Sonata n. 40 in si bemolle maggiore per violino e pianoforte, K 454


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Largo (si bemolle maggiore)
  2. Andante (mi bemolle maggiore)
  3. Rondò. Allegretto (si bemolle maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Vienna, 21 Aprile 1784
Prima esecuzione: Vienna, Kärntnertor Theater, 29 Aprile 1784
Edizione: Torricella, Vienna 1784
Dedica: contessa Kobenzl, ma scritta per la violinista Regina Strinasacchi
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Tra le non molte Sonate per violino e pianoforte composte da Mozart nel decennio viennese (1781-1791) se ne distinguono tre che vanno senz'altro annoverate fra i suoi massimi capolavori: questa in si bemolle K. 454, composta per la violinista italiana Regina Strinasacchi e datata 21 aprile 1784, la Sonata in mi bemolle maggiore K. 481 del 1785 e, infine, la Sonata in la maggiore K. 526 risalente all'estate 1787.

Senza voler seguire l'indicazione dell'edizione Peters che le classifica senza indugio come Romantische Violin-Sonaten, è pur vero che con questi lavori Mozart apre la strada a quegli ampliamenti formali che più tardi Beethoven e Schubert praticheranno su vasta scala. Il fatto poi che la Sonata in si bemolle sia stata scritta per una celebre virtuosa che si presentava per la prima volta al pubblico viennese con una "accademia" - ovvero un concerto pubblico per sottoscrizione - imponeva a Mozart una linea progettuale più "grande" rispetto a lavori precedenti scritti per il pubblico degli amatori. A ciò è da attribuire, per fare un esempio, il maestoso Largo introduttivo del primo movimento, concepito nello spirito delle ultime Sinfonie di Haydn.

Regina Strinasacchi, nata a Ostiglia presso Mantova nel 1761, era stata allieva del Conservatorio della Pietà a Venezia e aveva intrapreso ancor giovane una brillante carriera concertistica. Mozart la conobbe a Vienna nel 1784 e così ne riferisce in una lettera al padre: «Abbiamo qui la celebre violinista mantovana Strinasacchi; suona con molta sensibilità e molto gusto. Sto per l'appunto lavorando a una Sonata che eseguiremo insieme giovedì in teatro durante la sua accademia».

Le qualità della Strinasacchi dovevano essere veramente notevoli se anche Leopold Mozart, che di violino se ne intendeva avendo scritto il fondamentale Versuch einer gründlichen Violinschule (Saggio di una scuola di violino di base, 1756), ne tesseva le lodi alla figlia: «Non suona una sola nota senza espressione... E anche il suono è bello, e la forza del suono».

Per la serata viennese che, alla presenza dell'imperatore Giuseppe II, vide la prima esecuzione della Sonata in si bemolle pare che Mozart si sedesse al pianoforte con un manoscritto non ancora completo e che la parte della Strinasacchi fosse pronta solo poche ore prima del concerto; l'autografo conservato a Stoccolma conferma la curiosa circostanza.

L'introduzione lenta, abbastanza rara nelle Sonate mozartiane, è una sorta di maestosa preparazione allo scatto ritmico dell'Allegro col suo tema di note staccate all'unisono fra i due strumenti e il brillantissimo rincorrersi delle frasi sincopate. Il tono festoso non si dissolve nemmeno nel breve sviluppo, che pure comporta l'attraversamento di tonalità minori.

Nell'Andante invece Mozart scava in profondità e, come in tanti altri capolavori del periodo maturo, crea un sublime "angolo di meditazione", dove le inflessioni raffinatissime di melodia e armonia sono profuse senza risparmio. Si ascolti, ad esempio, il senso di smarrimento del percorso armonico nella parte centrale, non lontano da quello eccelso della vicina Fantasia in do minore K. 475.

L'Allegretto finale, nella consueta forma del Rondò, proietta di nuovo all'esterno l'anima mozartiana non tralasciando di concederci ancora un tema principale particolarmente affascinante ed altri secondari scherzosi e da opera buffa; un gentile omaggio al'virtuosismo della Strinasacchi e, perché no, al suo personale di pianista.

Giulio D'Amore

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il 24 aprile 1784 Mozart scriveva al padre: «Abbiamo qui la celebre mantovana Strinasacchi, una eccellente violinista. Le sue esecuzioni eccellono tanto per buon gusto che per sentimento. Al momento sto proprio scrivendo una Sonata che suoneremo in teatro giovedì prossimo in occasione della sua accademia». Il concerto ebbe luogo il 29 aprile al teatro di Porta Carinzia, presente l'imperatore Giuseppe II. E von Nissen ci informa, stando alla testimonianza di Costanza Mozart, diventata successivamente sua moglie, che il musicista aveva avuto appena il tempo di fornire la sera avanti la parte di violino alla Strinasacchi, e che improvvisò quella pianistica sulla base di pochi appunti.

