Chansons madécasses (Canzoni malgasce)

Versione per soprano e tre strumenti

Musica: Maurice Ravel (1875 - 1937)
Testo: Evariste-Désiré Parny de Forges
  1. Nahandove - Andante quasi allegretto
  2. Aoua! - Andante
  3. Il est doux - Lento
Organico: soprano, flauto, violoncello, pianoforte
Composizione: aprile 1925 - aprile 1926
Prima esecuzione: Roma, Accademia americana, 8 maggio 1926
Edizione: Durand, Parigi 1926
Dedica: Mrs. Elisabeth Sprague Colidge, en très respctueux hommage

Vedi anche la versione per soprano e pianoforte
Guida all'ascolto (nota 1)

Scritte tra l'aprile 1925 e l'aprile 1926 su commissione della mecenate statunitense Elisabeth Sprague Coolidge, a cui sono dedicate, queste composizioni utilizzano dei versi tratti dal volume "Chansons madécasses, traduites en francais, suivies de poésies fugitives" di Evariste-Désiré Parny de Forges, scrittore vissuto dal 1753 al 1814. Nella prefazione di questo volume c'erano delle frasi che colpirono la sensibilità di Ravel: «L'isola di Madagascar è divisa in un numero infinito di piccoli territori, che appartengono ad altrettanti principi. Questi principi sono in perpetua rivalità, essendo lo scopo di queste guerre il fare dei prigionieri che saranno in seguito venduti agli Europei. Cosicché, se noi non fossimo là, questi popoli sarebbero felici e contenti. Essi sono abili, intelligenti, amabili e ospitali. Quelli che vivono lungo le coste si mostrano legittimamente diffidenti verso gli stranieri e, nei loro contratti, prendono tutte le precauzioni che detta loro la prudenza, cioè capestreria. I malgasci sono di una natura felice. Gli uomini sono sfaccendati mentre le donne lavorano. Essi sono appassionati di musiche e di danze. Io ho raccolto e trascritto alcuni di questi canti che daranno così un'idea dei loro costumi e della loro vita. Essi non conoscono il verso e la loro poesia si offre come una prosa molto elaborata. La loro musica è semplice, amabile e sempre malinconica».

In realtà il Parmy de Forges non aveva mai messo piede nel Madagascar e non ne conosceva i dialetti. Ma ciò non aveva per Ravel una particolare importanza: nelle frasi della prefazione c'erano elementi che sollecitavano i suoi atteggiamenti d'anticolonialismo, la sua adesione alla concezione di Rousseau del "buon selvaggio", oltre alla constatazione che l'inventore dei "poemi in prosa" non era stato, come si insegnava nelle università, Aloysius Bertrand. Di conseguenza, nella sua scelta, i canti d'amore e di voluttà sono intramezzati da un canto di ribellione e di guerra. Non per nulla, quando il secondo poema del trittico, Aoua! Aoua! Méfiez-vous des blancs venne eseguito in una casa privata nel 1925, l'uditorio si divise e, mentre alcuni chiedevano il bis, non mancò il patriota di turno nelle vesti dell'oscuro compositore Leon Moreau, il quale si mise ad urlare scompostamente che, nel momento in cui i soldati francesi cadevano nelle imboscate di Abd-el-Krim, queste professioni di fede erano intollerabili; e ben presto l'incidente fu seguito da una "protesta dei patrioti", cioè del colonialismo, di cui erano testimoni in quell'epoca intellettuali come Gide, Eluard, Breton, Aragon. Accennando alle Chansons madécasses, Ravel nel proprio Esquisse biographique si premurò di precisare: «Le Chansons madécasses mi sembrano apportare un elemento nuovo - drammatico e veramente erotico - che ha introdotto il soggetto stesso di Parny.

È una specie di quartetto nel quale la voce gioca il ruolo di strumento principale. La semplicità vi domina. Vi si afferma l'indipendenza delle parti secondo un principio che si troverà in modo più marcato nella Sonata per violino e pianoforte».

La prima esecuzione pubblica delle Chansons madécasses ebbe luogo il 13 giugno 1926 alla Salle Erard di Parigi nella interpretazione della cantante Jane Bathori, del flautista Baudoin, del violoncellista Kindler e di Casella al pianoforte. Sulla "Revue Musicale" del luglio di quell'anno Henri Prunières scrisse: «Siano rese grazie a Mrs Coolidge che ha stimolato la creazione di questo autentico capolavoro. Come si sono ingannati quelli che profetizzavano, all'indomani della guerra, che Ravel aveva detto la sua ultima parola... Egli si rinnova periodicamente senza cessare di essere se stesso».

Le Chansons madécasses si presentano come un trittico unificato, in un certo senso, dall'impiego di materiale musicale comune in Nahandove e in Il est doux; il trattamento lineare dei tre pezzi si accoppia a una specie di primitivismo di cui è un aspetto l'uso estensivo della ripetizione degli accompagnamenti, secondo però una strategia d'attenta misura. Nei tre episodi la voce canta in un libero recitativo, ma l'indipendenza delle linee sovrapposte degli strumenti non esclude il preciso collimare della voce stessa con i ritmi dell'accompagnamento. Frequenti momenti di sospensione della tonalità, assieme al trattamento strumentale della vocalità, hanno suggerito un certo accostamento al Pierrot lunaire schönberghiano. Nell'insieme, si ascoltano sonorità insolite: in complesso, la scrittura risulta più efficace quanto più è sobria.

Nahandove ha l'aspetto d'un soave notturno d'amore su un ritmo di berceuse (Andante quasi allegretto) ove assumono un ruolo dominante gli intervalli di quarta e di settima. La frase iniziale del violoncello evoca la giovane Nahandove, così come la figura ritmica che avvia la linea vocale per ritornare periodicamente. Il flauto interviene solo all'arrivo di Nahandove. Il violoncello introduce poi un secondo motivo, ripreso dall'ottavino e che riappare, sempre all'ottavino, nell'Il est doux finale. La frase c'est elle ripetuta tre volte conduce al vertice espressivo, superato il quale la musica tende a placarsi in una conclusione derivata prevalentemente dalle battute d'avvio.

In Aoua! l'invenzione d'un grido di guerra, aggiunto da Ravel al testo di Parny, dà immediatamente l'idea del carattere dell'episodio: «non è che un grido, un grido roco, feroce, dissonante che stringe il cuore» (Jankélévitch). Dopo l'aspra introduzione si ascolta un'estesa sezione bitonale di sapore funebre in cui il pianoforte risuona come un gong. Un nuovo inciso (in accelerando) porta all'Allegro feroce, in cui un flauto stridente sembra evocare gli squilli d'una tromba, mentre l'ostinato martellare del pianoforte, con le sue nude settime maggiori, suggerisce l'idea d'un primitivo tamburo. Qui la linea vocale è una variante ritmica della precedente sezione funebre. I passaggi conclusivi riaffermano la parità fra voce e strumenti e conducono ad una cadenza bitonale.

Con Il est doux ritorna l'atmosfera di Nahandove: la canzone sfrutta l'intervallo di settima maggiore, attingendo a momenti di sospensione tonale. L'introduzione per flauto solo, amabile e malinconica, esalta il ruolo degli intervalli di quarta e di settima. Il violoncello, poi il pianoforte e il flauto evocano un'atmosfera di danza esotica risonante in lontananza. Un passaggio da corale annuncia l'approssimarsi del vento della sera. Infine una frase in parlato, Allez et préparez le repas, chiude il sipario sull'esotico e ripropone la realtà quotidiana.

Luigi Bellingardi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 8 novembre 1996


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Ultimo aggiornamento 18 maggio 2012