Zdraviza, op. 85

Cantata per coro e orchestra

Musica: Sergej Prokofiev (1891 - 1953)
Testo: tradizionale
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, woodblok, tamburo piccolo, tamburo militare, triangolo, piatti, grancassa, tam-tam, xilofono, campane tubolari, arpa, pianoforte, archi
Composizione: 1939
Prima esecuzione: Mosca, Sala Grande del Conservatorio "Ciajkovskij", 21 dicembre 1939
Edizione: Muzgiz, Mosca, 1941
Dedica: scritta per il 60° compleanno di Stalin
Guida all'ascolto (nota 1)

Nella larga produzione teatrale e sinfonico-corale di Prokofiev non mancano composizioni celebrative e agiografiche inneggianti ad avvenimenti e personaggi importanti della recente storia sovietica, con l'utilizzazione di canti periodati e cadenzati secondo il gusto popolaresco tanto preferito ed esaltato da Mussorgski. A parte il carattere patriottico che avvolge la vicenda e sotto alcuni aspetti lo stesso discorso musicale delle due opere in 5 atti, «Semion Kotko» e «Guerra e Pace», ci sembra sufficiente ricordare a questo proposito la «Cantata per il XX Anniversario della Rivoluzione di ottobre» per due cori, orchestra di fisarmoniche e percussione (1936-'37) e l'«Ode per la fine della guerra» per 8 arpe, 4 pianoforti, orchestra di fiati, percussione e contrabbassi (1945), dove si esalta la vittoria delle armate sovietiche sull'esercito nazi-fascista con una melodia possente e slanciata che alla fine si scioglie in un canto di pace e di rinnovata solidarietà umana.

Sono componimenti di occasione che non hanno nulla di volgarmente retorico, pur nella fedeltà all'estetica del cosidetto realismo socialista, e confermano il temperamento musicalmente vivace ed estroverso dell'autore, che ebbe non pochi fastidi dalle autorità sovietiche per diversi suoi lavori definiti di «orientamento formalista» e dovette pronunciare publicamente nel 1948 un mea culpa mortificante e poco sincero.

Anche la cantata «Zdraviza per coro e orchestra», scritta nel 1939 per onorare i 60 anni di Stalin, va inserita in questa produzione patriottica, come del resto risulta chiaramente evidente dal testo che è tutta una esaltazione del partito di Lenin che guida il popolo verso «nuove vittorie». Musicalmente il brano, della durata di un quarto d'ora, si apre con un Andante cantabile dell'orchestra su cui si innesta un'ampia frase corale dall'accento popolaresco; si ripete quindi per due volte un movimento vigorosamente ritmato prima che la cantata si concluda con un tono di glorificazione politica.

Testo

Mai non fu il campo sì verde
e il villaggio pien di gioia.

Mai la nostra vita fu sì allegra,
mai da noi la segala rifiorì così,
splende in altro modo il sol sulla terra.

Ah! Mosca ho già visitalo, ha il Cremlino.
Dondolo la culla e canto:
«Dormi bambino, soffia un vento tiepido
dai campi sopra te,
egli incede nella steppa fra le messi d'or,
egli canta della patria, del natio suol,
vivrai nel comunismo, o figliolo mio!».

Dolce e bianco nei frutteti il visciolo appar,
sì in primavera la mia vita rifiorì
luminosa e gaia rifiorì
e il Partito ci ha dato la felicità
fino a te è arrivato il suo calore
attraverso le montagne e le foreste.

Se la giovinezza ritornasse ognora,
se il fiume Kokscia verso nord scorresse,
se ì miei occhi brillassero,
se le mie guance risplendessero
io a Mosca andrei,
è una grande città,
in onor dello patria e del Partito
una canzon comporrei!

Se il compagno Lenin or vedesse il suo popolo
come vive e lavora,
ci loderebbe, come un padre,
come un padre ci sorriderebbe contento
e cordialmente ci parlerebbe.

Ci vedrebbe come per i campi colcosiani
i trattori guidiam,
come nella steppa ora il grano coltiviam,
fiumi impetuosi e selvaggi ora domìam
e si innalzano città.

Doni generosi or la terra offre a noi.
Noi cantavamo le canzoni ad Aksinja,
non andava a maritarsi la fanciulla,
ma a Mosca andava lieta al congresso
come giovin sposa adorna,
tutti insieme i colcosiani l'accompagnano
e il saluto mandano al Partito.

Gran sventura e avversità
soffrimmo tutti insieme
sotto il giogo dello zar;
il Partito ci guidò per la strada delia libertà
come il compagno Lenin ci indicò.
Or la terra guarda tutta
piena di speranza al Cremlino,
noi cantiam la gloria del Partito!
(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Basilica di Massenzio, 5 luglio 1973


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Ultimo aggiornamento 14 febbraio 2015