Cinque canti senza parole per violino e pianoforte, op. 35 bis

Trascrizione dell'op. 35 per voce e pianoforte

Musica: Sergej Prokofiev (1891 - 1953)
  1. Andante
  2. Lento, ma non troppo
  3. Animato, ma non allegro
  4. Andantino, un poco scherzando
  5. Andante non troppo
Organico: violino, pianoforte
Composizione: 1925
Edizione: Édition russe de Musique, Parigi, 1925
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Pur essendo principalmente uno straordinario pianista e avendo arricchito notevolmente la letteratura per il suo strumento, Sergej Prokof'ev ha dato un contributo molto importante al repertorio violinistico del Novecento, attraverso una serie di pagine che coprono quasi per intero l'arco della sua attività compositiva. Senza considerare alcuni pezzi infantili per violino e pianoforte, fra cui una Sonata in do minore composta a dodici anni e oggi perduta, il compositore russo ha firmato due Concerti per violino e orchestra (nel 1916-17 il Concerto n. 1 in re maggiore op. 19, riveduto poi nel 1923; nel 1935 il Concerto n. 2 in sol minore op. 63), due Sonate per violino e pianoforte (fra il 1938 e il 1946 la Sonata n. 1 in fa minore op. 80 e nel 1944 la Sonata n. 2 op. 94 bis) più le Cinque Melodie op. 35 bis per violino e pianoforte (1925), la Sonata in do maggiore per due violini op. 56 (1932) e la Sonata in re maggiore per violino solo op. 115 (1947).

Le Cinque Melodie op. 35 bis rappresentano dunque il primo importante lavoro di Prokof'ev per violino e pianoforte, precorrendo di circa vent'anni le sue due Sonate, nate fra il 1938 e il 1946 intorno alla carismatica personalità di David Oistrakh, lo straordinario violinista russo che per Prokof'ev - e non solo per lui - incarnava la rara e perfetta sintesi fra assoluto dominio tecnico, rigore stilistico e passione. In realtà non si tratta di pezzi originali, ma di trascrizioni (proprio come accadrà con la Seconda Sonata, nata, su suggerimento di Oistrakh, dalla trascrizione della Sonata per flauto e pianoforte op. 94): nel 1920, durante una tournée di concerti in California, Prokof'ev aveva composto le Cinque Melodie senza parole op. 35 per la cantante Nina Kochitz che poco tempo dopo, il 27 marzo del 1921 a New York, ne fu la prima interprete, con l'autore al pianoforte. Qualche anno dopo, il violinista polacco Pawel Kochanski gli chiese di trarne una versione per violino e pianoforte. Kochanski, che aveva debuttato a New York nel 1921 e dal 1924 insegnava alla Juilliard School, andava in cerca di nuove musiche per estendere il suo repertorio: per questo aveva già trascritto per violino e pianoforte numerose composizioni, fra cui le 7 Canciones populares espanolas di Falla (trasformate nella Spanish Popular Suite), numerose pagine di Karol Szymanowski e la Pavane pour une infante defunte di Ravel che apprezzò questa trascrizione al punto di indurre l'amico Andre Asselin a registrarla in disco. In risposta alla richiesta di Kochanski e valendosi della sua consulenza tecnica per la scrittura violinistica, Prokof'ev nel 1925 portò a termine le Cinque Melodie op. 35 bis per violino e pianoforte, pubblicate in quello stesso anno a Parigi dalle Editions de musique russe con dedica a tre violinisti del tempo: Pawel Kochanski, naturalmente, Cecilia Hansen e Joseph Szigeti. Nel trasportare sul violino queste melodie concepite per la voce umana, Prokof'ev, pur sfruttando un notevole armamentario tecnico - suoni armonici, pizzicati, corde doppie - punta decisamente sulle capacità liriche del violino, sulla sua possibilità di eseguire lunghissime frasi melodiche in legato.

La prima di queste cinque miniature è un Andante dal tono meditativo che solo poco prima della fine si anima con una breve accensione di forte intensità espressiva. Segue un suggestivo Lento, ma non troppo costruito in forma tripartita: una malinconica melodia dal sapore inconfondibilmente prokof'eviano che emerge dallo scorrevole e discreto accompagnamento del pianoforte incornicia una sezione centrale dal tono più misterioso e agitato. Anche il terzo brano, Animato, ma non allegro, dopo essersi aperto con un improvviso slancio appassionato, ritrova in poche battute l'atmosfera meditativa dei primi due brani ed è solo nella quarta melodia, Allegretto leggero e scherzando, la più breve della raccolta, che l'atmosfera sembra interamente improntata a una delicata serenità, screziata di un buon umore non privo di ironia. E nonostante la breve parte centrale più bizzosa e animata, anche dall'Andante non troppo conclusivo emerge la pensosa malinconia che rappresenta la cifra espressiva fondamentale di queste Cinque Melodie.

Carlo Cavalletti

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel 1920, quando compose i Cinque canti senza parole op. 35 per voce e pianoforte, Prokof'ev era nel pieno della sua stagione modernista e antiromantica. I contatti con Diaghilev, il celebre impresario dei Ballets Russes, con Stravinskij e Ravel, con i futuristi italiani avevano suscitato nel giovane compositore una quantità di stimoli ben presto recepiti e rielaborati all'insegna della rottura con la tradizione. Il Prokof'ev iconoclasta e "barbaro" della Suite scita e dei Sarcasmes per pianoforte si inseriva con prepotenza in quel drappello di artisti che mandava in soffitta senza tanti complimenti le strutture formali e armoniche della tradizione classico-romantica. Ma accanto alla pars destruens - che poi significava l'affannosa e gioiosa ricerca di un suono vergine anche per le orecchie più scaltre - lentamente si affacciava un innato senso delle proporzioni, una volontà di chiarificazione e semplificazione che saranno i cardini della produzione degli ultimi vent'anni, a partire cioè dal ritorno definitivo in Unione Sovietica nel 1932.

La componente lirica, già individuata dallo stesso Prokof'ev in una nota autobiografica come parte essenziale della sua personalità artistica, dopo inizi un po' sottotono, prenderà sempre più spazio nel corso degli anni fino a inglobare in sé tutti gli altri aspetti.

La versione per violino e pianoforte delle Cinque Melodie, realizzata da Prokof'ev nel 1925, tende a far risaltare al meglio la cantabilità dello strumento ad arco senza rinunciare alle movenze grottesche e capricciose tipiche delle composizioni degli anni Venti. Il primo brano, Andante, è costruito classicamente con un arco melodico ben equilibrato in un ambito politonale oscillante fra mi bemolle maggiore e fa minore. Una maggiore semplificazione armonica e una asciuttezza di impronta neoclassica si avvertono nel brano successivo, in forma ternaria, dominato da una atmosfera rarefatta e sospesa.

Seguono due pezzi più mossi: drammatico il n. 3, con il picchettato del violino sul tremolo del pianoforte, umoristico e brillante il n. 4, non lontano dalle atmosfere surreali e fiabesche dell'Amore delle tre melarance.

Dopo questo piccolo saggio di virtuosismo strumentale si torna con l'ultimo brano, dedicato al celebre violinista Joseph Szigeti, alle grandi e intense arcate melodiche espressamente vocali.

Giulio D'Amore


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 10 dicembre 1999
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 7 maggio 1998


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Ultimo aggiornamento 28 febbraio 2014