Fra le tante ingiustizie della storia c'è quella di aver considerato Sergej Rachmaninoff come un pianista virtuoso giudicandolo però, a scapito del perdurante successo di pubblico che accompagna le sue creazioni, un epigono nell'ambito della composizione. Il rischio è oggi quello di continuare a dare credito all'equazione erronea che eguaglia la difficoltà tecnica alla superficialità e, soprattutto, quello di continuare a giudicare Rachmaninoff un romantico impunito che coltivava un gusto sorpassato dai tempi. Il mondo contemporaneo, col ritorno e la convivenza simultanea delle più variegate tecniche compositive, dovrebbe averci ormai insegnato che si è creatori principalmente di fronte alla propria coscienza, non di fronte alla storia, soprattutto quando questa è letta come un percorso lineare. L'arte non legge il tempo come un'ansiosa successione di istanti.
La cantata Primavera fu scritta nel 1902 subito dopo il Secondo concerto per pianoforte. L'opera è basata su un poema di Nikolaj Nekrasov la cui vicenda narra di un marito che, tormentato da pensieri delittuosi nei confronti della moglie infedele, grazie al ritorno della primavera riesce a superare il trauma gettandosi alle spalle frustrazione e collera. Si tratta dunque di una vicenda che impegna il compositore nella descrizione di una trasformazione psicologica; un tema lontano dal funambolismo pianistico col quale spesso identifichiamo l'opera di Rachmaninoff. Anzi, dobbiamo forse leggere il virtuosismo come elemento funzionale a rendere la musica un convincente percorso emozionale e allora capiremo meglio anche il compositore.
La Cantata è in un unico movimento ma ha struttura tripartita. Nell'Allegro moderato iniziale l'orchestra e il coro presagiscono la primavera: è un inizio incantato, turbato però da qualche venatura di malinconia. L'alternanza tra malinconia e soavità raggiunge il culmine in un'agitazione che è metafora dell'energia della natura ma anche del tormento del protagonista. Nell'Allegro risoluto seguente il solista esordisce esaltando la purezza e la modestia della moglie Natalja. Ma il dolore del protagonista cresce rapidamente fino all'esclamazione «uccidi l'infedele!»; qui il coro dà vita a una sorta di tempesta di voci che si placa nel momento in cui sopraggiunge nel solista il desiderio di riflettere, di trattenere la passione distruttiva. È un momento di incertezza in cui non sappiamo bene cosa accadrà. Di nuovo il coro sembra incaricarsi di arrestare una collera che minaccia di montare, investendo il protagonista con un'onda sonora conciliante. Il gruppo corale appare talvolta come lo specchio dell'interiorità del solista, talaltra come la voce della primavera, del suo faticoso sconfiggere la durezza dell'inverno nonché quella dell'uomo tradito. Il seguente intervento del solista è circonfuso di un'aura più serena e il coro asseconda un ultimo alleggerimento dell'atmosfera. L'orchestra si spegne poi ondeggiando e discendendo quasi come l'adagiarsi di una piuma.
Possiamo leggere il percorso psicologico della Cantata anche in chiave autobiografica. L'opera fa parte del gruppo di creazioni che Rachmaninoff scrisse al termine (nel 1901) delle sedute con Nikolaj Dahl, al quale si era rivolto per superare la depressione seguita alle critiche sulla sua Prima Sinfonia, eseguita nel marzo del 1897. La primavera che dissipò collera e frustrazione è forse metafora di un'evoluzione personale che, tra l'altro, portò Rachmaninoff al matrimonio con la cugina Natalja Satina (si noti l'uguaglianza del nome con la protagonista del poema di Nekrasov) proprio nel 1902.
Simone Ciolfi
Traduzione di Valerij Voskobojnlkov