Sonata n. 1 in fa minore per violino e pianoforte, op. 80


Musica: Sergej Prokofiev (1891 - 1953)
  1. Andante assai
  2. Allegro brusco
  3. Andante
  4. Allegrissimo - Andante assai, come prima
Organico: violino, pianoforte
Composizione: 1938 - 1946
Prima esecuzione: Mosca, Sala Piccola del Conservatorio "Ciajkovskij", 23 ottobre 1946
Edizione: Anglo-Soviet Music-Press, Londra, 1947

La parte del violino è redatta da David Ojstrakh
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nel novembre del 1934 Prokof'ev scrisse per le "Isvestia" un articolo in cui esponeva alcune idee sul tipo di musica che avrebbero dovuto perseguire in quel periodo, molto fervido di discussioni sulle scelte artistiche post-rivoluzionarie, i compositori sovietici. «Quello che occorre fare innanzitutto - egli scrisse - è della grande musica, cioè della musica che tanto nella forma quanto nel contenuto risponda alla grandezza dell'epoca. Non è cosa agevole trovare l'idioma conveniente, ma è certo che esso dovrà essere melodioso, espresso con una melodia chiara e semplice. Molti compositori già trovano difficoltà nell'elaborare qualsiasi tipo di melodia che abbia in sé una precisa funzione da svolgere. Lo stesso vale per la tecnica e la forma che esigono chiarezza e semplicità».

A questi criteri estetici improntati ad un gusto neoclassico si attiene la Sonata in fa minore n. 1 op. 80, cominciata a comporre nel 1938 e terminata nel 1946, in uno spirito di collaborazione tra il musicista e David Oistrach, interprete per primo di questo lavoro (lo stesso violinista avrebbe eseguito in prima mondiale nel 1944 a Mosca la Seconda Sonata in re maggiore per violino e pianoforte di Prokofev, derivata da una Sonata per flauto e pianoforte del 1943. Il primo movimento, Andante assai, è piuttosto vario e articolato nella forma. Due brevi frammenti tematici - il primo, esposto nel registro grave del pianoforte, ha un andamento di passacaglia, mentre il secondo utilizza passi polifonici nel violino, sorretti da accordi pianistici - sfociano in una esposizione, caratterizzata da incisi melodici che si richiamano alla frase di attacco del primo frammento tematico. A questo punto si avverte un nuovo episodio pianistico a carattere di corale, leggermente scosso dai veloci glissandi del violino con sordina. La ripresa del primo inciso conclude rapidamente l'Andante.

L'Allegro brioso si apre con accordi vivacemente martellanti, da cui, dopo cinquanta misure, si stacca un'ampia frase melodica del violino su un accompagnamento molto contenuto del pianoforte. Tutto il materiale tematico viene esposto, ripreso e variato e in esso ad un certo punto si insinua un nuovo frammento, indicato dalle ottave della mano sinistra del pianoforte.

L'Andante del terzo movimento si divide in tre sezioni. La prima è contrassegnata da una fascia di terzine di semicrome che si spostano alternativamente dal pianoforte al violino; su tale continuum si inserisce, annunciata da alcune note squillanti del pianoforte, una fresca melodia del violino, ampiamente, sviluppata e poi raddoppiata dal pianoforte. La parte centrale è costruita sul progressivo allargamento dei suoi intervalli di sesta minore discendente e di quinta giusta ascendente, costituenti il primo inciso esposto dal violino. Il terzo tempo termina con la ripresa del primo gruppo tematico.

Uno sfrenato ritmo asimmetrico contraddistingue l'Allegrissimo finale, interrotto da un episodio di intonazione lirica e concluso dal corale del primo movimento, il tutto improntato ad un discorso spumeggiante, sulla linea della giovanile Sinfonia classica.

