Romeo e Giulietta, suite n. 1, op. 64 bis


Musica: Sergej Prokofiev (1891 - 1953)
  1. Danza popolare - Allegro giocoso
  2. Scena - Allegretto
  3. Madrigale - Andante tenero
  4. Minuetto - Assai moderato
  5. Maschere - Andante marziale
  6. Romeo e Giulietta - Larghetto
  7. Morte di Tibaldo - Precipitato, presto, adagio drammatico
Organico: 2 flauti, ottavino, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, sassofono, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 2 trombe, cornetta, 3 tromboni, basso tuba, timpani, tamburo, triangolo, tamburello, piatti, grancassa, glockenspiel, xilofono, pianoforte, arpa, archi
Composizione: 1936
Prima esecuzione: Mosca, Sala della Società Filarmonica, 24 novembre 1936
Edizione: Muzgiz, Mosca, 1938
Guida all'ascolto (nota 1)

Dalla madre patria era stato lontano quattordici anni, Prokof'ev, quando prese la decisione di farvi ritorno: lasciata la Russia ventisettenne, vi tornò quarantunenne, nel 1932. Val la pena di rammentare le circostanze che avevano presieduto all'originario distacco, nel 1918. Nonostante l'esortazione di Anatolj Lunacarskij, commissario del popolo all'istruzione - «Voi siete un rivoluzionario nel campo della musica, come noi in quello della vita. Siamo fatti per lavorare insieme, mano nella mano. Se però volete proprio partire, orsù partite!» - Prokof'ev, alla concessione del visto per l'espatrio, non aveva esitato un minuto. E, raggiunta da Pietroburgo con la "Transiberiana" la lontana Vladivostok, dopo una breve sosta in Giappone, arrivò in America.

Quattordici anni dopo, altrettanto impellente la scelta di compiere il tragitto inverso, da Parigi a Mosca. Dalla patria gli erano pervenute, in quell'epoca, notizie assai vaghe dell'era avviata tumultuosamente dalla Rivoluzione d'ottobre, accompagnate da immagini tragiche ed aspre, legate alla violenza degli avvenimenti. Più che a quelle frammentarie notizie, l'orecchio di Prokof'ev volle però prestar maggior ascolto ai propri sentimenti, non celando a se stesso il timore che la sua esistenza d'artista, dopo le iniziali stagioni di travolgenti successi internazionali, rischiasse in Occidente di cadere nel vuoto. E in una dichiarazione esplicita Prokof'ev non esitò a proclamare: «L'aria dell'estero non giova alla mia ispirazione, perché sono russo e la cosa che più nuoce ad un uomo come me è di vivere in esilio, di rimanere in un clima che non corrisponde alla mia razza. Io devo tornare. Io devo vivere ancora nell'atmosfera della mia terra natale. Io devo ancora vedere dei veri inverni e la primavera che esplode da un momento all'altro. Io devo sentire risuonare nel mio orecchio la lingua russa, devo parlare con gente che è della mia carne e del mio sangue, affinchè mi dia quel che mi manca, i suoi canti, i miei canti».

Singolare destino, quello di Prokof'ev. Da un pezzo erano dileguati gli "anni ruggenti" della rivoluzione e le accese dispute sullo "stile" e sulle ragioni della "forma" in un'effettiva società socialista avevano smarrito l'originaria tensione, la forza infiammata al calor bianco. Quelle che erano state considerate le "nuove" energie profonde apparivano quasi svuotate di carattere, intimidite. E Majakovskij, che di quell'incandescente stagione era stato il "leader" in nome d'una fantasia estroversa, agitata e declamatoria, lo stesso Majakovskij che, prima della partenza da Pietroburgo del musicista, gli aveva fatto dono d'un volume delle sue poesie, firmandolo con una dedica non meno rivoluzionaria nell'ironia delle parole, era morto suicida. Il paesaggio della società sovietica stava cambiando radicalmente di segno, seppur il mutamento in superficie sembrava ancora poco percepibile. Incombeva il proposito d'un regime intenzionato a bollare di "formalismo borghese" ogni manifestazione artistica ritenuta non consona alle proprie direttive. Di lì a poco una lunga ombra luttuosa si sarebbe protesa al di sopra della letteratura sovietica ed una delle prime wttime doveva essere Sostakovic per la sua Lady Macbeth del distretto di Mcensk.

Sino alla primavera del 1938 Prokof'ev riuscì ad alternare qualche tournée in Europa e in America ai soggiorni sempre più prolungati nell'Unione Sovietica. Dopo il suo ultimo recital del 2 aprile all'ambasciata russa di Parigi, l'ultimo recital in Occidente, Prokof'ev non ebbe più il visto per concerti all'estero e dovette far buon viso a tale destino. Di per sé il musicista non ebbe a lamentarsi in proposito, proiettato come era, spiccatamente dalla primavera 1934, a svolgere un ruolo di protagonista nella vita artistica della madre patria. Pur se l'effettivo Primo Congresso dei Compositori si sarebbe svolto soltanto nel 1948, già durante le riunioni pubbliche del Primo Congresso degli Scrittori Sovietici dell'agosto 1934, ove si registrò l'esordio di Zdanov come portavoce dell'ufficialità del regime, vennero a precisarsi le coordinate estetiche di quello che in seguito assumerà il nome di "realismo socialista". All'apparenza però i cambiamenti furono avvertiti da pochi ed un personaggio come Babel non esitava a dichiarare pubblicamente la sua «speranza e acccttazione d'un sistema sociale la cui bellezza è evidente a tutti, davanti al quale si è colti da una specie di gioia fisica, di esultanza trascendentale».

