estremamente travagliata; sia per le vicende belliche, che videro il compositore arruolarsi volontario nell'esercito francese, sia per le vicende private, incentrate sulla perdita della madre, fonte di una grave crisi depressiva. Così, sebbene lo spartito pianistico venisse iniziato nel 1914 e costituisse il principale impegno di quegli anni, la sua definitiva conclusione si potè realizzare solamente nel novembre 1917.

Si trattava, secondo le parole dell'autore a un amico, di una "suite francese", composta di sei movimenti, ciascuno dei quali dedicato alla memoria di un amico scomparso in guerra: Prelude, Fugue, Forlane, Rigaudon, Menuet, Toccata. L'omaggio ai defunti si realizza non attraverso pagine di intonazione luttuosa, ma attraverso forme consacrate della tradizione francese. Il titolo chiarisce il secondo intento del brano. Il termine tombeau, che non ha alcuna allusione funebre, è inteso nella antica accezione di "omaggio a". Dunque anche un omaggio alla civiltà strumentale del barocco francese, identificata nella persona di Francois Couperin le Grand, il sommo clavicembalista presso la corte di Luigi XIV. A scanso di equivoci è bene precisare che l'omaggio a Couperin è puramente nominale, senza alcuna citazione testuale di musiche del cembalista. Ravel si inserisce, insomma, in modo personale nella corrente "neoclassica" - che si affermerà compiutamente e vivrà la sua grande stagione fra le due guerre - e insieme si contrappone all'avanguardia francese, capeggiata da Cocteau e Satie, che teorizzava polemicamente il ricorso a una "musica d"uso".

Due anni più tardi Ravel accolse l'invito dei Concerts Pasdeloup di curare una versione orchestrale del lavoro (che venne poi eseguita il 20 febbraio 1920 sotto la direzione di Rhené-Baton). Espunse il secondo e il sesto brano dalla suite e mutò la disposizione dei rimanenti (Prelude, Forlane, Menuet, Rigaudon). Il passaggio dalla versione pianistica a quella orchestrale era quasi implicito nella ricchezza di colori della scrittura pianistica del compositore. A questo proposito sono illuminanti le parole dell'amico Roland-Manuel: «Questa metamorfosi dei pezzi pianistici in lavori sinfonici era un gioco per Ravel, un gioco giocato alla perfezione, cosicché la trascrizione superava il fascino dell'originale. L'abilità ha raggiunto il suo vertice in Le tombeau de Couperin. Questa trascrizione sortisce un effetto che è virtualmente mozartiano. Una severa necessità governa ogni movimento; con estrema semplicità ed economia Ravel ottiene brillantezza e varietà di colori nel corso di tutto il lavoro, una precisione, infatti, che eguaglia e forse sorpassa i più brillanti successi del suo virtuosismo orchestrale». Nella versione pianistica, ad esempio, Ravel ricorre spesso all'intreccio fra le due mani per evocare, con una modificazione timbrica, le due tastiere del cembalo. Questo gioco viene tradotto, nella versione orchestrale, con l'alternanza continua degli strumenti a fiato, uno dei principi che innerva da cima a fondo la ricchissima partitura.

La successione dei vari movimenti, nell'ultima versione, non si richiama ai principi barocchi, quanto piuttosto alla sinfonia classica, con un primo movimento bitematico, un tempo lento, un minuetto e un tempo brillante. Il Prélude (Vif) è interamente percorso da un incessante scorrere di sestine, soprattutto fra i legni, con un ruolo preminente dell'oboe. Segue una Forlane (Allegretto) dalle movenze eleganti, con una sezione centrale contrastante ma legata tematicamente e affidata ancora ai legni, guidati dalla coppia di flauti. Il Menuet (Allegro moderato), fra i più raffinati esempi consimili di Ravel, viene seguito da una Musette (così definita nella versione pianistica) e da una ripresa che coniuga elementi di entrambe le danze. Il Rigaudon (Assez vif), infine, interrotto da una malinconica sezione centrale affidata a oboe e corno inglese, conclude l'omaggio alla civiltà francese con una impostazione brillante molto incisiva dal punto di vista ritmico.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 10 dicembre 2011
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 17 gennaio 2002


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Ultimo aggiornamento 15 maggio 2015