Sinfonia n. 7 in do diesis minore, op. 131


Musica: Sergej Prokofiev (1891 - 1953)
  1. Moderato
  2. Allegretto
  3. Andante espressivo
  4. Vivace
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, grancassa, triangolo, tamburello, tamburo, piatti, woodblocks, glockenspiel, xilofono, pianoforte, arpa, archi
Composizione: 1951 - 1952
Prima esecuzione: Mosca, Sala Grande del Conservatorio "Ciajkovskij", 11 ottobre 1952
Edizione: Muzgiz, Mosca, 1953
Guida all'ascolto (nota 1)

La Sinfonia n. 7 in do diesis minore è l'ultima delle Sinfonie di Sergej Prokofev, e uno dei suoi ultimissimi lavori, scritto nel 1952 e presentato al pubblico a Mosca l'11 ottobre di quell'anno, cinque mesi prima della scomparsa dell'autore. Si tratta di una partitura che nel catalogo di Prokof'ev condivide - a ragione o più probabilmente a torto - la sorte di tutte le opere scritte dopo il 1948, guardate spesso con prudenza e sospetto, come manifestazioni di un pensiero creativo indebolito dalle cattive condizioni di salute e soprattutto da una mancanza di indipendenza.

Dopo l'esilio volontario che, dal 1918, lo aveva portato in America prima e in Europa poi, Prokof'ev aveva fatto ritorno alla madrepatria russa nel 1936; una decisione sofferta, alla quale concorsero certamente più motivazioni affettive, di attaccamento e nostalgia verso la terra d'origine, che politiche, di adesione al regime sovietico. E d'altronde complessi e contrastati dovevano essere i suoi rapporti con le autorità sovietiche, destinati a subire una drammatica crisi appunto nel 1948. È in quell'anno che Andrej Zdanov, responsabile della linea culturale del Partito, lancia una campagna contro quei compositori che anteponevano la propria indipendenza creativa al servizio verso lo stato. Con quello di Sostakovic, il nome di Prokofev era in cima alla lista. Le accuse erano quelle di "deviazioni formalistiche e tendenze antidemocratiche", di "respingere i principi della musica classica", e di "disseminare l'atonalità". Prokof'ev fu costretto ad una umiliante autocritica, e di fatto si inchinò ai precetti di Zdanov, che prescrivevano una immediata accessibilità del linguaggio musicale.

Se è innegabile dunque che il compositore sia stato forzato ad adeguare il suo stile, è pur vero che questo cambiamento avvenne secondo un orientamento che già da tempo si era manifestato nel suo pensiero creativo, passato, nel corso dei decenni, attraverso una complessa evoluzione. Gli esordi del giovane compositore e pianista virtuoso erano stati segnati da un rifiuto quasi iconoclasta della tradizione ottocentesca; nell'ultimo ventennio della sua attività Prokof'ev tornò invece all'ideale di una musica in cui la classicità della forma riacquistava un suo alto valore. Questo riavvicinamento alla tradizione era già palese nelle manifestazioni del teatro musicale - si pensi alla commedia settecentesca Matrimonio al convento del 1941, o al balletto Romeo e Giulietta, del 1938 - e doveva ancor più manifestarsi nella musica da camera e nelle tre Sinfonie dell'ultimo decennio - Quinta, Sesta e Settima, terminate nel 1944, 1947 e appunto 1952.

Troviamo dunque nella Settima Sinfonia il retaggio del sinfonismo romantico di Cajkovskij, filtrato attraverso una prospettiva di riconciliazione dei conflitti, dove si impongono lirismo e colori sfumati, e rimangono esclusi o quasi quei tratti di aggressività e di sarcasmo che avevano reso celebre il musicista da giovane. La tonalità di do diesis minore, relativamente poco praticata nella storia della musica - gli esempi più celebri sono quelli di Bach nel Clavicembalo ben temperato, di Haydn in una Sonata pianistica e soprattutto di Beethoven nella Sonata op. 27 n. 2 e nel Quartetto op. 131 - non è scelta per puntare sull'espressività tragica, ma per creare continue evasioni verso regioni lontane, e per essere ottimisticamente superata nell'ultimo tempo.

