Thamos, König in Aegypten (Thamos re d'Egitto), K1 345 (K6 336a)

Cori ed intermezzi per il dramma eroico

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
Testo: Tobias Philipp, baron von Gebler ed Andreas Schachtner il n. 8
  1. Schon weichet dir, Sonne! - coro - Maestoso (do maggiore)
  2. Intermezzo del 1° atto - Maestoso (do minore). Allegro
  3. Intermezzo del 2° atto - Andante (mi bemolle maggiore)
  4. Intermezzo del 3° atto - Allegro (sol minore). Allegretto. Andante. Più Andante. Più Adagio. Allegretto. Adagio
  5. Intermezzo del 4° atto - Allegro vivace (re minore - re maggiore)
  6. Gottheit, Gottheit, über Alle mächtig! - coro - Adagio maestoso (re maggiore). Allegro vivace. Allegretto (la maggiore). Allegro vivace (re maggiore). Moderato
  7. Intermezzo del 5° atto - Allegro (re minore)
  8. Ihr Kinder des Staubes, erzittert - aria del gran sacerdote (basso) - Andante moderato (re minore)
  9. Wir Kinder des Staubes, erzittert - coro - Andante moderato (re maggiore). Allegro
Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: Salisburgo, 1779
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nell'estate del 1773 Mozart mise in musica due cori del dramma eroico Thamos Konig in Agypten di Tobias Gebler (1726 - 1786), consigliere austriaco alla corte boema e fra i principali fautori del rilancio del teatro viennese. All'epoca Mozart aveva appena sedici anni e si trovava a Vienna in compagnia del padre Leopold che, ansioso di far conoscere al mondo il prodigioso talento del figlio, vide in questa commissione una preziosa opportunità per la sua fortuna. Il dramma però non ebbe successo: esso fu rappresentato solo una volta a Pressburg nel 1773 e venne replicato a Vienna nel 1774 e a Salisburgo nel 1776, ma probabilmente senza le musiche mozartiane. Sei anni più tardi, consapevole dell'assoluto valore della sua musica, Wolfgang rimaneggiò i due cori già musicati, compose un terzo coro (quello conclusivo, su testi di Schachtner) e arricchì il dramma con cinque intermezzi sinfonici. Tuttavia anche questa seconda versione non ebbe sorte migliore della prima e fu ben presto dimenticata. Se ne duole lo stesso Mozart in una lettera del 15 febbraio 1783: "Mi dispiace molto di non poter utilizzare la musica del Thamos! Il dramma non è piaciuto e rimarrà uno dei tanti scartati, destinato a non essere più eseguito. Dovrebbero rappresentarlo, il Thamos, esclusivamente per la mia musica, ma sarà difficile che lo facciano. Peccato!".

L'atipicità del genere (musiche di scena con cori) rendono tutt'oggi questa partitura di difficile esecuzione, e così si conferma l'infausto destino del K 345, che raramente trova posto nei cartelloni delle sale da concerto. Ciò nonostante, il Thamos è considerato, per la suggestiva imponenza delle pagine corali e la "modernità del linguaggio sinfonico", come "il precedente di gran lunga più importante e decisivo dell'"Idomeneo" (Carli Ballola). Ma è l'intima corrispondenza con il Flauto magico ad aver destato l'attenzione degli studiosi mozartiani. Le analogie con l'ultimo capolavoro teatrale di Mozart sono da ricercarsi innanzitutto nella comune matrice massonica: il testo di Thamos è infatti opera di un massone, Gebler, ed è disseminato di simbologie e riferimenti alla massoneria. Inoltre entrambi i libretti sono derivati dal romanzo Sethos dell'Abate Jean Terasson.

La vicenda è tutta incentrata sulla bontà di Thamos, figlio dell'usurpatore Rameses. Morto il padre, Thamos è il legittimo erede al trono d'Egitto, egli non sa però che il vecchio re Menes, deposto con la forza da Rameses, è ancora vivo e si nasconde col nome di Sethos, sommo sacerdote del tempio del sole. Sotto mentite spoglie è pure la figlia di Menes, Sais, che è innamorata e corrisposta da Thamos. Intanto Pheron, confidente di Thamos, complotta con la sacerdotessa Mirza per detronizzare Thamos e sposare Sais. Tra intricate confessioni e colpi di scena si arriva finalmente all'agnizione finale: Sethos si rivela come Menes e, rifiutata la corona, unisce la coppia di innamorati affidando loro il trono, mentre si assiste alla fine dei due traditori (Mirza suicida e Pheron colpito da un fulmine per volere degli dei).