Ennio Melchiorre

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Durante gli anni della seconda guerra mondiale Prokofiev fu intensamente occupato da due progetti operistici di vasta portata e di tono diverso: la commedia semiseria Matrimonio al convento e la grande epopea storico-nazionale Guerra e pace. Ma secondo un suo preciso metodo di lavoro, mentre attendeva a composizioni di maggior peso, non disdegnava di tenere in allenamento la mano con piccoli pezzi, che per lo più diventavano poi opere compiute, anche di dimensioni ragguardevoli e impegnative. Fu così che nacquero allora una serie di composizioni strumentali d'impianto classico che segnano, dopo un considerevole numero di anni, il ritorno a una forma, quella della Sonata, mai teoricamente abbandonata o smessa da Prokofiev.

Questo gruppo di Sonate - tre per pianoforte, una per violino e pianoforte, una per flauto, poi adattata per violino - furono globalmente designate da Prokofiev con l'appellativo di «Sonate di guerra»; l'indicazione ha valore però appena in un senso cronologico, giacché nulla traspare in esse delle angosce e delle preoccupazioni della guerra: anzi, quasi per contrasto, esse sono caratterizzate da un ordine, un equilibrio e un controllo stilistico raramente così misurati in Prokofiev, rispondendo ad aspirazioni di chiarezza linguistica e di trasparente classicità.

L'abbozzo iniziale della Prima sonata per violino e pianoforte (in fa minore, op. 80) risale al 1938, ma la composizione fu ripresa più volte e compiuta soltanto nel 1946. Come per l'adattamento per violino della Sonata per flauto (composta nel '43, trascritta nel '44), Prokofiev nel dare stesura definitiva al lavoro si servì dei consigli e dell'aiuto del grande violinista David Oistrach, che collaborò alla redazione della parte violinistica e contribuì al successo di entrambi i lavori con la sua impareggiabile arte interpretativa. E sotto l'aspetto tecnico-strumentale Prokofiev, valente pianista ed eccentrico virtuoso, non gli fu certo da meno. Quanto alla sostanza musicale della Prima sonata, Prokofiev ha cercato qui di rendere il suo linguaggio melodioso e chiaro, sensibile ed eloquente, pur senza rinunciare a renderlo con quegli slanci e quelle scabrosità melodiche e armoniche che sono tratti riconoscibili del suo stile. La ricerca della chiarezza, che a quanto pare animava allora le intenzioni del compositore, significava anzitutto riuscire a scrivere una musica chiara che fosse anche nuova e originale: ossia non necessariamente neoclassica. Il desiderio di mettere ordine nello svolgimento della creazione senza tuttavia cadere in forzate inibizioni, in altri termini ridare attualità all'ideale classico senza irretirsi in scolasticismi o artificiosi ricalchi ma puntando al nuovo (una «nuova classicità»), si risolve in una lotta fra istinto e razionalità nella quale l'autocontrollo è in funzione della liberazione e viceversa.

Il primo movimento (Andante assai) è addirittura esemplare da questo punto di vista. L'inizio del pianoforte, intimo e raccolto, quasi preludiante, lascia presagire una risoluta apertura al canto del violino. Ma non è così. Si può dire che la melodia, continuamente implicita nelle armonie del pianoforte e in procinto di sbocciare nel violino, rimanga in una posizione di attesa e non si decida a sciogliersi; essa aleggia, per così dire, soltanto nelle rapide scalette degli armonici (stupenda intuizione timbrica) e nei pizzicati del violino, come un'eco attutita e sfuggente di qualcosa che ancora non esiste e che pure riconosciamo.

L'Allegro brusco che segue introduce un movimento risoluto e spigliato, finalmente liberato nel dialogo fra i due strumenti. Ma anche qui, proprio nel momento in cui il violino prende il volo con ampio fraseggio melodico, il discorso improvvisa-mente si frena e si ricompone, quasi a tastare il terreno del suo percorso. Brevi incisi melodici e ritmici sono analizzati come possibile materiale di un nuovo inizio.

