Sinfonia n. 2 in mi minore, op. 27


Musica: Sergej Rachmaninov (1873 - 1943)
  1. Largo - Allegro moderato
  2. Allegro molto
  3. Adagio
  4. Allegro vivace
Organico: 3 flauti (3 anche ottavino), 3 oboi (3 anche corno inglese), 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, glockenspiel, piatti, grancassa, tamburo, archi
Composizione: ottobre 1906 - aprile 1907
Prima esecuzione: Pietroburgo, 8 febbraio 1908
Dedica: S. Taneev
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

A più riprese, nel corso della sua vita, Sergej Rachmaninov fu vittima di profonde crisi creative che gli inibirono l'attività compositiva per periodi di diversi anni. Ripercorrendo a ritroso queste crisi, Rachmaninov fu incapace di scrivere musica negli ultimi tre anni di vita, trascorsi presso la villa di Beverly Hills dove il vecchio compositore aveva ricostruito un angolo della vecchia Russia, e durante i quali si applicò solamente alla revisione del Quarto Concerto per pianoforte. Ma anche nei primi anni del soggiorno negli Stati Uniti, fra il 1918 e il 1926, il compositore era stato incapace di scrivere musica; la fortuna straordinaria che subito arrise a Rachmaninov nel Nuovo Mondo, come pianista e compositore, era legata quasi interamente ai lavori scritti prima di abbandonare la Russia alla fine del 1917, quando i bolscevichi prendevano il potere cancellando per sempre quella società aristocratica che costituiva anche l'humus culturale in cui il giovane virtuoso si era formato ed affermato. Le tre opere liriche, le prime due Sinfonie (su tre), i primi tre Concerti pianistici (su quattro), tutta la musica da camera, quasi tutta la produzione pianistica vennero infatti composti prima di quella data. E tuttavia già nei suoi anni giovanili Rachmaninov aveva subito una lunga battuta d'arresto, causata dal trauma legato all'accoglienza sfavorevole che era stata riservata alla sua Prima Sinfonia; la prima esecuzione di questa partitura, effettuata a Pietroburgo nel 1897, costituì un fiasco clamoroso, seguito da celebri stroncature (la più feroce fu quella di Cesar Cui) ; una parte di colpa fu legata probabilmente alla cattiva esecuzione, diretta da Aleksandr Glazunov, e ancora alla cattiva predisposizione del pubblico pietroburghese verso un fenomeno musicale che era maturato essenzialmente all'interno dei circoli moscoviti. Dopo i folgoranti studi al Conservatorio della capitale, era al Teatro Bol'Soj che Rachmaninov, appena ventiquattrenne, aveva colto una grande affermazione con la sua opera Aleko, nel 1893.

Lo shock dovuto al fiasco della Prima Sinfonia doveva ripercuotersi in tre anni di inattività compositiva, poi, grazie anche alle cure dello psicologo Nikolai Dahl, in un cauto ritorno alla scrittura. Nel 1904 Rachmaninov è alla guida dell'orchestra del Bol'soj, ma il suo interesse verso la composizione, confortato dal successo del Secondo Concerto, gli fa abbandonare ogni incarico fisso, considerato troppo oneroso. È durante il biennio 1906-1907, trascorso in gran parte a Dresda, che matura nel compositore l'idea di tornare a scrivere una Sinfonia; la partitura venne terminata nel 1907 ed eseguita per la prima volta a Pietroburgo il 26 gennaio 1908 (8 febbraio per il calendario giuliano, occidentale) sotto la direzione dell'autore.

Il caloroso successo incontrato da questa Sinfonia n.2 in mi minore op. 27 ha dunque, per Rachmaninov, la funzione di sanare definitivamente una ferita. D'altronde questa partitura, segnata dagli ideali espressivi del post-romanticismo, si inserisce in modo autorevole nel solco di una tradizione lunga e illustre. L'esempio di Caikovskij e di Rimskij-Korsakov, di una musica fermamente legata al sistema tonale, volta a stabilire uri diretto contatto fra sentimento creativo, espressività e comunicazione, abilmente giocata sull'impatto emotivo verso l'ascoltatore, è centrale; non a caso la partitura - che si articola nei quattro movimenti classici, con un tempo lento in terza posizione - sembra ispirarsi direttamente all'esempio del sinfonismo di Caikovskij nell'adesione al principio di una interna evoluzione, basata sulle trasformazioni di un tema di base, una sorta di "motto".

