Agamennone

Musica di scena per la tragedia di Eschilo

Musica: Ildebrando Pizzetti (1880 - 1968)
  1. Preludio: Largo
  2. Andante grave
Organico: coro misto, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, grancassa, gong, tamburo, glockenspiel, sistro, 2 arpe, 4 violini, 3 contrabbassi
Composizione: 1930
Prima rappresentazione: Siracusa, Teatro greco, 28 aprile 1931
Edizione: Ricordi, Milano, 1931
Guida all'ascolto (nota 1)

Tra le cosiddette «musiche di scena» di Pizzetti, questa Introduzione all'«Agamennone» di Eschilo occupa un posto a parte.

Fu nel 1930 che il Teatro classico di Siracusa chiese al musicista di comporre le musiche per le rappresentazioni dell'Agamennone che dovevano aver luogo l'anno seguente. Le musiche furono composte e vennero eseguite il 28 aprile 1931 per la rappresentazione della tragedia di Eschilo. Furono ripetute alle due rappresentazioni seguenti, ma rimasero inedite. Di esse facevano parte i due Inni greci che furono pubblicati nel 1937: il resto era stato rifuso in un'ampia composizione per coro e orchestra che evoca, come da una lontananza favolosa, gli episodi della tragedia eschilea. Il musicista, lontano dal teatro, ha rivissuto dentro di sé la tragedia e ne ha composto una rievocazione intensa e profonda in un linguaggio fervido e fremente, anche quando sembra, apparentemente, calmo. Di questo lavoro scrive Gianandrea Gavazzeni:

«In questa Introduzione viene raccolta quasi tutta la «musica di scena» messa in grandi brani, innervata in una autonomia di struttura o di espressione. Una sorta, di dramma senza scena e senza personaggi visibili: un dramma per orchestra e coro, e neanche le voci si manifestano con parole (fuorché all'inizio della Lamentazione), ma vocalizzano soltanto; per necessità del musicista di guardare e ascoltare ogni vibrazione dentro di sé, senza alcun gesto visibile che sia messo in schemi da vedere con l'occhio e toccar con le mani. Tale immediato esistere della musica per l'Agamennone come dramma isolato, dramma di suoni, gridi, timbri di ottoni e archi e "percussioni"; tale suo divenire già in atto alla prima enunciazione, così da farla essere subito l'Introduzione all'Agamennone, attesta fin dove può giungere la primiera affinità, il primo avvicinarsi per spinta naturale alle tragiche sorti delle figure di Eschilo e di Sofocle. Infatti, ora che nell'Agamennone tutti gli strumenti e i mezzi espressivi pizzettiani sono giunti a un massimo d'intensità, le cause drammatiche sembrano essere state create lì per lì dal musicista e piegate ad ogni sua ombra, ad ogni sua accensione inventiva; per il dominio, il segno personale, l'autorità etica e musicale con la quale il pretesto della "musica di scena" viene sconvolto e allontanato per sempre da qualunque preoccupazione di rapporto tra situazione scenica e commento musicale, parola e suono, timbro di voci e timbro di strumenti, pensiero della tragedia e subordinazione della musica... Pizzetti tratta la tragedia con la medesima prepotenza con la quale si imporrebbe al testo di un dramma scritto da lui. Proprio per il piano sul quale il suo stile s'è fissato, per la qualità di certi temi, e l'angolo geometrico ove porli, e gli oggetti di un accordo e di un ritmo, e tutto lo spigolo, lo spacco, il fluire di architetture piene, e il grumo denso e torpido di un moto ineguale di danza, con sue incertezze strane, e magri segni essenziali, e appena lo strider di qualche timbro di ottoni a certe svolte, a certi cubi dove un brano segna i piedi, od offre gli stasimi alle strofe incalzanti di un frammento tragico. In quel senso, su quegli impianti linguistici, un mito o una tragedia possono venir ricreati infinite volte... »

Domenico De Paoli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 25 marzo 1970


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Ultimo aggiornamento 16 settembre 2016