Il terzo tempo (Andante) ha propriamente carattere di studio. Studio per la tecnica e l'espressione, da cui emergono preziosità armoniche e finissime sfaccettature timbriche - ma come in uno specchio - cesellate attorno a ritmi ostinati e a semplici eppur pregnanti figure melodiche. Il tutto sullo sfondo di una sonorità lieve, smorzata.

Solo col quarto movimento (Allegrissimo) ci accorgiamo quanto poco la ricerca di chiarezza prokofieviana sia legata a una forma di tipo veramente classico. Il carattere di finale di questo movimento non conduce, come pure dapprima potrebbe sembrare, a una conclusione perentoriamente affermativa ma piuttosto al ritorno all'inizio. Non si tratta però neppure di una forma ciclica. Quel che ritorna alla fine nelle rapide volute del violino e nelle concentrate armonie del pianoforte non è una serie di figure definite ma solo un atteggiamento, di raccoglimento e insieme di meditazione, spinto verso il silenzio.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nella campagna di Sontsovka, nel governatorato di Ekaterinoslav, Ucraina, dove il padre tecnico agrario si era trasferito pochi anni prima della sua nascita, Sergej Prokofiev incominciò prestissimo a studiare il pianoforte, sotto la guida della madre, Maria Grigorevna Zitkova. Ma sempre più spesso, racconta lei, "prendeva il mio posto e cominciava a fantasticare. Queste improvvisazioni si ripetevano ogni giorno e mi ero tanto abituata che quando ebbe cinque anni gli dissi: 'Sai, Serghiuscia, la tua musica mi piace di più della mia, perché tu suoni ogni giorno una cosa nuova, mentre delle mie ne ho fin sopra i capelli' ".

Va da sé che al pianoforte, di cui divenne interprete superbo e personalissimo (a questo proposito Strawinsky lasciò scritto, non senza malizia: "Mi è piaciuta la sua musica quando era lui a suonarla"), sia legata la maggior parte della produzione sinfonica e cameristica. Quanto al violino, il catalogo già comprende, tra il 1904 e il 1907, quattro pezzi con l'accompagnamento del pianoforte: quale perduto, quale non portato a termine, a dimostrazione della scarsa convinzione di quei tentativi. Nel 1916-17, in un periodo di grande fervore creativo e di raggiunta maturità, in cui videro la luce la Suite Scita e la Sinfonia classica, Prokofiev compone il suo Primo Concerto in re maggiore per violino e orchestra, che rivedrà nel 1923.

Occorre arrivare al 1935, al periodo felice di "Romeo e Giulietta" e di "Pierino e il lupo", perché Prokofiev licenzi il Secondo Concerto per violino e orchestra (in sol minore) dove, nota Enzo Restagno, "toni lirici sapidamente intrecciati a tratti vivaci si trovano anche in questo concerto, ma fin dal primo movimento accanto a essi si insinuano talvolta sonorità un po' spettrali che paiono anticipare quelle della Sonata per violino e pianoforte op. 80".

Fu appunto dalla fervida e fruttuosa collaborazione con David Oistrach che scaturirono sia questa Prima Sonata in fa minore che la Seconda in re maggiore che porta il numero 94 bis in quanto trascrizione, su consiglio dello stesso sommo violinista, della Sonata n. 94 per flauto e pianoforte del 1943. Il successo riportato dalla prima moscovita del 1944, tenuta a battesimo dallo stesso Oistrach, confermò l'intuizione dell'interprete sulla maggior funzionalità del violino rispetto al flauto.

Fu invece lunga e tormentata la gestazione della Prima Sonata, prolungatasi dal 1938 al 1946, dove Prokofiev cerca di tradurre in note alcune idee enunciate poco tempo prima sulle Isvestia: "Quello che occorre fare innanzitutto è della grande musica, cioè della musica che tanto nella forma quanto nel contenuto risponda alla grandezza dell'epoca. Non è cosa agevole trovare l'idioma conveniente, ma è certo che esso dovrà essere melodioso, espresso con una melodia chiara e semplice. Molti compositori già trovano difficoltà nell'elaborare qualsiasi tipo di melodia che abbia in sé una precisa funzione da svolgere. Lo stesso vale per la tecnica e la forma che esigono chiarezza e semplicità".