Non a caso l'introduzione lenta del primo movimento (Largo] è basata tutta su questo "motto", una melodia di sette note, forse tratta da un canto liturgico ortodosso, che viene esposta subito nei bassi, ed è poi protagonista di un procedimento di climax e anticlimax che coinvolge tutta l'orchestra, puntando soprattutto sul lirismo dei violini.

Comincia così la vera e propria esposizione (Allegro moderato), il cui primo tema dall'andamento di ballata, esposto dai violini sul sostegno dei legni, deriva da una trasformazione del "motto"; manca in questa sezione una vera e propria dialettica tematica (il secondo tema è più passionale e frammentario), e il succedersi delle varie idee ha piuttosto la funzione di illuminare diversamente un medesimo principio espressivo; gli impasti dei fiati, il canto dei violini si spengono poi nella frase espressiva dei violoncelli. Per converso la sezione dello sviluppo, aperta del primo violino solista, non vede la netta affermazione di un tema, ma piuttosto il continuo e inquieto riaffiorare di frammenti, secondo il processo di tensione-distensione della frase: si stagliano a tratti gli interventi degli ottoni. Come nella Patetica di Caikovskij, la riesposizione non si sofferma sul primo tema, ma dona spazio al secondo, per sfociare in una coda affermativa anche se forse troppo serrata nell'equilibrio della costruzione.

In seconda posizione troviamo uno Scherzo il cui tema principale prende spunto dal Dies irae gregoriano, autentico fìl rouge di tanta produzione sinfonica e sinfonico-corale dell'autore (appare infatti nel Poema sinfonico L'isola dei morti, nella Cantata Le campane, nella Rapsodia sopra un tema di Paganini per pianoforte e orchestra, nelle tarde Danze sinfoniche). Questo movimento coniuga insieme contenuto fantastico e andamento di marcia, interrotto a guisa di parentesi da una lunga melodia lirica dei violini. La sezione centrale de! tempo, una sorta di Trio, consiste in un moto perpetuo fortemente ritmato e con aspetto di fugato, che scivola progressivamente verso la riesposizione.

Nella coda spetta agli ottoni riecheggiare frammenti del "motto", prima che il movimento si spenga nel silenzio. Pagina chiave della Sinfonia è però soprattutto il movimento lento, singolarmente esteso e diviso in tre sezioni principali. Vi troviamo all'inizio il tema principale accennato dai violini, cui fa subito seguito una lunga cantilena del clarinetto; crea un contrasto la sezione centrale, basata su dialoghi fra vari strumenti e nella quale riappare all'inizio il "motto"; dopo una cesura, la riesposizione costituisce una intensificazione espressiva dell'idea principale; è qui che Rachmaninov concentra tutto il proprio lirismo, portando il suo materiale verso una progressiva estenuazione.

Il principio della costruzione ciclica della Sinfonia trova ovviamente la propria logica affermazione nel finale, dove riemergono a tratti temi già apparsi nei tempi precedenti, dal "motto", allo Scherzo, al tempo lento; non a caso Rachmaninov sceglie qui la forma del rondò, più adatta all'avvicendamento di varie idee secondarie rispetto ad una idea principale. L'enfasi vitalistica di questo movimento sembra richiamarsi però, più che ad autori russi, alle tecniche orchestrali di Richard Strauss, mostrando Rachmaninov bene attento a tutto quanto succedeva sulla scena europea (d'altronde la Sinfonia venne scritta a Dresda, città così legata a Strauss). La seconda idea del finale, che si contrappone per il suo carattere passionale al vitalismo dell'idea principale, da luogo alla conclusione trascinante, entusiastica, perfettamente calibrata in tutti gli effetti retorici, con adesione convinta alle poetiche postromantiche.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel 1906 il trentatreenne Sergej Rachmaninoff, in cerca di tranquillità per potersi dedicare alla composizione, lasciò il suo incarico di direttore al Teatro Bol'soj di Mosca, che ricopriva dal 1904, e si trasferì con la sua famiglia - la moglie Natasha e la figlia Irina - a Dresda. Se la scelta cadde sulla città sassone non è solo - come vorrebbe Riesemann, uno dei biografi di Rachmaninoff - in virtù dell'impressione che vi aveva provato tempo prima assistendo a una rappresentazione di Meistersinger, l'opera wagneriana che preferiva, ma perché evidentemente pensava di potervi trovare l'ambiente musicale giusto e la tranquillità necessaria per lavorare nel migliore dei modi. Per di più l'alloggio scelto, una casa immersa in un giardino, con sei stanze tutte esposte al sole, al numero 6 di Sidonienstrasse, sembrava soddisfare perfettamente tutte le sue esigenze: «Nessuna casa mi è mai piaciuta quanto questa» - scriveva all'amico Nikita Semyonovic Morozov il 9 novembre, il giorno stesso del trasloco. «La disposizione delle stanze mi aiuta a lavorare. Le stanze da letto sono al piano di sopra, e sotto ci sono il mio studio e la sala da pranzo. Di sotto sono solo e posso vivere come un vero signore».