Fra le sonate per violino e pianoforte della maturità, quella in si bemolle si distingue per una certa vernice virtuosistica. Il taglio ricorda piuttosto i concerti che le sonate coeve, a tratti profetiche, con le loro anticipazioni del soggettivismo romantico. L'equilibrio del duo strumentale è mirabile fin dal Largo introduttivo: se ogni frase esposta da uno strumento è ripresa dall'altro, Mozart evita la replica pura e semplice, fiorettando gli interventi del pianoforte, ed essi assumono così una diversa tinta rispetto al cantabile lineare del violino. Nell'Allegro successivo, la caratterizzazione timbrica è ancora avvivata da passi all'unisono, quasi momenti di ripieno orchestrale fra le alternanze concertanti dei solisti. L'Andante, con i suoi nascosti accenni polifonici (controcanti intravisti in una voce di accompagnamento, accenni di procedimenti imitativi), con l'ampiezza e la violenza emotiva dei passi modulanti, rivela i tratti salienti della maturità mozartiana. La scienza della composizione è qui tanto maggiore in quanto non ostentata; e la polifonia ha il compito di illustrare l'instabilità e l'irrazionalità delle passioni: l'uomo quale è nella sua debolezza esistenziale. L'Allegretto, in forma di Rondò, riporta alla sala da concerto per cui la Sonata vide la luce. Ma tocchi squisiti caratterizzano alcuni fra i couplets: sortite tematiche da serenata, folgorazioni dove le pene quotidiane sono sospese nel canto.

Gioacchino Lanza Tomasi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nell'aprile del 1784, Mozart scrisse al padre: «Abbiamo qui a Vienna la celebre mantovana Strinasacchi, una buonissima violinista; ha molto gusto e sentimento nelle sue interpretazioni. Sto scrivendo ora una Sonata che eseguiremo insieme». Senza neppure aver avuto il tempo di scriverla, Mozart eseguì però a memoria la parte pianistica alla presenza dell'Imperatore Giuseppe II. Qui la parte violinistica è ancor più emancipata dal pianoforte che nella Sonata K. 376. Nel Largo introduttivo, di carattere molto solenne, potenti accordi oppongono l'uno all'altro i due strumenti. Sorprendente anche la sicurezza con la quale Mozart pare precorrere il dualismo beethoveniano fra l'elemento «maschile» e quello «femminile», dolce e tenero. Il canto spetta ormai al violino e il pianoforte si limita a inquadrarlo armonicamente. L'Allegro esordisce in piano e all'unisono: la fisionomia del primo tema è slanciata e robusta; un breve passaggio permette a Mozart di riprendere integralmente il tema, ma egli lo affida ora soltanto al violino, al quale è concesso di brillare forse più che in qualsiasi altra Sonata mozartiana (non per nulla questa composizione gode di particolare favore da parte dei violinisti). Il secondo tema, in fa maggiore, è affidato nella prima metà al pianoforte e nella seconda al violino. Come nella Sonata K. 376, ma in modo ancora più netto, Mozart introduce prima della fine dell'esposizione un terzo soggetto, affidato al violino, dagli accenti marziali. Dagli accordi conclusivi intervallati da pause Mozart trae il primo elemento dello sviluppo, grazie a una inattesa modulazione a do minore; e proprio la modulazione garantisce l'interesse musicale di questa sezione, del resto molto breve. La ripresa non è ora in tutto simile all'esposizione, perché nella seconda parte Mozart lo arricchisce con procedimenti contrappuntistici: ci accorgiamo allora che solo un passo separa il tema principale, apparentemente così leggero e brillante, da un soggetto di fuga. Dopo il terzo motivo, il movimento si conclude con una coda in cui i due strumenti dialogano con la massima libertà e nello stesso tempo con assoluto rispetto dello stile cameristico.

L'Andante è una splendida meditazione, che costituisce veramente la vetta poetica della Sonata. Al primo tema, in mi bemolle maggiore, ampio e sereno, condotto dai due strumenti a parità di diritti, spetta al violino contrapporre il secondo, di intenso lirismo. A questo punto il materiale tematico è ulteriormente arricchito da un importante motivo ad arpeggi, reso più interessante dagli abbellimenti. Dopo un silenzio espressivo, il primo tema è esposto in si bemolle minore, e di qui in poi il dialogo fra pianoforte e violino procede con effetti di eco.

Ma il maggiore interesse riposa nelle straordinarie modulazioni attraverso le quali viene elaborato il tema, grazie a trapassi enarmonici assolutamente inediti per l'epoca in cui la Sonata è stata scritta. Certo, dopo Beethoven e i romantici, tutto ciò ha perso per noi la sua carica di novità, ma nessuno ha mai eguagliato la naturalezza di Mozart, che anche nei momenti compositivamente più raffinati e ardui privilegia la fluidità espressiva. Nella ripresa in mi bemolle, lo scambio strumentale si intensifica nello spazio di poche battute. Mirabile anche la coda, ampliata da un ultimo disegno nuovo.

L'Allegretto è in forma di rondò, benché Mozart non l'abbia esplicitamente indicato come tale. Il tema è al violino, subito contrappuntato per moto contrario dal pianoforte, che lo riprende poi integralmente: un tema che richiama innegabilmente quello del finale del Quintetto K. 452 per pianoforte e fiati, scritto poco prima della Sonata. Mirabile anche qui l'arte con la quale Mozart fa giocare i due strumenti e alterna gli intermezzi nelle tonalità relative con il tema principale. Contrariamente al tempo centrale, qui non ci sono ombre, a parte l'apparizione fugace di un motivo in sol minore, tonalità sempre gravida di minaccia nel linguaggio mozartiano. Verso la conclusione, si annuncia una quarta esposizione del tema, che però ben presto si disgrega risolvendosi in una coda brillante, degna conclusione della splendida Sonata.

Giuseppe Lozza


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 8 maggio 1996
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 16 maggio 1973
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 24 maggio 1982


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Ultimo aggiornamento 5 aprile 2017