Popoli di Tessaglia... Io non chiedo, eterni Dei, K1 316 (K6 300b)

Recitativo ed aria in do maggiore per soprano ed orchestra

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
Testo: Ranieri de'Calzabighi
  1. Popoli di Tessaglia - recitativo - Andantino sostenuto e languido (do minore)
  2. Io non chiedo, eterni Dei - aria - Andantino sostenuto e cantabile (do maggiore). Allegro assai
Organico: soprano, oboe, fagotto, 2 corni, archi
Composizione: Parigi - Monaco, marzo - giugno 1778 e 8 gennaio 1779
Scritto per il soprano Aloysia Weber-Lange

Aria sostitutiva per l'opera Alceste di Christoph Willibald Gluck
Guida all'ascolto (nota 1)

Il catalogo di Mozart comprende un numero singolarmente alto di arie isolate: oltre cinquanta, in un arco temporale che abbraccia tutta la vita del compositore. Quasi tutte sono su testo italiano e rispondono fondamentalmente a due tipi: l'aria da concerto e l'aria sostitutiva. Non che questi due tipi di aria sortissero, nell'insieme, dei risultati radicalmente differenti sotto il profilo musicale; diversi erano però i contesti produttivi entro cui si sviluppavano le differenti tipologie.

L'aria da concerto veniva scritta in genere dietro commissione diretta di qualche cantante, per essere eseguita all'interno di una "accademia", nome che veniva dato ai lunghissimi concerti che, secondo l'uso dell'epoca, alternavano diversi esecutori e diversi generi compositivi. La presenza di qualche importante solista di canto vi era frequente, ed è ovvio che il virtuoso dovesse figurare al meglio delle sue possibilità, mettendo in mostra tutte le risorse della propria tecnica.

Più complessa la nascita delle arie sostitutive, di origine teatrale, legate a un sistema produttivo incentrato principalmente sulla figura del cantante. Il passaggio di un'opera da una piazza teatrale a un'altra comportava il suo adattamento alla situazione contingente, alle nuove esigenze di una differente compagnia di canto. Senza la piena affermazione dei cantanti disponibili nella compagnia il successo dell'opera non era assicurato, con disdoro degli artisti e dell'impresario che lautamente li remunerava.

Da qui nasceva la prassi - considerata all'epoca del tutto legittima, con buona pace dei sempre vigili cultori dell'unità dell'opera d'arte - di inserire all'interno di un'opera vecchia un'aria nuova, confezionata su misura per il virtuoso disponibile sulla piazza. Lo stesso Mozart si adeguò in più occasioni disciplinatamente a tale prassi, ad esempio per il Don Giovanni, opera che, nata a Praga nel 1787, venne arricchita l'anno seguente a Vienna di nuove pagine: l'aria «Dalla sua pace» e il duetto «Per quelle tue manine» che compensavano gli interpreti di Don Ottavio e Leporello della soppressione delle arie «Il mio tesoro» e «Ah pietà signori miei» (venne aggiunta inoltre l'aria «Mi tradì quell'alma ingrata» per Elvira).

In mancanza dell'autore della vecchia opera nella nuova città, a operare gli indispensabili aggiustamenti provvedeva qualche compositore locale; il quale era ovviamente tenuto in primo luogo a venire incontro a tutte le esigenze ed i capricci dei nuovi virtuosi. Mozart non disdegnò in più occasioni di fornire nuova musica per opere di compositori di moda, allora più rinomati di lui, come Cimarosa, Paisiello, Pasquale Anfossi, Vicente Martin y Soler. Difficile valutare se il compositore si sia sforzato in queste occasioni di rientrare appieno nel contesto drammatico dell'opera; certamente le pagine pensate come "sostitutive" non differiscono molto nell'impostazione dalle arie da concerto; in entrambi i casi l'obiettivo era quello di valorizzare al massimo i mezzi vocali, il gusto, le propensioni del cantante destinatario.

Delle tre arie in programma nel concerto odierno le prime due - «Popoli di Tessaglia», - «Io non chiedo eterni Dei» K. 316/300b; e «Mia speranza adorata», «Ah non sai qual pena» K. 416 - nacquero come arie da concerto, mentre la terza - «Vorrei spiegarvi, oh Dio» K. 418 - nacque invece come aria sostitutiva. Tutti e tre i brani furono pensati però "su misura" per i mezzi straordinari di una virtuosa che giocò un ruolo non episodico nella vita personale e professionale del compositore, Aloysia Weber, poi maritata Lange.

