Ouverture su temi ebraici in do minore, op. 34


Musica: Sergej Prokofiev (1891 - 1953)

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, grancassa, pianoforte, archi
Composizione: 1919 versione cameristiaa (1934 versione per orchestra)1934
Prima esecuzione:New York, Bohemian club, 2 febbraio 1920 (versione cameristica)
Edizione: Gutheil, Parigi, 1934
Guida all'ascolto (nota 1)

Finiti gli studi, musicista già solido, nel 1918 Prokofev tenta la sua esperienza americana, che in quattro anni vedrà nascere pezzi d'importanza come L'amore delle tre e il Terzo concerto per pianoforte, ma non riserverà vita facile al compositore "barbaro" e "bolscevico" (Claude Samuel).

In ottobre, appena arrivato a New York, un gruppo da camera, l'ensemble Zimro, in tournée per raccogliere fondi destinati alla fondazione di un conservatorio a Gerusalemme, consegna a Prokofev una raccolta di melodie ebraiche, con la preghiera di comporre una suite (o ouverture, i termini sono sinonimi), su qualcuno dei temi. I sei Zimro sono ebrei russi, amici di scuola a San Pietroburgo. Il solista Simon Bellison, già primo clarinetto al teatro Mariinsky, diventerà prima parte nella New York Philharmonic. Nonostante ciò, Prokofev si defila, un po' infastidito: la sua vena melodica non ha bisogno di aiuti o surrogati. Mette l'album da parte ma lo riprende in mano, per curiosità o per caso, alcuni mesi dopo, ed evidentemente il materiale piace se in un paio di giorni il nuovo pezzo è già scritto. Il 26 gennaio 1920, l'Ouverture su temi ebraici viene eseguita nella versione per pianoforte, quartetto d'archi e clarinetto, e piace molto anche al pubblico.

Come sempre nel caso di prestiti "folk", s'insinua una domanda: sono davvero temi ebraici? Qualcuno lo ha messo in dubbio. L'ipotesi alternativa - se non autentici, sono molto ben inventati - verrebbe data a pari merito. Una cosa è certa: basta che il clarinetto lanci la prima idea melodica, tornita, pulsante, e il carattere klezmer dell'Ouverture s'impone quasi insolente (avrebbe detto Bortolotto).

Due temi, bellissimi, che l'impianto di do minore ombreggia alla perfezione, s'inseguono e si confrontano in nervoso contrasto fra nostalgia e inquietudine. La materia rimbalza fra gli strumenti con venature che non hanno bisogno di un titolo per imporsi come "juif". Insomma, è verità popolare o genio d'autore? Non deve dispiacere nessuna delle due possibilità, che probabilmente combaciano. Prokofev non era entusiasta del pezzo: considerava che la parte migliore fosse il finale, forse perché indiscutibilmente suo. Ma l'Ouverture non gli è indifferente se nel 1934 accetta anche la proposta di scriverne una versione sinfonica, rifinendo una scrittura che non sacrifica nulla dell'originale da camera, ne mantiene, anzi accentua, lo scatto, il fascino avvolgente, l'immediatezza. Anche nella versione estesa, il clarinetto definisce per primo e su tutti la voce del pezzo; i fiati che gli si uniscono nelle risposte aggiungono colori senza sottrarre nulla alla tinta dominante. Il secondo tema, più disteso e nostalgico, viene lanciato dal violoncello, passa al violino e la piccola orchestra lo amplifica arricchendo la trama del pezzo con riprese variate, fino all'accelerazione frenetica delle battute finali.

La sensibilità del nostro tempo, così vicina allo spirito delle contaminazioni, non ha dubbi nel considerare l'Ouverture di Prokofev un piccolo gioiello "di carattere" - sette-nove minuti di musica - in cui si esalta l'intimo dualismo della tradizione ebraica. Dualismo che Šostakovič amava molto e per il quale aveva trovato una definizione bellissima: un abbraccio tra "afflizione e musica da ballo".

Carlo Maria Cella


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 14 aprile 2022


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Ultimo aggiornamento 20 aprile 2022