Nonostante la vita sia cara, Dresda piace molto a Rachmaninoff (i suoi abitanti un po' meno: «ostili e sgarbati, ci sono imbroglioni dappertutto, o forse è solo la mia fortuna che mi fa incappare in gente simile») e gli offre delle ricche esperienze musicali: appena arrivato, ascolta Salome di Strauss, cui fanno seguito nei mesi successivi la Missa Solemnis di Beethoven, Samson di Händel, la Messa in si minore di Bach («ad essere sinceri: oggi scrivono bene, ma nel passato scrivevano anche meglio»), Paulus di Mendelssohn, Tristan e Meistersinger di Wagner e Die lustige Witwe di Lehàr («anche se scritta oggi, è anche questa un'opera di genio. Ho riso come un pazzo. Assolutamente meravigliosa»).

L'ambiente tranquillo di Dresda sembra ripercuotersi immediatamente su di lui e in una lettera a Mikhail Akimovic Slonov del 21 novembre del 1906 si legge: «Qui viviamo come dei veri eremiti: non vediamo nessuno, non conosciamo nessuno e non andiamo da nessuna parte. lo lavoro molto e mi sento molto bene. Alla mia età [vale la pena ricordare che Rachmaninoff ha trentatre anni, n.d.a.] una vita simile mi piace molto, e mi si addice perfettamente, adesso. Non c'è niente per cui combatta, non voglio niente di più, e non invidio nessuno. Tutto ciò che voglio è che tutti stiano bene in salute e che il mio lavoro vada avanti con successo. Il secondo punto non si è ancora realizzato, ma chi può impedirmi di sperare?».

Dunque il periodo di Dresda sembrerebbe essere nato sotto una buona stella, perfino all'insegna della speranza; ma dopo pochi mesi l'atmosfera sembra molto cambiata. Già l'11 febbraio 1907 scrive a Morozov: «Dovrei anche aggiungere che i miei occhi sono alquanto rovinati (...). Se mi stanco a leggere o a scrivere, la vista mi si annebbia e la testa mi fa molto male. Non ricordo se ti ho già scritto che su consiglio del medico porto già gli occhiali. (...) Inizio a cadere in pezzi. Questo mi fa male, quell'altro mi fa male... Il più delle volte non riesco a dormire bene. Per colpa di questa correzione di bozze, per due settimane non ho potuto dedicarmi affatto a comporre. Forse questo è stato un bene, perché due settimane fa ero caduto in uno strano stato d'animo - qualcosa che mi accade spesso quando compongo; un sentimento di angoscia, apatia e disgusto per quanto stavo facendo nel mio lavoro, e questo significa disgusto per qualunque altra cosa, naturalmente. Domani mi rimetto all'opera, ma per adesso non riesco ad abbandonare quel pensiero. Vedremo quel che succederà».

È questo il tormentato contesto in cui prende forma la Seconda Sinfonia. Durante il primo periodo trascorso a Dresda Rachmaninoff lavora contemporaneamente a tre importanti progetti: la Sinfonia, una Sonata per pianoforte (che sarà la Prima, in re minore op. 28) e un'opera teatrale tratta da Maeterlinck, Monna Vanna, che resterà incompiuta. Il 2 agosto scrive a Morozov: «Da due settimane sono impegnato nell'orchestrazione della Sinfonia. Il lavoro procede molto laboriosamente e pigramente. Va a rilento non solo a causa della strumentazione, che normalmente mi rimane diffìcile, ma anche perché l'ho lasciata in schizzo, e alcuni passaggi debbono ancora essere terminati».

La prima esecuzione della Sinfonia in mi minore si tenne al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo il 26 gennaio del 1908 sotto la direzione dell'autore in uno dei concerti organizzati da Siloti, che eseguì il Concerto di Grieg al pianoforte. La settimana seguente, il 2 febbraio, Rachmaninoff diresse la sua nuova Sinfonia a Mosca, suonando anche il suo Secondo Concerto sotto la direzione di Brandukov. Sulla via del ritorno a Dresda diresse ancora la Sinfonia a Varsavia e poi ad Anversa.