Mozart conobbe Aloysia sul finire del 1777 a Mannheim, prima importante tappa del lungo viaggio che avrebbe portato il compositore ventiduenne a Parigi. Figlia di un copista di musica, Aloysia aveva sedici anni ed era già una cantante perfettamente formata. Fra i due sbocciò una passione, sembra, ricambiata; Mozart decise di portare Aloysia in Italia per farla diventare una prima donna e scrisse questa sua intenzione al padre, rimasto a Salisburgo, causandone le ire. L'autorità paterna ebbe la meglio e il giovane parti per Parigi sotto il controllo della madre. Di ritorno dalla deludente - per i risultati professionali - e dolorosa - per la morte della madre - esperienza parigina, Mozart si fermò a Monaco nel dicembre 1778, per ritrovare Aloysia; ma la virtuosa aveva ormai altre ambizioni, e trattò con sostanziale freddezza quello spasimante che non era in grado di garantirle una adeguata carriera. Aloysia sposò nel 1780 un attore della corte viennese, Joseph Lange, e i divenne una autentica star della capitale dell'impero; Mozart sposò invece la sorella di Aloysia, Constanze; logico che i rapporti con quella che era nel frattempo divenuta sua cognata avessero frequenti risvolti professionali.

Tutte queste vicende sono, d'altronde, notissime; e non varrebbe la pena di ricordarle se non aiutassero a spiegare la nascita delle tre arie K. 316, 416 e 418.

L'aria «Popoli di Tessaglia», «Io non chiedo», scritta sul testo che Ranieri de' Calzabigi aveva steso per l'Alceste di Gluck (la situazione è quella dell'eroina che aggiorna il popolo sulle disperate condizioni dello sposo Admeto), fu scritta da Mozart a Parigi, nel periodo intercorso fra l'incontro con Aloysia e la disillusione; sebbene l'autografo rechi la data dell'8 gennaio 1779, è verosimile che l'aria fosse pressoché definita nelle sue linee generali quando Mozart giunse a Monaco, un paio di settimane prima. Si trattava infatti di un vero e proprio dono di fidanzamento ad Aloysia, preannunciato in una lettera del 30 luglio 1778 in cui il compositore si rivolge alla virtuosa in lingua italiana, la lingua che usava per le occasioni più elette e preziose: «[...] e con quella occasione avrà anche il Popolo di Tessaglia, ch'è già mezzo Terminato - se lei ne sarà si contenta - comme lo son io - potrò chiamarmi felice. - intanto, sinché avrò la soddisfazione di sapere di lei stessa l'incontro che avrà avuta questa scena appresso di lei s'intende, perché siccome l'ho fatta solamente per lei - così non desidero altra Lode che la sua; intanto dunque non posso dir altro, che, Tra le mie composizioni di questo genere - devo confessare che questa scena è la migliore ch'ho fatto in vita mia».

Giudizio impegnativo, questo, ma nell'insieme condivisibile anche tenendo presenti le successive arie da concerto del compositore. Già l'introduzione strumentale, un Andantino sostenuto e languido, crea una ambientazione concentrata e dolorosa con pochissimi dettagli; e tutto il recitativo procede attraverso sofferte trascolorazioni. Segue un Andantino sostenuto e cantabile impreziosito dal rilievo di oboe e fagotto, che presto intrecciano le loro linee con i teneri gorgheggi del soprano, in uno scambio continuo di ruoli. Si arriva così all'Allegro assai, dove il virtuosismo diventa espressione della disperazione dell'eroina; la voce del soprano viene impegnata in lunghe tenute di fiato e rapidissime terzine, e viene spinta fino all'altezza del sol sovracuto. Ciò che rende davvero magistrale questa scena e aria nel suo insieme è la perfetta valorizzazione di tutti i diversi aspetti dell'arte della cantante, da quello elegiaco a quello virtuosistico, ma in assoluta coincidenza con le diverse situazioni drammatiche proposte dal testo poetico, in modo che l'intera scena si sviluppi attraverso una lievitazione espressiva.

Testo

ALCESTE

Popoli di Tessaglia! Ah, mai più giusto
fu il vostro pianto, a voi non men che a questi
innocenti fanciulli
Admeto è padre. Io perdo
l'amato sposo, e voi l'amato re; la nostra
sola speranza il nostro amor c'invola
questo fato crudel.

Né so chi prima in sì grave sciagura
a compianger m'appigli
del regno, di me stessa, o de' miei figli.
La pietà degli Dei sola ci resta
a implorare, a ottener.
Verrò compagna alle vostre preghiere,
ai vostri sacrifizi; avanti all'ara
una misera madre,
due bambini infelici,
tutto un popolo in pianto
presenterò così. Forse con questo
spettacolo funesto, in cui dolente
gli affetti, i voti suoi dichiara un regno,
placato alfin sarà del ciel lo sdegno.

Io non chiedo, eterni Dei,
tutto il ciel per me sereno,
ma il mio duol consoli almeno
qualche raggio di pietà.

Non comprende i mali miei,
né il terror che m'empie il petto,
chi di moglie il vivo affetto,
chi di madre il cor non ha.

(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 23 febbraio 1997


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Ultimo aggiornamento 16 gennaio 2015