Tre Canti russi, op. 41

per coro e orchestra

Musica: Sergej Rachmaninov (1873 - 1943)
  1. All'altra sponda - Moderato. Allegro assai
  2. O Vania, testa sventata - Largo
  3. Mie rosee gioie e candide - Allegro moderato
Organico: coro misto, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 2 trombe, tromba contralto, 3 tromboni, basso tuba, timpani, triangolo, tamburo, glockenspiel, spazzole, 2 arpe, pianoforte, archi
Composizione: 1926
Prima esecuzione: Philadelphia, Symphony Hall, 18 marzo 1927
Dedica: L. Stokowski
Guida all'ascolto (nota 1)

La musica sinfonica e la pianistica di Sergej Rachmaninov hanno una popolarità ormai incontrastata, per il magistero strumentale e tecnico che vi domina (Rachmaninov è stato un pianista leggendario) e specialmente per le seducenti invenzioni melodiche e narrative, traccia estrema, e ammirata, del romanticismo nel Novecento.

Può quindi sembrare imprudente chi giudica i pochi lavori corali di Rachmaninov uguali, per valore e originalità, e in qualche pagina perfino superiori, alle sue musiche sinfoniche: che hanno costretto nell'ombra, si direbbe, capolavori complessi quali la Liturgia di San Giovanni Crisostomo op. 31 (1910) e la Vigilia di Ognissanti op. 37 (1915), due cerimonie magnifiche e austere per solo coro, e la 'Sinfonia corale' Le campane op. 35 (1913, sui versi di E. A. Poe, tradotti in russo da Konstantin Bal'mont: come dire che nelle Campane abbiamo un geniale manifesto di estetismo simbolista). E i Tre canti russi (1927) sono degni di stare nel piccolo elenco di capolavori, perché i due canti religiosi sono più profondi e impressionanti, l'op. 35 è più splendente, ma né questo né i primi hanno la grazia lirica, il gusto arguto delle imitazioni realistiche dei Canti russi. Con essi, infatti, Rachmaninov è tornato alla musica per coro dopo più di dieci anni, e ha scelto non l'alta poesia, sacra o profana, ma canzoni semplici e popolari. E la scelta sarà stata dettata da un unico impulso affettivo che di queste pagine ci chiarisce il carattere.

Qualunque idea si intenda con le parole 'l'anima russa', l'anima austera e fedele di Rachmaninov era un'anima russa. Egli aveva dovuto lasciare la Russia nel 1917, trasferendosi negli Stati Uniti con la certezza che non sarebbe tornato più, che non avrebbe rivisto la gente alta o umile che gli era cara, il paesaggio, gli splendori delle cerimonie in chiesa e delle città, i paesaggi minacciosi e miti in cui era cresciuto, e che sempre rimpianse. Alle spalle dell'artista in esilio si stava disfacendo il mondo che era stato il suo mondo.

La ferita della separazione costò a Rachmaninov un decennio (1917-1926) di aridità creativa (ma sono gli anni in cui egli pianista eccelso e grande direttore d'orchestra fu, quale che fosse la sua esistenza privata, un protagonista della vita musicale, sostenuto anche dalla irresistibile tecnica pubblicitaria americana). Poi dal 1926 Rachmaninov riprese a comporre. Il 18 marzo 1927 Leopold Stokowsky diresse a Philadelphia il Quarto concerto op. 40 (solista l'autore), nel quale alcuni dei temi principali sono ancora degli anni 'russi', e, appunto, i Tre canti russi op. 41 dedicati a Stokowsky e alla sua magnifica orchestra di Philadelphia.

Dunque, con la sua nuova musica, specialmente con l'op. 41, Rachmaninov ha trovato un modo originale e profondo di dare voce alla sua gratitudine per la sua terra, per la sua gente, per la sua Russia: con sobrietà e, quando era necessario, con gentile ironia, eppure con estrema serietà, perché il tema intimo dei tre brani, pur ingenui e 'popolari' come sono, sono le lacrime della separazione (piangono i tre personaggi, l'anatra-maschio, la sposina di Vania, e, sì, piange anche lei, la maliziosa moglie del marito geloso) o l'angoscia del tradimento.