Tema dominante di quel Congresso degli Scrittori del 1934 non fu il dibattito su Puskin o su Dostoevskij, ma su Shakespeare: e applauditissimo risultò l'intervento di Malraux che, rivolgendosi all'assemblea, si chiese: «Dove sono i nuovi Shakespeare?». Di tale argomento Prokof'ev fu tra i primi ad esser informato ed in cuor suo decise d'accostare a tale materia la propria intenzione, già da tempo coltivata in segreto, di scrivere la musica d'un balletto per un teatro sovietico, il primo della sua produzione dopo le realizzazioni parigine - Chout ( 1921 ), Le Pas d'acier (1927), Prodigal Son (1929), Sur le Borysthène (1932). L'idea di trarre un balletto dal soggetto scespiriano di Romeo e Giulietta fu inizialmente di Sergej Radlov, regista di prosa ed importante protagonista della vita teatrale russa già prima della Rivoluzione d'ottobre. Grande amico di Prokof'ev, e profondo estimatore della sua musica, Radlov (1892-1958) aveva già firmato, nel 1926 a Leningrado, la regia dell'Amore delle tre melarance, oltre ad essersi distinto nella collaborazione a vari programmi di lavoro di Meyerhold. Sempre a Leningrado Radlov aveva curato nel 1927 la regia della première russa di Wozzeck e dal 1931 al 1934 era stato alla guida del Teatro Accademico: in tale sede, erano stati allestiti anche dei balletti, come L'incendio di Parigi e La fontana di Bakhchisarai di Boris V. Asaf'ev, e numerosi testi scespiriani di prosa, come Othello nel 1932 e, appunto, Romeo e Giulietta nel 1934.

L'assassinio di Sergej Kirov il 1° dicembre 1934, con le drammatiche conseguenze nella vita culturale di Leningrado, sembrò far sfumare ogni progetto in merito, oltre a provocare l'allontanamento dal Teatro Accademico di tutti i dirigenti, Radlov compreso. Per fortuna di Prokof'ev sembrò allora farsi avanti il moscovita Teatro Bol'soj nella primavera 1935 e fu proprio nell'estate di quell'anno che il progetto del balletto Romeo e Giulietta cominciò a tradursi in realtà. Radlov, di per sé, non s'intendeva di coreografia ed il suo principale intento, nelle riunioni esecutive con Prokof'ev, era di discostarsi il meno possibile dal testo scespiriano: fu per questa ragione che il musicista volle esser affiancato dal coreografo Leonid Lavroskij e dal commediografo Adrian Petrovskij, che si sarebbe dedicato alla scrittura della sceneggiatura. Le originarie ventiquattro scene, in cinque atti, della pièce scespiriana si tradussero, nella versione coreografica originaria, in cinquantotto brevi episodi, ciascuno dei quali venne contrassegnato da un titolo "drammaturgico": il tutto fu poi raggruppato in nove scene in quattro atti, preceduti da un prologo orchestrale.

Definita la sceneggiatura, predisposto il trattamento, Prokof'ev diede inizio senza indugi alla composizione della trama musicale nella versione per pianoforte, giovandosi d'una fluente, ed inarrestabile, vena creativa: il completamento dell'atto II avvenne il 22 luglio, dell'atto III il 29 agosto, con ultimazione del balletto l'8 settembre 1935: neanche cinque mesi di lavoro nella ridente campagna di Polenovo, non lontano dalla città di'Tarusa, per vari aspetti organizzativi legata all'attività del Teatro Bol'soj. Con il 1° ottobre Prokof'ev cominciò a procedere all'orchestrazione di Romeo e Giulietta, mentre, contemporaneamente, scriveva il Secondo Concerto per violino e la Musica per bambini op. 65 per pianoforte.

Il 4 ottobre lo stesso autore suonò al pianoforte Romeo e Giulietta a Mosca, al cospetto dei dirigenti del Bol'soj. Raccolse delle lodi ma anche parecchie riserve da parte dei ballerini che giudicarono «ineseguibile» quella partitura per «gli eccessi di ritmi sincopati e la complessità dei movimenti d'insieme». E quel finale lieto, che il musicista aveva ideato con qualche esuberanza d'ottimismo, dovette esser cancellato, venendo ripristinata la fine tragica dell'amore fatale dei due innamorati, secondo Shakespeare. Tutto risolto, allora? Neanche per sogno! L'allestimento del nuovo balletto fu tolto dal cartellone della stagione 1935-36 e rinviato a data da destinarsi, tra l'amarezza dell'autore.

