Danze sinfoniche, op. 45

Versione per orchestra

Musica: Sergej Rachmaninov (1873 - 1943)
  1. Non allegro (do minore)
  2. Andante con moto (tempo di Valse) (sol minore)
  3. Lento assai - Allegro vivace - Lento assai - Allegro vivace (re maggiore)
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, sassofono, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, triangolo, tamburello, tamburo, piatti, grancassa, tam-tam, xilofono, glockenspiel, campane tubolari, arpa, pianoforte, archi
Composizione: Settembre - 29 Ottobre 1940
Prima esecuzione: Philadelphia, Symphony Hal, 3 Gennaio 1941
Dedica: Eugene Ormandy

Vedi al n. 45a la versione per due pianoforti (o pianoforte a quattro mani).
Guida all'ascolto (nota 1)

Le Danze sinfoniche op. 45 chiudono il catalogo delle opere di Sergej Rachmaninoff. L'autore le scrisse nel 1940, destinandole per la prima esecuzione - avvenuta nel gennaio dell'anno seguente - e dedicandole nell'edizione a stampa a un complesso ammirevole come la Philadelphia Orchestra, e al suo direttore stabile Eugène Ormandy. In un primo momento la composizione era stata scritta per pianoforte a quattro mani - la provarono, nella villa di Beverly Hills dove il vecchio compositore aveva ricostruito un angolo della vecchia Russia, lo stesso autore insieme a un altro russo esule e sommo pianista, Vladimir Horowitz - ed è probabile che la destinazione finale della partitura sarebbe stata quella di fungere da base per un vero e proprio balletto, se a distruggere questo progetto non fosse intervenuta la morte di Fokin, il coreografo che, nel giugno 1939 al Covent Garden di Londra, aveva collaborato con Rachmaninoff per un balletto sulla leggenda di Paganini.

Nei tre anni che gli restavano da vivere Rachmaninoff non scrisse altri lavori (si limitò a revisionare il Quarto Concerto per pianoforte). In realtà, pur avendo continuato a scrivere musica dopo il trasferimento negli Stati Uniti, la fortuna straorclinaria che arrise a Rachmaninoff in America, come pianista e compositore, era legata quasi interamente ai lavori scritti prima di abbandonare la Russia alla fine del 1917, quando i bolscevichi prendevano il potere cancellando per sempre quella società aristocratica che costituiva anche l'humus culturale in cui il giovane virtuoso si era formato ed affermato. Le tre opere liriche, le prime due Sinfonie (su tre), i primi tre Concerti pianistici (su quattro), tutta la musica da camera, quasi tutta la produzione pianistica vennero infatti composti prima di quella data.

Fra il Rachmaninoff russo e quello americano - nonostante le osservazioni che si avanzeranno proprio sulle Danze sinfoniche - non si può parlare di una vera differenza stilistica, essendo il compositore sempre rimasto legato agli ideali espressivi del post-romanticismo. L'esempio di Caikovskij e di Rimskij-Korsakov, di una musica fermamente legata al sistema tonale, volta a stabilire un diretto contatto fra sentimento creativo, espressività e comunicazione, abilmente giocata sull'impatto emotivo verso l'ascoltatore, non venne mai meno per Rachmaninoff, che guardò sempre con distacco alle poetiche del nostro secolo, incluse quelle di altri russi esuli come Stravinskij e Prokof'ev.

In questo contesto si comprende come le Danze sinfoniche rappresentino per l'autore una sorta di consapevole testamento spirituale ("Ti ringrazio, Signore", si trova scritto al termine dell'autografo). Troviamo in questa partitura alcune costanti della produzione sinfonica di Rachmaninoff: il ricorso a temi di derivazione folklorica, impiegati come citazioni volte a stabilire una connotazione etnica russa alla partitura; l'impiego di una orchestra sinfonica vastissima, che seleziona strumenti come sassofono, pianoforte, xilofono e un vasto gruppo di percussioni, ma sempre in una prospettiva di arricchimento coloristico dell'impianto tradizionale; l'autocitazione di motivi religiosi già apparsi in precedenti composizioni (la Prima Sinfonia, il Vespro del 1915); inoltre la citazione, al termine dell'ultimo movimento, del tema del "Dies Irae" gregoriano, autentico fìl rouge di tanta produzione sinfonica e sinfonico-corale (appare infatti nel poema sinfonico L'isola dei morti, nella cantata Le campane, nella Rapsodia sopra un tema di Paganini per pianoforte e orchestra, e nella Terza Sinfonia).