La tendenza al lirismo puro che segna l'intera partitura si impone già immediatamente nel Moderato iniziale. Il primo tema consiste infatti in una lunga melodia espressiva dei violini, alla quale si contrappone un'altra linea melodica di viole, violoncelli e contrabbassi; tutta la costruzione sinfonica parte dal canto intrecciato di queste due voci, nel quale si sente il retaggio malinconico di canti popolari e religiosi russi. Una più animata sezione di transizione, nella quale il tema viene riproposto ed elaborato, conduce direttamente al secondo tema, nella tonalità lontana di fa maggiore. Si tratta di una melodia dalla passionalità più romantica - potrebbe ben figurare nelle scene d'amore del balletto Romeo e Giulietta - ma, a ben vedere, è anche una logica evoluzione della prima idea, per l'intonazione all'unisono/ottava - da parte di molte voci strumentali. Un terzo elemento, una codetta, giunge poi a concludere la sezione dell'esposizione, una sorta di ticchettio dei legni con il triangolo, unico residuo dello stile sarcastico del compositore. Lo sviluppo si concentra su materiali del primo tema, trattati con grande varietà di atteggiamenti, per lasciare spazio poi a elementi della codetta, trasfigurati in una chiave fantastica, spettrale. Seguono una riesposizione abbreviata e una coda in cui Prokofev ripropone il tema principale giocando con grazia fra il maggiore e il minore.

In seconda posizione troviamo il movimento di danza; non però uno Scherzo, ma piuttosto un Valzer; ed è difficile non riconoscere il modello di questa scelta nel sinfonismo di Cajkovskij. Il tema danzante si avvia quasi casualmente e viene poi pienamente affermato con charme salottiero; progressivamente la danza acquista più colori e più spessori, passa poi a una nuova sezione più intimistica nella quale il discorso scivola da uno strumento all'altro. Il tema principale ritorna e lascia quindi spazio a una coda di densa energia propulsiva, e alla sua brillante conclusione. Anche per il tempo lento Prokofev sceglie una soluzione che alleggerisce il significato del movimento; abbiamo infatti una sorta di intermezzo, costruito come un tema con variazioni. Il tema, per l'esattezza, viene dalle inedite musiche di scena scritte nel 1936 per una versione teatrale dell'Evgenij Onegin di Puskin. Viene esposto dapprima agli archi gravi, ma la sua brevità fa sì che le variazioni costituiscano un vero caleidoscopio di soluzioni strumentali che, cambiando di continuo registri e atteggiamenti, passano dal lirismo alla marcia, trapassano, dal la bemolle, alla lontana e più luminosa regione del mi maggiore, e transitano per gli arpeggi e i tremoli del sol bemolle, riapprodando quindi all'intimismo della regione iniziale

La Sinfonia converge così decisamente verso il movimento finale, un Vivace che finalmente dà modo a Prokof'ev di applicare la sua propensione verso i tempi mossi. Si tratta di un libero Rondò, aperto da un siparietto all'unisono che porta a un tema da moto perpetuo, leggero e scherzoso, orchestrato con gusto e mutevolezza. Condotto attraverso diverse regioni e varie trasformazioni, il tema riapproda dove era partito; lascia quindi spazio a un episodio contrastante, un tempo di marcia (Moderato marcato), di gusto operettistico. Segue una ricapitolazione del materiale iniziale - abbreviata, come nel caso del primo movimento. E qui giunge la vera sorpresa preparata da Prokofev; la brillantezza dei clangori si apre infatti inaspettatamente verso un tema già udito nel primo tempo, il secondo tema romantico, esposto dall'intera orchestra con un lirismo ancor più marcato; e ad esso succede, sempre dal primo tempo, il ticchettìo della codetta, reso ancor più vibrante dal sostegno di xilofono, campane e pianoforte.

In questa dimensione fantastica si conclude dunque la Sinfonia, con una soluzione che può apparire ripetitiva rispetto al movimento iniziale, ma che ha il merito di garantire direzionalità e coerenza alla partitura. Si può immaginare dunque che Prokof'ev non sia stato lieto, nel corso delle prove per la prima esecuzione, di sentirsi richiedere, da alcuni membri dell'Unione dei Compositori, l'aggiunta di una coda più dinamica e ottimistica, nel solco dei dettami di Zdanov. Prokof'ev obbedì, aggiungendo diciassette battute che affidavano la conclusione a una ricomparsa del brillante moto perpetuo. È con questa appendice che la Sinfonia vinse il Premio Lenin nel 1957. Ma il compositore si era già spento, il 5 marzo 1953, lo stesso giorno di Josif Stalin. Sembra che sul letto di morte abbia espresso la propria preferenza per la conclusione originaria, che viene in genere prescelta nelle esecuzioni di oggi.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 3 novembre 2007


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Ultimo aggiornamento 16 novembre 2012