La prima esecuzione della Seconda fu accolta molto benevol-mente dalla stampa. La "Muzykalny truzhenik" scrisse: «Alcuni giorni fa entrambe le capitali sono state testimoni di un evento raro: a un concerto sinfonico organizzato dalla Società Musicale Russa la comparsa sul palcoscenico di Sergej Vasil'evic Rachmaninoff è stata accolta con sorprendente unanimità. L'applauso, i suoni dell'orchestra, le migliaia di mani protese, tutto questo si è fuso in un unico pensiero: che in Sergej Rachmaninoff abbiamo non solo un artista eminente, ma un uomo che è caro ai nostri cuori».

Il 6 febbraio, quattro giorni dopo la prima moscovita, l'autorevole e severo critico Yuli Engel scrisse sulla "Russkaya khronika": «Dopo un soggiorno all'estero di un anno e mezzo, Rachmaninoff si presenta di nuovo al pubblico di Mosca come compositore, direttore e pianista. Nonostante abbia solo trentaquattro anni è uno dei personaggi più significativi nel mondo musicale contemporaneo, un degno successore di Cajkovskij [...]. Successore e non imitatore, perché ha già una sua propria personalità. Questo è stato confermato molto chiaramente dalla nuova Sinfonia in mi minore. Dopo aver ascoltato con attenzione costante i suoi quattro movimenti, ci si accorge con sorpresa che le lancette dell'orologio sono andate avanti di sessantacinque minuti. Questo può forse risultare eccessivo per il grande pubblico, ma quanto è fresca e quanto è bella». Engel si sofferma in particolare sul secondo movimento: «Questa parte cattura l'ascoltatore con la sua infinita ricchezza di contrasti... Nel suo sviluppo tematico cambia i suoi colori come un camaleonte, e tuttavia rimane trasparente e coerente. Si sente la necessità di affermare che questa sezione della Sinfonia è migliore delle altre, ma se si ripensa agli altri movimenti si comincia a dubitarne».

Dedicata a Sergej Taneev, che era stato maestro di Rachmaninoff, la Seconda Sinfonia fu pubblicata nell'agosto del 1908 e nel dicembre di quello stesso anno vinse i 1000 rubli del Premio Glinka (Skrjabin ottenne il secondo premio, 700 rubli, con il Poema dell'estasi). Nel 1960 è apparsa l'edizione critica integrale a cura di C. Kirkor e nel 1967 una nuova edizione della Boosey & Hawkes. Il suo organico prevede: 3 flauti (e ottavino), 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, tuba, timpani, piatti e gran cassa, glockenspiel e archi. Tra gli ammiratori della Seconda c'è stato anche Gustav Mahler («quest'opera è spontanea e naturale nel suo lirismo»), mentre le generazioni successive di critici hanno espresso talvolta giudizi più severi. Una delle accuse che sono state mosse alla Seconda è quella di essere troppo lunga. Nella vita concertistica è invalsa quindi l'abitudine di operare dei tagli anche molto sostanziosi alla partitura originale, che viene così ad essere abbreviata di dieci-quindici minuti, quasi un quarto della sua durata complessiva. Rachmaninoff stesso in molte occasioni ha avallato questa pratica, arrivando anche lui a introdurre non meno di 17 tagli diversi, per un numero di battute variabile fra 4 e 80 ciascuno.

Rachmaninoff ha costruito la Sinfonia in mi minore facendo ricorso a due tratti caratteristici tipici di molte delle sue opere strumentali e sinfoniche di ampio respiro: la forma di tipo ciclico e il celebre tema gregoriano del Dies Irae, da lui utilizzato in moltissime composizioni, che impronta di sé, in maniera più o meno evidente, praticamente tutti i temi della Sinfonia.

L'ampio primo movimento, Largo. Allegro moderato, prende l'avvio lentamente da un tema-motto annunciato sommessamente dai violoncelli e dai contrabbassi per gonfiarsi poco alla volta fino a sfociare nell'Allegro moderato, il cui lungo, malinconico primo tema, esposto dai violini, deriva dal motto d'apertura. A parte alcuni tagli di poche battute, in questo movimento viene generalmente omessa l'intera ripetizione dell'esposizione.