Proprio il tema del "Dies Irae" suggerisce il vero significato di queste danze; non la danza festiva ma la danza macabra, che si sviluppa in uno sguardo restrospettivo, in una intonazione nostalgica e riflessiva. Le splendide risorse dell'orchestrazione di Rachmaninoff sono mirate proprio a sottolineare queslo aspetto, facendo emergere in primo piano la malinconia degli strumenti a fiato, il lirismo degli archi, gli effetti illusionistici dei "glissando" e degli impasti strumentali.

Sotto il profilo formale le Danze sinfoniche sono una sota di Sinfonia in tre movimenti - e spesso infatti sono state impropriamente considerate come la Quarta Sinfonia del compositore - con la differenza significativa che il linguaggio sinfonico vive di dialettica tematica e di sviluppi, mentre Rachmaninoff, compositore antiintellettualistico, si trovava in difficoltà proprio nel lavoro di sviluppo e di costruzione formale; la forma della danza, nella sua essenzialità, è invece ideale per consentire al compositore di offrire una delle sue partiture sinfoniche più calibrate ed efficaci. Piuttosto, ascoltando le Danze sinfoniche si direbbe che anche per Rachmaninoff il Novecento non sia passato invano. Nel dinamismo ritmico della partitura, nei suoi metri irregolari, non è azzardato riscontrare l'influenza di Prokof ev e Stravinskij, sia pure in una rivisitazione edulcorata e piegata ai diversissimi fini del compositore.

Questo dinamismo ritmico innerva il movimento iniziale, Non allegro; l'inciso discendente di tre note, che costituisce la base del movimento, si fa strada nei legni sul pianissimo dei violini, o si afferma poi prepotentemente, dando luogo a una sezione di forte aggressività ritmica, di grande effetto. Il suono dell'oboe porta verso la transizione della sezione centrale; abbiamo qui un fitto intreccio dei legni, su cui il sassofono contralto enuncia una delle melodie liriche e malinconiche tipiche di tanta produzione di Rachmaninoff; la melodia verrà poi ripresa ed esaltata dagli archi, prima del ritorno alla iniziale sezione che abbiamo chiamato di dinamismo ritmico; e il movimento si spegne nel nulla come era iniziato.

Il secondo movimento si apre con una sorta di "motto" degli ottoni che riappare poi a scandire i momenti salienti della pagina; e questo Andante con moto è in effetti un vero e proprio valzer, anzi una sorta di valse macabre, derivata da una vasta tradizione ottocentesca. Si succedono gli arabeschi dei legni, poi l'intervento del primo violino solista, e finalmente si staglia, al corno inglese e poi ai violoncelli, il tema principale, vero compendio di pessimismo nostalgico. Magistrali sono i giochi coloristici della pagina, che anche nella sezione centrale, più giocosa, non si distacca da questa prevalente impostazione espressiva.

Più vasto e più complesso è il terzo movimento, che si apre con un Lento assai in cui i legni decantano un tema discendente, che si ripresenta nel corso del movimento, e la cui vera natura verrà poi palesata nella coda. Si passa poi a un Allegro vivace in cui si impone un ritmo di danza spagnola, che alterna spesso metri ternari e binari; ma caratterizza quest'ultima danza soprattutto la grande varietà delle soluzioni espressive, con un'orchestrazione che spesso contrappone archi e fiati e che si segnala per il suo virtuosismo, per i suoi impasti studiatissimi: come i glissando di violini ed arpe paralleli alle scale cromatiche dei legni, che aprono la sezione centrale. È nella coda che l'iniziale tema discendente acquista una fisionomia definita, e appare chiaramente come il Dies Irae gregoriano. È appunto alla luce di questa conclusiva apparizione che il vitalismo dell'intera pagina e il suo virtuosismo assumono retrospettivamente una connotazione sinistra. Il congedo di Rachmaninoff dalla composizione si colora di ambiguità, come sguardo apocalittico e disincantato sui destini di un mondo musicale inattuale.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 10 Dicembre 2005


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Ultimo aggiornamento 26 marzo 2017