Fu per tale ragione che, sul finire del 1936, Prokof'ev decise di estrapolare dalla partitura di Romeo e Giulietta due suites sinfoniche, la prima delle quali - comprendente sette episodi: 1. Danza popolare (Allegro giocoso), 2. Scena, (Allegretto), 3. Madrigale (Andante tenero), 4. Minuetto (Assai moderato), 5. Masques (Andante marziale), 6. Romeo e Giulietta (Larghetto - Andante), 7. La morte di Tebaldo (Precipitato - Presto - Adagio drammatico) - fu eseguita in pubblico dall'Orchestra Filarmonica di Mosca il 24 novembre 1936, raccogliendo un brillante successo. Nella primavera successiva, il 15 aprile 1937 ma a Leningrado, lo stesso Prokof'ev diresse la prima esecuzione della Seconda Suite che egualmente comprendeva sette episodi: 1. I Montecchi e i Capuleti (Andante - Moderato - Allegro pesante), 2. Giulietta bambina (Vivace - Più tranquillo - Più animato), 3. Frate Lorenzo (Andante espressivo), 4. Danza (Vivo), 5. Romeo da Giulietta prima del distacco (Lento - Adagio - Andante), 6. Danza delle fanciulle delle Antille (Andante con eleganza), 7. Romeo alla tomba di Giulietta (Adagio funebre). Non contento di ciò, come op. 75 nel 1937 Prokof'ev pubblicò una scelta di dieci episodi di Romeo e Giulietta per pianoforte e nel 1946, con prima esecuzione a Mosca l'8 marzo 1946, una Terza Suite per orchestra op. 101.

Nel frattempo però c'era stata la prima rappresentazione assoluta di Romeo e Giulietta, non alla presenza dell'autore e neanche in terra russa ma in Cecoslovacchia, a Brno, nell'interpretazione del Balletto Nazionale Iugoslavo di Zagabria con la coreografia di Vania Psota, che fu anche Romeo per l'occasione. La première in Russia si svolse l'11 gennaio 1940 al Teatro Kirov di Leningrado, nella coreografia di Lavrovskij, con impianto scenografico di Williams e direzione di Sherman, protagonisti Konstantin Sergejev e Galina Ulanova. Proprio la Ulanova, applauditissima al termine dello spettacolo, colse con alcune appropriate parole il senso del lavoro: «Il trionfo spetta alla musica forte e originale, ricca di caratterizzazioni, tali da dettare a noi l'espressione, il senso delle nostre azioni, dei nostri movimenti. La musica di Prokof'ev è creatrice e anima della danza: la sua Giulietta è la quintessenza della luce, dell'umanità, della purezza spirituale e dell'elevatezza di pensiero che si trova in quasi tutte le opere del compositore».

In particolare, la Prima Suite si caratterizza per la propria autonomia drammaturgica, indipendentemente dall'evolversi della narrazione degli avvenimenti della vicenda. Dei sette episodi, almeno quattro - Danza popolare, Scena, Minuetto, Masques - tendono a ricreare il clima che fa da sfondo alla tragedia d'amore e morte dei due giovani innamorati. In contrapposizione a tali episodi di danza, vi sono due numeri intrisi d'una intensa carica lirica e melodica, Madrigale e Romeo e Giulietta, oltre alla drammaticità della Morte di Tebaldo che conclude la Suite.

Nei tre episodi che si ascoltano questa sera sotto la direzione di Spivakov si possono cogliere, ed apprezzare, i caratteri stilistici che sono sintomatici della qualità della musica di Prokof'ev, il magistero della scrittura cameristica, l'eleganza degli schemi formali, l'equilibrio tra i propositi descrittivi degli stati psicologici dei personaggi e la definizione del rispettivo campo d'azione. In questi tre numeri di Romeo e Giulietta si individuano alcune delle pagine più convincenti dell'operare creativo del musicista russo, assertore che «se la gente non dovesse trovare melodia e sentimenti in quest'opera, io ne sarei veramente desolato: sono sicuro però che la gente vi troverà la melodia che si aspetta». Di conseguenza, torna ad essere una qualità essenziale del linguaggio novecentesco la "melodia", che non è soltanto l'espressione d'un sentimento lirico perché si lega ad un'entità viva, cioè al personaggio di Giulietta. Lo intese subito, quest'aspetto, Eizenstejn, il grande regista cinematografico, quando osservò che la musica di Romeo e Giulietta era «plastica» perché aveva «in sé una fermentazione dinamica irresistibile». Non meno interessanti risultano i momenti in cui balza in primo piano l'incisività ritmica che conferisce a questo balletto una straordinaria vivacità di situazioni, di movimento, di scatti perentori che marcano e contrassegnano con forza sicura il clima del balletto nel gioco dei risalti immaginativi, degli sbalzi drammatici, delle suggestioni stringenti in un contesto di scrittura orchestrale sempre elegante, trasparente e sagace.

Luigi Bellingardi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 20 gennaio 1996


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Ultimo aggiornamento 27 febbraio 2014