La musica composta da Mozart consta di tre cori e cinque brani strumentali. Il coro di apertura, con il suo carattere solenne, stabilisce immediatamente il tono del dramma e anticipa vistosamente il modo di parlare dei seguaci di Sarastro nel Flauto magico. La grandiosità caratterizza anche i successivi due cori, che alternano assolo e ritornelli corali. Gli intermezzi strumentali sono concepiti da Mozart come il riassunto musicale dell'atto precedente e sono preceduti, in partitura, da brevi annotazioni di pugno del compositore che descrive l'idea o il tema che egli aveva cercato di ritrarre con la musica. È così che il primo interludio esprime, secondo le parole di Mozart, "la decisione a cui Pheron e Mirza sono giunti di portare Pheron sul trono", questo spiega l'Allegro agitato che illustra l'azione a cui Pheron viene incitato. Il secondo intermezzo è teso a spiegare "il bel carattere di Thamos" cui segue "il carattere falso di Pheron". Il terzo intermezzo descrive "il colloquio traditore tra Mirza e Pheron". Infine l'ultimo intermezzo descrive la "generale confusione con cui termina il quarto atto".

Fiero delle musiche composte, Mozart cercò infine di recuperare almeno i cori, adattandovi testi tedeschi e latini di carattere sacro e trasformandoli quindi in "Inni spirituali".

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Con le musiche di scena per il "dramma eroico" Thamos, König in Agypten del barone Tobias Philipp von Gebler, Mozart si accosta per la prima e unica volta al genere della "musica di scena"; genere saturo di intellettualismo che aveva avuto il suo centro di irradiazione nella Francia del Settecento, e di qui era penetrato nei paesi di lingua tedesca attraverso le teorie di J. A. Scheibe, l'operato del direttore di scena Ernst Ackermann e le discussioni di Lessing nella Drammaturgia di Amburgo.

Il dramma di Gebler, stampato nel 1773 a Praga e a Dresda, lodato da Wieland e da altri letterati illustri, subito tradotto in francese e poi anche in italiano, interessa oggi soltanto come tappa di avvicinamento al Flauto magico, a cui si affianca per la comune dipendenza dal romanzo Séthos di Terrasson, apparso in Francia nel 1731, probabile fonte del Dschinnistan di Wieland dal quale deriva anche il capolavoro di Mozart e Schikaneder. Comune, oltre l'ambientazione egiziaca e il generale clima massonico, velato di oscurità e segretezze, è la costruzione della vicenda, per prove successive da superare prima di raggiungere il trionfo finale: re Thamos, figlio di un usurpatore, ama la figlia del detronizzato Menes che vive a corte sotto i panni e il nome del grande sacerdote Sethos; anche Tharsis, la figlia di Menes amata da Thamos, all'insaputa di tutti si nasconde sotto le vesti di sacerdotessa del Sole con il nome di Sais: la scoperta delle singole identità procede di pari passo con il trionfo di bontà, giustizia e costanza amorosa, superati gli ostacoli frapposti dal generale Pheron e da sua zia Mirza, fulminati infine dagli dei per la loro malvagità.

