Variazioni per pianoforte su un tema di Corelli (La Folia), op.42


Musica: Sergej Rachmaninov (1873 - 1943)
  1. Tema - Andante
  2. Variazione I - Poco più mosso
  3. Variazione II - L'istesso tempo
  4. Variazione III - Tempo di Menuetto
  5. Variazione IV - Andante
  6. Variazione V - Allegro ma non tanto
  7. Variazione VI - L'istesso tempo
  8. Variazione VII - Vivace
  9. Variazione VIII - Adagio misterioso
  10. Variazione IX - Un poco più mosso
  11. Variazione X - Allegro scherzando
  12. Variazione XI - Allegro vivace
  13. Variazione XII - L'istesso tempo
  14. Variazione XIII - Agitato
  15. Intermezzo - Variazione XIV - Andante
  16. Variazione XV - L'istesso tempo, dolcissimo
  17. Variazione XVI - Allegro vivace
  18. Variazione XVII - Meno mosso
  19. Variazione XVIII - Allegro con brio
  20. Variazione XIX - Più mosso. Agitato
  21. Variazione XX - Più mosso
  22. Coda - Andante
Organico: pianoforte
Composizione: 19 Giugno 1931
Prima esecuzione: Montreal, His Majesty's Theatre, 12 ottobre 1931
Edizione: Tair, Carl Fischer, 1931
Dedica: Frizt Kreisler
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Rachmaninov è una delle ultime incarnazioni della figura di concertista-compositore dell'epoca tardo-romantica, secondo la grande tradizione di Liszt e di Busoni, e si può dire che il suo nome sia legato più all'esaltante e ammirata attività di interprete (pianista e direttore d'orchestra) piuttosto che a quella di autore e di creatore di musica, anche se la produzione è abbastanza consistente e comprende tre lavori teatrali (il più noto è la Francesca da Rimini), due oratori, tre sinfonie, diversi poemi sinfonici, un numero esteso di liriche vocali e quattro concerti per pianoforte e orchestra, dei quali il secondo e il terzo godono di ampia popolarità. Infatti Rachmaninov fu un superbo virtuoso della tastiera e riversò innanzitutto nelle composizioni per pianoforte (di fogli d'album, morceaux e préludes ne scrisse parecchi, oltre alle due Sonate, la prima in re minore op. 28 del 1906 e la seconda in si bemolle minore op. 36 del 1913, revisionata nel 1931) il suo mondo espressivo e il suo temperamento introverso e scontroso, incurante e quasi sprezzante verso ogni novità che fermentava nella vita musicale, nel primo trentennio del Novecento.

Egli mantenne costantemente un atteggiamento freddo e distaccato e a volte polemico nei confronti del famoso "gruppo dei cinque" e in special modo di Musorgskij ; subì invece il fascino della musica di Chopin, di Liszt e soprattutto di Cajkovskij, il quale aveva preconizzato all'impareggiabile pianista, quando era ragazzo, un brillante avvenire artistico. Ma ciò non toglie che anche l'arte di Rachmaninov abbia succhiato la propria linfa dal patrimonio folclorico e popolare russo con una evidente propensione verso una visione della vita intrisa di sconsolata malinconia, che è un po' il filo rosso dell'anima poetica slava. Ciò spiega, o aiuta a comprendere, come mai questo artista, lontano dagli ideali della rivoluzione russa del 1917 e diventato cittadino americano qualche anno prima di morire, goda di larga stima in URSS, dove le sue composizioni sono state pubblicate in edizioni critiche e vengono eseguite frequentemente dalle principali società concertistiche.

Un esempio della straordinaria abilità pianistica di Rachmaninov è dato dalle venti Variazioni su un tema di Corelli op. 42, eseguite dallo stesso autore a New York nel 1932 ed elaborate sul tema cosiddetto "della follia", indicato nella Sonata per violino n. 12 di Corelli. Esse si distinguono per varietà inventiva e ricchezza di colori timbrici e possono definirsi uno studio preparatorio della Rapsodia su un tema di Paganini per pianoforte e orchestra, apparsa due anni dopo e accolta subito con grande successo. In effetti le variazioni n. 4 e n. 8 sembrano anticipare certi passaggi di quest'opera posteriore e ben più famosa presso il pubblico. Non c'è dubbio che nell'op. 42 è condensato in nuce il temperamento di. Rachmaninov, malinconico ed estroso allo stesso tempo, e non mancano quelle schiarite liriche tipiche del suo inconfondibile pianismo.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Tra i compositori nati intorno al 1870, vale a dire la generazione di Schönberg, Ravel, Scriabin, Ives, Reger, indipendentemente dalle valutazioni qualitative, Serghei Rachmaninov è quello che resta più legato al secolo passato e riguardo al linguaggio forse addirittura il più «reazionario». Formatosi nella Russia zarista di fine secolo e coinvolto profondamente nelle tematiche regressive del decadentismo, Rachmaninov è tra i musicisti della sua generazione quello più insensibile al nuovo. La sua stessa carriera di pianista-compositore, da Pietroburgo a Beverly Hills, si pone come la logica continuazione nel nostro secolo dell'esperienza dei grandi virtuosi ottocenteschi. E anche riguardo all'indelebile matrice russa che caratterizza la sua musica è facile rilevarvi la prevalenza del filone cosmopolitico di matrice ciaikovskiana tendente a stemperarsi nell'elegia e nel ripiegamento soggettivo piuttosto che la sensibilità nei confronti delle punte acuminate dei fermenti modernisti e slavofili. La testimonianza artistica di Rachmaninov, coerente fino alla ripetitività, resta inesorabilmente ancorata ai gesti pletorici e alle effusioni sentimentali del tardo romanticismo, incurante dei capovolgimenti e delle riflessioni profonde che sconvolgono il panorama della musica nei primi quarant'anni del Novecento. La sua fede incrollabile nelle forme e nelle formule del pianismo romantico ne fa una sorta di sopravvissuto chiuso nella gabbia dorata di un isolamento solitario ancorché ripagato dai favori del grosso pubblico.