Dopo questa lunga pagina malinconica e tesa, il secondo movimento, Allegro molto, è un vigoroso Scherzo introdotto imperiosamente dal tema iniziale dei corni (ancora una chiarissima eco del Dies Irae), cui risponde una nervosa idea dei violini, stemperata poi dall'uso del glockenspiel. Dopo un tema "molto cantabile" esposto dai violini (Moderato), esplode il Meno mosso, una fuga aperta da violini secondi e oboi e ripresa subito da violini primi e clarinetti, che si conclude con la ripresa dell'Allegro molto.

Anche se in ogni movimento sono previsti ampi squarci di lirismo, il terzo tempo, Adagio, è quello maggiormente improntato a un'intensa cantabilità. Dopo un brevissimo sipario dei violini primi, che enunciano un'idea che in seguito avrà comunque la sua importanza, il clarinetto solo espone una lunghissima melodia di struggente poesia, accompagnato da un'orchestra per l'occasione discreta e raffinatissima: i violini primi inizialmente tacciono, i violini secondi formano un sommesso tappeto di terzine, mentre le viole e i violoncelli sono prescritti divisi.

Il quarto movimento, Allegro vivace, aperto da un tema derivato da quello del secondo movimento (e quindi dal Dies Irae), è una pagina dal ritmo trascinante e incalzante, quasi di saltarello, orchestrata con grande sapienza e inframezzata da ampi squarci lirici e dalla ricomparsa dei temi principali dei movimenti precedenti.

Carlo Cavalletti

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La Sinfonia n. 2 nasce in un periodo assai prolifico del compositore russo, quello che vede anche la nascita dei primi due concerti per pianoforte e orchestra, di cui il n. 2 op. 18 divenne subito, e lo è ancora, famosissimo, e che, proprio per essere quasi l'unica composizione nota al grande pubblico, tramanda l'immagine di un musicista appassionato e romantico oltre il suo tempo.

Non diversamente si pone il problema di questa seconda sinfonia che va ascoltata, per essere interamente apprezzata, con disposizione sgombra da coordinate temporali. Operazione naturalmente assai difficile per chi intende la critica come operazione razionale e storica e non come semplice descrizione. Ma non v'è dubbio che lo sforzo a porsi su un piano di lettura «neutro» se non neutrale, giova alla comprensione della composizione e in definitiva alla possibilità di ritrascriverla in termini concettuali, a definirne le categorie di decifrazione. Le quali, in questo caso, non si possono chiamare che «sentimento» e ancora «sentimento», o le varianti «patetico» o «melanconico» con alla base, naturalmente, un acuto senso della «strumentante», cioè dell'appropriatezza e civiltà della scrittura orchestrale. L'ascoltatore può seguire lo svolgimento della composizione senza difficoltà né sussulti.

Ed è proprio ciò che si ripromette l'autore e ciò che dovevano provare gli ascoltatori del suo tempo. Passate le grandi furie romantiche tutto diventava già detto e ascoltato, e toccava alla musica tardoromantica usare e propagare un linguaggio musicale che non faceva più scandalo e che si adattava ad un modo di sentire medio ancorato soprattutto ad una sicurezza dell'assetto sociale che doveva essere assai forte nelle generazioni, o meglio nella generazione, tra la guerra franco-prussiana del '70 e la prima guerra mondiale.

Non che in questi anni la musica non rilevasse, anzi anticipasse, le rivoluzioni a venire, ma ciò si accenna solo per inciso, per via di quella coscienza critica che ognuno di noi deve avere quando, come di fronte a questa sinfonia, si apprezza e si tratta di uno dei poli della questione, cioè di uno degli aspetti della storia musicale europea tra Ottocento e Novecento.

La quale storia della musica, avendo già dato all'Ottocento due rappresentanti del calibro di Franck e soprattutto di Ciaikovski, ci offre anche la chiave per capire Rachmaninov nella sua totalità. Poiché non deve credersi che mai dubbio assalisse il compositore durante la sua carriera, che mai il suo sentire avesse a mescolarsi in qualche modo con i movimenti, anche musicali, che in Europa squassavano tante certezze e ponevano fine al concetto di musica consolatoria o musica d'uso.

Sarà anche molto facile, per chi conosca il Concerto n. 2 per pianoforte e orchestra, ritrovare in questa sinfonia temi e ritmi analoghi; cosi, come si è detto, suggestioni dirette da Franck e da Ciaikovski, e soprattutto da quest'ultimo quell'ampia frase strumentale cioè quell'ampiezza accorata del sentimento che sarà inesausta miniera anche per la musica da film. A conferma di come i filoni della storia si perpetuino e si incastrino, fino a che si perpetuano e si incastrano le varie situazioni delle classi sociali; per cui al tardo-romanticismo vitale, cioè sentito, si può sempre aderire anche se con il sottile dubbio che in esso non possiamo risolvere alcuno dei problemi, né personali né collettivi che ci attanagliano, mentre ai contemporanei fu concessa questa breve illusione, e non se ne accorsero.