Composizione di vasto respiro e grande impegno, in quattro movimenti, vi prevale un'atmosfera arcaica insolita nel musicista. Nel movimento iniziale, Andante assai, dei due brevi frammenti tematici il primo è sorretto dal registro grave del pianoforte con andamento di passacaglia, mentre il secondo è esposto da passi polifonici del violino. Nell'Andante brioso che segue, spiccano i vivaci accordi martellanti tipici dello stile di Prokofiev. Dopo un Andante ripartito in tre sezioni, la Sonata (che l'autore volle dedicare a Oistrach), si conclude con uno sfrenato e spumeggiante Allegrissimo.

Ivana Musiani

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Prokofiev cominciò a lavorare alla sua prima Sonata per violino e pianoforte nel 1938, per portarla a termine solo nel '46; l'anno successivo la Sonata veniva pubblicata, a Londra, come Op. 80, mentre la prima esecuzione si aveva a Mosca per opera di David Oistrakh, dedicatario del lavoro e corresponsabile della scrittura strumentale della parte del violino (un ruolo analogo il celebre violinista ebbe nella trascrizione della Sonata per flauto e pianoforte op. 94, trasformata nella seconda Sonata per violino nel 1944: altra testimonianza della fiducia del compositore verso l'amico più giovane, suo partner anche in tornei di scacchi, cui il pubblico moscovita era chiamato ad assistere da grandi manifesti adorni delle fotografie dei due illustri duellanti). La Sonata nasceva in un periodo abbastanza delicato della vicenda umana ed artistica di Prokofiev, rientrato in patria nel 1933, dopo il lungo soggiorno in Occidente (e soprattutto a Parigi). Sulla svolta stilistica riscontrabile nella musica di Prokofiev in coincidenza di questo ritorno [un ritorno che significava abbandonare quella che era ancora una delle capitali dell'avanguardia per inserirsi in una situazione culturale che era certo ben diversa da quella che Prokofiev aveva lasciato nel suo paese al momento della partenza, nel 1918), molto si è detto, cercando spesso di far dipendere la svolta medesima (vale a dire l'indubbio abbassamento di temperatura che lo stile del compositore dimostra, rispetto alla fase di infuocato modernismo degli anni giovanili), proprio dall'impatto col clima determinato nell'Unione sovietica dalla politica di Stalin. Ma un rilievo di tal genere, tutt'altro che privo, certo, di veridicità, può in qualche misura confondere l'effetto con la causa: il rientro in patria non era che la conseguenza concreta di una chiara presa di coscienza, da parte di Prokofiev, della conclusione di un preciso capitolo della sua vita di artista, quello che lo aveva visto essere uno dei più indiavolati protagonisti del gran quarantotto che aveva travolto la musica europea negli anni attorno alla grande guerra.

Il distacco dal clima di quell'esperienza, che aveva toccato le sue punte più provocatorie con la «Suite scita» e col «Giocatore», aveva del resto trovato la sua sanzione assai prima del '33, con quell'«Angelo di fuoco» che, terminato nel '27, avrebbe dovuto attendere quasi vent'anni per esser conosciuto, e chiarir meglio i termini della questione.

L'entusiasmo col quale Prokofiev si decise ad aderire alla politica culturale dell'Unione Sovietica non gli risparmiò, dopo il suo rientro, parecchie difficoltà: ma ancora al tempo in cui nacque questa Sonata (grosso modo gli anni della collaborazione ai film di Eisenstein), ciò non ebbe conseguenze sensibili sulla sua produzione; che continuò a muoversi sulle linee di un nuovo lirismo, di una raggiunta pacificazione interiore, ma anche sotto il seqno del suo personale linguaggio, della sua originalità stilistica (il dramma sarebbe venuto nel '48, col «rapporto Zdanov», e avrebbe davvero sconvolto gli ultimi anni del compositore, con risultati fin troppo palesi sulla sua stessa creatività).

