Ascoltando Visions fugitives forse si può provare la stessa sensazione che si ha quando si rileggono le pagine di un vecchio diario in cui, per far sì che non svaniscano con la stessa velocità e casualità con la quale sono improvvisamente apparsi, si sono appuntati, in maniera disordinata, pensieri, riflessioni, intuizioni che sono balenati per un attimo nella mente. Un diario che poi non si consulta, che si mette da parte, sepolto da tante altre cose, che si lascia in attesa. Gli anni di Visions fugitives sono quelli della prima guerra mondiale; i primi dei venti brani che le compongono sono del 1915, gli ultimi del 1917. La Russia viveva anni tormentati, e con lei il giovane Prokof'ev che si stava affacciando alla ribalta musicale nazionale con prepotenza dal 1914 vincendo il premio Rubinstein. Il musicista visse a Pietroburgo (poi Pietrogrado per rifiutare il suffisso tedesco e utilizzare quello russo) la guerra e poi la rivoluzione, tanto che per la diciannovesima delle Visions dovrebbe essersi ispirato allo scoppio dei primi moti rivoluzionari del 1917. Il condizionale è d'obbligo poiché per Visions fugitives non si può parlare di impressionismo musicale anche se, bisogna dirlo, il titolo della raccolta potrebbe suggerirlo. Il giovane Prokof'ev era lontano dalla poetica debussiana o tardoromantìca, e guardava invece sia alle suggestioni che gli venivano proposte da grandi figure del simbolismo russo, quanto all'affascinante mondo meccanico del nascente oggettivismo. Indubbia è la reminiscenza dell'esoterico pianismo scriabiniano nei brani dal movimento lento o moderato di Visions fugitives, così come è possibile ascoltare echi, probabilmente sempre attraverso la mediazione di Scrjabin, delle ultime composizioni per pianoforte di Franz Liszt, poeticamente tese verso il superamento dei confini del reale e protese verso mondi ignoti. Forse quei mondi che Prokof'ev aveva intravisto nei versi del poeta Kostantìn Balmont: «Tout ce qui est fugitif me fait voir des mondes / Qui dans leur jeu chatoyant / Ont pour moi la valeur du trasitoire», versi ai quali s'ispirò per dare un titolo alla raccolta delle sue "visioni" pianistiche. Visions fugitives non è un repertorio di immagini, quanto un insieme di suggestioni. Per i brani V (Molto giocoso), VI (Con eleganza), VII (Pittoresco), X (Ridicolosamente), XI (Con vivacità), XIV (Feroce), XV (Inquieto), XVI (Dolente), XVII (Poetico) e XVIII (Con una dolce lentezza) Prokof'ev infatti ci suggerisce degli stati d'animo piuttosto che indicarci la velocità, l'andamento dell'esecuzione; suggestioni che però hanno il sapore dell'intuizione piuttosto che della descrizione di un qualcosa.
Contrario è invece l'atteggiamento del musicista nelle altre dieci brevi composizioni, in cui l'autore, limitandosi all'indicazione dinamica, consegna all'esecutore un'opera scevra da sovrastrutture espressive.
Composti dopo i cinque Sarcasmes op. 17 per pianoforte (1912-1914), e contemporaneamente alla Prima Sinfonia "Classica" op. 25 (1916-1917) ed alla prima versione dell'opera Il giocatore op. 24 (1915-1916), Visions fugitives sono, infine, un ricco carnet di esperienze tecniche, una sorta di cursus honorum all'interno del quale è possibile ritrovare singolarmente enucleate le varie caratteristiche del pianismo prokofieviano, dal meccanico dinamismo dei pezzi barbari, al tenero lirismo degli andanti, al vorticismo estraniante degli ostinato che renderanno immediatamente e universalmente celebre lo stile del compositore russo.
Giancarlo Moretti