La prima delle tre canzoni, «All'altra sponda», è una favola di animali, la seconda, «O Vania, testa sventata», è il lamento di una fanciulla che si sente abbandonata, nella terza canzone, «Mie rosee gioie e candide», un'altra fanciulla teme il ritorno del suo sposo geloso.

L'organico strumentale è molto nutrito, non però l'orchestrazione, che è agile, raffinata, ricca di particolari descrittivi: ed è ammirevole la cura delle invenzioni musicali, minime per lo più, in ogni momento dei racconti. Il coro è di bassi (prima canzone), contralti (seconda canzone), bassi e contralti (terza canzone), che hanno quasi sempre uno stile sillabato o circoscritto a giri melodici di breve estensione (il giro tipico delle canzoni popolari slave). Il tutto, cioè le voci medio-basse e il modo di cantare, dà sapore ingenuo e rustico alla favola di animali e ai lamenti delle fanciulle.

Le tre canzoni si iniziano con la stessa idea, un brevissimo segmento di accordi (archi e il malinconico colorito dei legni, che nell'op. 41 dominano dal principio alla fine), un calmo «C'era una volta», da cui prende avvio, a sorpresa, ognuno dei tre movimentati racconti. Sotto i quali l'orchestra, attenta e molto raffinata come si è detto, arricchisce di immagini, di affetti (e di umorismo, con la musica 'paesana' nella terza canzone) ogni particolare dei versi.

Franco Serpa

Testo

All'altra sponda

All'altra sponda del fiume irruente,
su per il ponte, [kalinà].
un ponte ripido, [malinà],
l'anatro corre
su per il ponte, [kalinà]!
lui guida un'anatra, [malinà]
un'anatra grigia!
L'anatra grigia si spaventa,
si spaventa, [kalinà],
e scappa a volo, [malinà]
Ah!
Sta fermo l'anatro e piange,
sta fermo e piange, [kalinà],
sta fermo e piange [malinà]!

(Per quattro volte alla fine dei versi torna la rima kalinà / malinà, termini rurali per i nostri lentaggine e lampone, la rima, priva in sé di significato, ha solo una funzione fonico-ritmica, come accade nelle filastrocche di tutti i Paesi.)


O Vania, testa sventata

Ahi, Vania, sì!,
testa avventata,
testolina stordita,
Vania, quanto lontano
te ne vai da me,
a chi mi lasci,
amato mio?
Ahi, non al fratello,
non a un amico mi lasci,
ma si al suocero malvagio,
a mio suocero, sì, Vania.
E io con chi rimango,
con chi sopporto l'inverno,
io le oscure notti
con chi le passo, Vania?


Mie rosee gioie e candide

Mie rosee gioie e candide,
sparite via dal bianco mio viso,
torna a casa il marito geloso.
Ah! Aj, Ijuli, ai da! Ijusen'ki li!
Torna a casa il marito geloso,
mi porta un regalo prezioso,
aj da! aj da!
mi porta un regalo prezioso,
una frusta di seta intrecciata!
Ah! Aj, Ijuli, ai da! Ijusen'ki li!
Vuole picchiare me giovinetta!
Aj Ijuli, ai Ijuli!
Vuole picchiare me giovinetta,
non so perché, non comprendo!
O, aj li, Ijuli, ech, Ijusen'ki Ijuli,
non so perché, non comprendo,
per quale, per quale mia colpa.
Ah, Ah!
Solo questa è la mia colpa,
andai dal vicino a chiacchierare,
e, seduta di fronte a uno non sposato,
gli ho offerto una coppa di sidro.
Lui ha preso la coppa di sidro,
stringendo alla coppa le mie mani bianche,
davanti a tutti mi chiamò signora,
mia signora, mio cigno,
mi è piaciuto il tuo passo.
Mie rosee gioie e candide,
sparite via dal bianco mio viso,
torna a casa il marito geloso.
Vuole picchiare me giovinetta,
lo giuro, mi vuole picchiare,
non so perché, non comprendo!

Traduzione di Valerij Voskobojnikov e F. S.
(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 15 giugno 2017


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Ultimo aggiornamento 26 giugno 2017