Del Prokofiev di quegli anni, la Sonata op. 80 è lavoro pienamente rappresentativo, anche se non particolarmente significativo. Reca i contrassegni di una rara serenità anche formale, di un felice equilibrio, di un relativo, riposante disimpegno. Il carattere dominante è quello del compiacimento di una fantasia che si esercita soprattutto nella scrittura strumentale: particolarmente nei confronti del pianoforte, strumento da sempre più congeniale d'ogni altro al compositore, che è il vero protagonista della composizione (la parte del violino è certo impegnativa, e ci si sente lo stimolo della personalità di Oistrakh, ma la produzione di idee è demandata quasi del tutto allo strumento a tastiera, sfruttato a fondo anche nelle sue possibilità timbriche). L'impianto formale è libero, ma si concede una certa classicità di proporzioni, il gusto di certe simmetrie e di certi ritorni tematici, con un accenno «ciclico» nell'ultimo movimento. L'intenzione espressiva è ben presente in tutta la composizione, ma quasi sempre resta contenuta nei limiti di una tranquilla compostezza, senza scivolare nella banalità.

Il primo movimento, «Andante assai», riveste con la sua brevità quasi il carattere di una introduzione. I bassi del pianoforte muovono con circospezione un disegno tematico elementare, quasi senza ritmo. Il violino vi contrappone episodi più articolati ritmicamente, con frequente impiego di corde doppie, quindi, dopo una parziale riesposizione del tema principale, lascia il campo al pianoforte, che presenta un nuovo motivo, quasi di corale (lo riascolteremo al termine della Sonata), che si trasforma in un'altra ripresa del tema: il violino riveste tutto questo episodio del fruscio lieve di rapide sestine di biscrome («freddo» è l'indicazione espressiva). Poi la conclusione, su un'ultima ripresa del tema principale.

Segue un «Allegro brusco», dove ricompare l'instancabile pulsione motoria caratteristica di Prokofiev: sono insistenze aspre e asimmetriche di note ribattute, o al contrario disegni melodici articolati su successioni di figure di ugual valore. A questi elementi si contrappone un tema scandito in valori più larghi, e 'un po' sfacciato nella sua pomposa cantabilità («eroico», annota però Prokofiev). Per tutto questo movimento il dialogo fra i due strumenti è serrato, in un continuo scambio di idee.

Nell'«Andante» che segue, un momento di distensione: violino e pianoforte si scambiano il compito di tessere, con un ininterrotto fluire di semicrome, un'atmosfera espressiva rarefatta, impalpabile. Su questo sfondo si stacca un bel tema cantabile, che sembra assumere un carattere fra il candido e l'enigmatico quando il pianoforte lo espone con la sonorità ghiaccia del raddoppio alla quindicesima. Non contrasta con questo clima un episodio centrale, dove la scrittura si scioglie in disegni più svagati.

Il movimento finale, «Allegrissimo», presenta un motivo fortemente ritmato, che alterna, caratteristicamente, battute di cinque, sette e otto ottavi, interrompendosi su brusche cesure di sapore popolaresco. Una sezione contrastante, «Poco più tranquillo», assegna al pianoforte un tema più disteso e cantabile, ancora col raddoppio alla quindicesima. Una ripresa sviluppata dell'«Allegrissimo» sfocia nel ritorno dell'episodio finale del primo movimento, che conclude tranquillamente la Sonata.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 6 dicembre 1991
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Ente autonomo del Teatro Comunale di Firenze,
Firenze, 26 novembre 1984
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 16 gennaio 1992
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 29 maggio 1978


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Ultimo aggiornamento 6 dicembre 2018