Fra Gherardo
Dramma in tre atti
Musica: Ildebrando Pizzetti (1880 - 1968)
Libretto: Ildebrando Pizzetti
Ruoli:
- Gherardo (tenore)
- Mariola (soprano)
- Frate Guido Putagio (baritono)
- Frate Simone (tenore)
- Un fraticello giovinetto (tenore)
- Il podestà (baritono)
- Il vescovo (baritono)
- L'assessore del podestà (baritono)
- Un gentiluomo (baritono)
- Una donna bionda (soprano)
- Il notaro (tenore)
- Il guercio (baritono)
- Il cieco (basso)
- Una vecchia (mezzosoprano)
- Un soldato (baritono)
- Un altro soldato (basso)
- Un uomo (baritono)
- Una donna (soprano)
- Una madre (mezzosoprano)
- Un vecchio (baritono)
- Un incredulo (tenore)
- Il Rosso (baritono)
- Un giovane (mezzosoprano)
- Una guardia (mezzosoprano)
- Un ragazzo (contralto)
- La voce di un ragazzo (contralto)
- Una voce rabbiosa (mezzosoprano)
- Una voce di donna (soprano)
- Un'altra voce di donna (soprano)
- Membri del consiglio, soldati, guardie, mendicanti, popolo
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto
basso, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso
tuba, timpani, percussioni, campane, pianoforte, arpa, archi
Composizione: 1925 - 11 settembre 1927
Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 16 maggio 1928
Edizione: Ricordi, Milano, 1928
Dedica: A tutti i miei cari di qua e di la dal limite
Sinossi
Atto primo.
Parma, 1260.
Ai mendicanti radunatisi davanti alla sua casa, in attesa di
un'elemosina, Gherardo annuncia di aver venduto tutte le sue proprietà
per darne il ricavato ai poveri. Distribuisce dunque loro il denaro,
inneggiando alla povertà. Fra le persone 'ben vestite' accorse per
assistere al fatto, una donna bionda e un gentiluomo intervengono
provocandolo. L'invito a porre fine al litigio giunge inaspettatamente
da una giovane sventurata, Mariola, detta la 'Francesina'. Più tardi,
tocca a Gherardo difendere quella stessa giovane dalle molestie di due
soldati ubriachi: la invita a casa sua e trascorre con lei una dolce
notte d'amore. L'alba del mattino successivo, però, respinge
l'innamorata accusandola di averlo distolto dalla scelta di dedicare la
vita a Dio. Quando un corteo di flagellanti invade la strada attigua
all'abitazione, Gherardo si unisce loro considerando quell'opportunità
un segno del destino.
Atto secondo.
16 luglio 1269.
Il popolo attende di fronte al convento dei Fratelli Apostolici che
Gherardo - ora Fra Gherardo - si mostri. Tornato in città per guidare
un'insurrezione popolare contro le autorità corrotte, il frate si
rivolge loro però in modo duro, quasi offensivo, diffondendo il
malcontento. La notte di quello stesso giorno, Mariola si fa incontro a
Gherardo e gli racconta della vita piena di privazioni che ha condotto
in quegli anni, e della morte del figlio nato dalla loro unione.
Malgrado tutto, lo ama ancora, e lo incoraggia a proseguire nella
missione intrapresa quando rimorso e compassione sembrano invece
trasformare il frate in un fragile 'padre' convinto di aver ucciso il
proprio figlio. Un improvviso clangore di passi concitati precede
l'arresto di Gherardo. Mariola, superato lo smarrimento, grida al
popolo che si tratta di un tradimento.
Atto terzo.
18 luglio 1269.
Il vescovo e il podestà fanno credere a Gherardo che anche Mariola è
stata arrestata e che egli potrà salvarla con un atto di pubblica
abiura. Fuori, sulla piazza Maggiore, fra la gente v'è ormai un gruppo
avverso a Gherardo. Durante l'interrogatorio che segue, il frate tiene
fede a se stesso pur temendo per Mariola. Quando invece la riconosce
fra la folla, si illumina: è una breve illusione, perché l'amata cade
presto vittima dell'ira di una donna. Condannato a morte, prima di
salire sul rogo, Gherardo ricorda a tutti che «...una è la legge/ una
la Verità:/ Donare senza chiedere,/ e amare, amare, amare!».