Guardata con sospetto e talvolta perfino con disprezzo la posizione astorica di Rachmaninov, sensibile alle lusinghe del successo che in molti casi sembrò indirizzarne le scelte, è stata recentemente riconsiderata con occhio più benevolo. Sono innegabili ad esempio i pregi di un mestiere scaltrissimo indubbiamente sincero e personale anche quando appare più compromesso con le esigenze di un virtuosismo da spettacolo. Serghei Rachmaninov fu uno dei più grandi pianisti di questo secolo come ci testimoniano ancora le sue splendide incisioni discografiche registrate in America e l'incidenza di questa finalità esecutiva è quasi sempre determinante nelle sue composizioni. Rachmaninov compositore pensa in primo luogo alla destinazione concreta del concerto, alla manualità prodigiosa del pianista e mai in termini astratti di logica esclusivamente musicale: anche in questo è l'erede ideale della tradizione virtuosistica ottocentesca.

Le Variazioni op. 42 sfuggono peraltro a un inserimento logico nel ritratto fin qui delineato e in un certo senso possono costituire una sorpresa per chi è solito identificare Rachmaninov con lo stile delle sue opere maggiori e più note, dai Preludi ai quattro Concerti per pianoforte e orchestra. Composte in Svizzera nell'estate del 1931 queste Variazioni, l'ultima opera per pianoforte se si escludono alcune revisioni di lavori precedenti, furono tra le poche fatiche compositive di Rachmaninov a non riscuotere un successo immediato. Lo stesso compositore, che le eseguì nell'ottobre 1931 a Montreal per la prima volta, abituato a captare immediatamente gli umori del pubblico e accortosi del nervosismo della sala si vide costretto a praticarvi dei tagli improvvisati. E anche nelle esecuzioni successive Rachmaninov presentò di queste Variazioni solo degli estratti senza mai riuscire a suonarle integralmente.

Il genere delle Variazioni aveva fatto la sua comparsa nell'attività di Rachmaninov nel lontano 1903 prendendo spunto dal Preludio in do minore di Chopin e vi ritornerà trent'anni più tardi con la famosa Rapsodia su un tema di Paganini, op. 43, per pianoforte e orchestra. Alla luce di questi esempi è chiaro l'atteggiamento di Rachmaninov nei confronti del genere delle Variazioni, estraneo a qualsiasi influenza architettonica di carattere classico e piuttosto orientato verso una sorta di libero andamento rapsodico sulla strada delle famose improvvisazioni virtuosistiche del secolo scorso. Nel caso delle Variazioni op. 42 è però innegabile un impegno formale più severo, una maggiore economia di mezzi e una ricerca più sottile nelle elaborazioni, caratteristiche che certo influirono sul mancato successo del lavoro. Il tema prescelto è quello famoso utilizzato da Arcangelo Corelli nel finale dell'ultima Sonata dell'opera quinta per violino e basso continuo. Tema di origine popolare già noto fin dagli inizi del Cinquecento e di probabile provenienza portoghese («Folia» equivale a idea fissa) era stato già sfruttato oltre che nella celebre Sonata corelliana da Scarlatti, Bach, Cherubini, Grétry e Liszt.

Alla esposizione iniziale del tema nella sua semplice e severa linea accordale Rachmaninov fa seguire venti variazioni più una breve coda che ripresenta l'idea di partenza. L'eccezionalità di quest'opera atipica rispetto alle coordinate consuete del pianismo di Rachmaninov risiede in un accentuato interesse armonico che a tratti sconfina oltre le frontiere tranquille della tonalità tradizionale e che per certi aspetti, assolutamente inediti nello stile del suo autore, richiama la seriosità concettosa di un Reger. Ma al di là dell'impegno elaborativo inusitato ciò che colpisce è ancora una volta la scrittura pianistica smaliziatissima quanto a ricerca di colori e originalità di effetti, particolarmente evidente nelle Variazioni terza (Menuetto), ottava (Adagio) e nel bellissimo Intermezzo sotto forma di cadenza che precede la quattordicesima.

Giuseppe Rossi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 9 Novembre 1984
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Palazzo Pitti, 24 luglio 1983


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Ultimo aggiornamento 21 aprile 2016