Il primo movimento «Largo. Allegro moderato» è il più ricco e complesso della sinfonia. Si apre con un breve ma intenso tema di pretta marca romantica, alla Franck, che si svolge con discrezione su una base ritmica e armonica di carattere russo, ma sciolto in quella modernità orchestrale, occidentalizzata che Ciaikovski aveva già ampiamente elaborata.

Il secondo tema e lo svolgimento sono condotti con un gioco strumentale moderatamente sentimentale, alternato, specie nello svolgimento, a impennate passionali nelle quali è più evidente quel procedere per onde sonore incalzanti che già era stato tipico di Franck. Ma è notevole il dosaggio degli effetti: la grande civiltà tardo-romantica, con le sue consapevolezze di «déjà entendu», stende un velo di malinconia sui moti passionali e produce una musica la cui carica emotiva si stempera nella pratica del far musica, cioè nel non dire nulla di rivoluzionario, nel non proporre soluzioni nuove. E questo chiamiamo epigonismo, cioè una visione del mondo tutta sentimentale e una passionalità senza angoscia.

Puramente strumentale e brillante, tipo «perpetuum mobile», è lo «Scherzo» seguente: un gran gioco per l'orchestra e per l'ascoltatore, e con evidente riferimento alla posizione accademica e al nome stesso del movimento. Nel Trio dall'ampio respiro lirico avvertiamo ancora una volta Ciaikovski; l'ampia melodia si svolge ad ondate che si frantumano al momento della ripresa del ritmo brillante dello Scherzo. Il ritmo è saltellante e si ha un sospetto di musica illustrativa, come per una danza ad una festa di villaggio. Un senso di vaga inquietudine, come un avvertimento, è dato da scure cadenze armoniche che creano attesa.

L'«Adagio» inizia con un ampio tema cantabile che nell'alternanza e quindi nel diverso colore, degli strumenti cui è affidato si fa lamentoso o patetico. Anche qui il fine del discorso è nella parte centrale in cui il tema, trattato ancora una volta ad onde sonore, si carica d'attesa che, al solito, ha soluzione solo strumentale, cioè si risolve nel valore intrinseco della materia sonora.

Si riproduce insomma la situazione tipica di tanta musica tardo-romantica: l'invenzione tematica è il nucleo originario che sembra tutto assorbire in quanto a significato. Lo svolgimento di quel tema nelle forme canoniche, o comunque lo svolgimento tout-court, è l'impresa più ardua, che si risolve spesso in gioco strumentale sino a che il tema, il nucleo melodico cioè, non sia caricato e spinto, attraverso onde sonore ripetitive ma in crescendo di intensità, alle sue possibilità massime di espressione: si crea un'aspettativa veloce ed epidermica che non ha risoluzione se non nella pura sintassi strumentale; come non ricordare a tal proposito il famoso Preludio in do diesis maggiore dello stesso Rachmaninov?

E per tutto l'Adagio la melodia è facile e prevedibile, musica che si lascia seguire senza difficoltà, per la sua buona educazione sentimentale.

Il «Finale. Allegro vivace» ha andatura rapida e convulsa, con qualche lieve accenno marziale. Ancora strumentalismo neutro, come nello «Scherzo» e poi un tema moderatamente lirico per un'ampia zona di riposo che ricorda di nuovo Franck. E ancora onde sonore che si sciolgono in un lirismo sereno e largo che riporta irresistibilmente a Ciaikovski. Il virtuosismo orchestrale non è nel senso della difficoltà o complessità dell'elaborazione quanto nella ricchezza dinamica e agogica.

C'è uno scoperto piacere del far musica al di là di messaggi moralistici, e più che musica d'evasione questa si qualifica come musica che riflette una personalità e una società chiusa nei personali problemi, quelli sentimentali naturalmente. Il musicista non sfrutta il movimento finale né in senso di retorica, come ci si potrebbe aspettare, né al fine di affidare messaggi cosmici: il compositore non si carica del peso del mondo, gli basta il proprio.

Fabio Bisogni


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 18 Novembre 2001
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 19 Dicembre 2009
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino;
Firenze, Teatro Comunale, 11 novembre 1977


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Ultimo aggiornamento 21 gennaio 2019