Gherardino Segalello, umile frate tessitore e fondatore della
Congrega degli Apostolici, è descritto nel Chronicon parmense
di Salimbene de Adam (1221-1287 ca.) come un personaggio continuamente
in bilico fra idiozia ed esaltazione, forse non degno di quell'aura di
santità di cui lo rivestono altre fonti. Certo, fra Salimbene da Parma
era troppo ligio all'autorità ecclesiastica per poterne ritrarre
diversamente la figura: Gherardino era finito sul rogo per aver
denunciato l'ipocrisia di certo ambiente clericale e per aver predicato
semplicità di costumi e autonomia dell'individuo anche nei riguardi
della coscienza. Pizzetti, dal canto suo, nell'ispirarsi alla 'cronaca'
del Salimbene per stendere l'intreccio del suo dramma (all'elaborazione
del libretto si dedica negli anni 1925-26; alla composizione dal 18
settembre 1926 all'11 settembre 1927), interviene in modo rilevante nel
ridefinire il carattere del protagonista, ricreando liberamente la
vicenda e fornendole nuovo valore drammatico. La contrapposizione fra
gli atteggiamenti morali del fanatismo politico-religioso e dell'amore
umano, centro motore di Fra
Gherardo, è presentata come esito di singole scelte
personali, esposte all'errore. Nell'umile frate si incarnarnano così le
debolezze e i peccati della vita, permettendo alla sfera del privato di
esprimersi nei termini fortemente drammatici ma umili della cronaca.
Alla fine, sarà ancora la redenzione in virtù dell'amore a trionfare
sulla fragilità umana ed emotiva, come negli altri drammi (Debora e Jaele, Lo straniero) della
trilogia che Fra
Gherardo conclude. Una trilogia il cui filo conduttore,
malgrado differenze di scrittura e di impianto drammaturgico, è dato
proprio dalla coerenza di un attegiamento ideologico: quello dell'amore
collettivo e della fede. La prima rappresentazione dell'opera avvenne,
come già per Debora e
Jaele, sotto la direzione di Toscanini.
Sofferte questioni morali e religiose, dunque, percorrono il
dramma che si viene edificando nel corso dell'opera, non 'già avvenuto'
come ne Lo straniero.
È stato giustamente rilevato come l'accento posto sul privato sanzioni
qui il passaggio da un teatro-mito, caratterizzante la prima fase della
produzione pizzettiana, e poi ripreso nel successivo L'oro, a un teatro
compromesso con il dramma borghese. Seduzione, amore carnale, il
ripudio dell'amata, un figlio. E attorno a questo nucleo centrale c'è
spazio per la descrizione ambientale, per episodi secondari spesso
volti a ricostruire un clima popolaresco, rintracciabile anche in
alcuni lavori strumentali dello stesso periodo. Il risultato è una
grande varietà di atteggiamenti, particolarmente efficace teatralmente
(conclusione e taglio sembrano alludere alla forma teatrale del
'mistero' medioevale), che si riflette nell'avvicendarsi di situazioni
statiche e di tumulto, liriche e drammatiche. Così per i momenti
sinfonico-corali, caratterizzati da una dose di spettacolarità specie
nei finali d'atto. Così per il declamato, che segue duttilmente le
esigenze del dramma ora assumendo accenti di vibrante cantabilità (il
frate e Mariola si producono in due veri e propri duetti; ampi squarci
lirici sono presenti nell'estesa scena finale), ora fondendosi quasi in
un idioma sinfonico con l'orchestra (come nel Concerto dell'estate,
1928), ora lasciando affiorare anche forme 'chiuse' ( l''aria di
Gherardo "Un giorno Gesù stava a mensa"). 'Lasciti' ottocenteschi sono
individuabili sul piano del linguaggio armonico mentre, quali elementi
di caratterizzazione storica, sono presenti il calco di una lauda (Chi
confessa il suo peccato, a 8 parti reali, intonata dai Flagellanti al
termine del primo atto) e una canzone provenzale (Reine Avrillouse,
cantata dai due soldati ubriachi nel primo atto); di quest'ultima
Gherardo intona ancora un verso - «A l'entrada del tems clar» - mentre
contempla il corpo esanime di Mariola, alla fine del terzo atto. Tale
varietà di atteggiamenti, tuttavia, lascia trasparire, accanto ai
momenti particolarmenti riusciti, anche i sintomi della crisi che
caratterizzerà la successiva fase centrale della produzione del
musicista di Parma.
(1)
Testo tratto dal
Dizionario
dell'Opera 2008, a cura di Piero Gelli, edito da Baldini
Castoldi Dalai editore, Firenze
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Ultimo aggiornamento 19 agosto 2016