Gebler aveva incaricato un musicista, certo Johann Tobias Sattler, di scriverne le musiche; ma non essendone soddisfatto si rivolse al diciassettenne Mozart, allora reduce dall'ultimo viaggio in Italia, il quale nell'estate del 1773 scrisse i due cori "Schon weichet dir, Sonne" e "Gottheit, über alle mächtig", unendovi i brani musicali da eseguire come intermezzi fra gli atti: in questa forma il Thamos andò in scena a Vienna al Teatro di Porta Carinzia nell'aprile del 1774, senza tuttavia lasciare echi di sorta nell'ambiente musicale viennese. Alcune riprese registrate nel 1775 e '76 da fogli e avvisi teatrali in città tedesche non riportano il nome di Mozart; l'occasione per riprendere in mano il lavoro si presentò invece nella primavera del 1779 quando la troupe teatrale di Johann Böhm stazionò per vari mesi a Salisburgo allestendovi numerosi singspiel. Mozart era da poco rientrato dal viaggio a Mannheim e Parigi, e la rielaborazione è profonda; ai due cori scritti nel '73 si aggiunge il coro finale "Ihr Kinder des Staubes" con intervento di basso solo (su un testo assente in Gebler, forse di Johannes Andreas Schachtner) e probabilmente anche i cinque intermezzi vengono riassestati in una strumentazione più ricca; inoltre, nell'intermezzo terzo, è introdotta quella forma di Melodram, di parlato intercalato o sovrapposto sulla musica, che nel 1778 Mozart aveva conosciuto a Mannheim nella Medea di Benda e per la quale si era molto scaldato.

Anche di questa nuova fatica Mozart non raccolse frutti immediati; la musica di Thamos circolò adattata da Böhm per il dramma Lanassa di Plümicke (di ambiente indiano, derivato da una tragedia francese) e a Mozart capitò di sentirla ancora a Francoforte nel 1790, quando si trovava nella città per le feste dell'incoronazione di Leopoldo II a sacro romano Imperatore germanico; ma non ebbe mai la soddisfazione di vederla accoppiata al dramma per cui era nata, restandogliene un sincero rimpianto: in una lettera al padre del 1783 da Vienna si dispiace ancora che quel lavoro teatrale, degno di essere ripreso "a causa della sola musica", fosse ormai caduto nel dimenticatoio.

Malgrado l'episodicità dell'incontro con la "musica di scena" (il suo ibridismo non era fatto per trattenere a fondo un compositore per il quale la musica era un universo linguistico autonomo e concluso), quanto scritto per il Thamos merita un posto tra i più alti nell'opera di Mozart; esso segna il momento in cui una materia nuova, legata alla riscoperta della nobiltà classica e al mistero iniziatico degli ideali massonici, gli allarga il campo creativo e gli tende le linee oltre la sensibilità percepita sino allora: con il Thamos entra in scena l'anti-rococò, l'anti-Watteau, cioè la categoria del grandioso assorbita da Mozart con la sua leggendaria capacità di assumere qualunque contenuto non appena gliene fosse data l'occasione.

Lungi dall'essere una semplice tappa di avvicinamento al Flauto magico, le musiche del Thamos sostengono un arco che va dalla solennità programmatica delle Messe e dalla impetuosa severità della Sinfonia K. 183 alle scene corali dell'Idomeneo e della Clemenza di Tito. La grandiosità dei tre cori è generalmente riconosciuta, ma non si è posta sufficiente attenzione al carattere drammatico dell"Andante moderato" che apre il terzo coro ("Ihr Kinder des Staubes"), già imbevuto dell'affanno sovrannaturale caro a certi momenti del Don Giovanni; nel primo intermezzo, in do minore, nella prima parte del terzo, in sol minore, nel principio del quarto, in re minore, e nel quinto, sempre in re minore, tutte pagine legate al polo negativo incarnato da Pheron, si assiste alla nascita di un lessico "patetico" nel più puro significato schilleriano: la fierezza degli unisono, la contrapposizione immediata di "forte" e "piano", gli sforzato in sincope, l'arditezza delle modulazioni, i segmenti cromatici marchiati a fuoco, sono tutti elementi che proprio dalle gracili dimensioni imposte dalla trama scenica ricevono una emersione improvvisa. Analogo discorso meritano le pagine in tonalità maggiore, per lo più ispirate alla bontà di Thamos, alla calma che il suo apparire impone alla concitazione: con quel senso di modellazione scultorea, di classica medaglia che sarà una delle doti supreme del Tito. Insomma, il dramma massiccio e indolente di Gebler, quasi a sua insaputa, ha gettato una luce traversa in zone della coscienza dove il giovane Mozart non aveva ancora guardato in modo così fermo.

Giorgio Pestelli


(1) Testo tratto dal progrmma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 28 settembre 2005
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD Archiv 437556-2


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Ultimo aggiornamento 27 febbraio 2017