Sinfonia n. 39 in mi bemolle maggiore, K 543


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Adagio, Allegro (mi bemolle maggiore)
  2. Andante con moto (la bemolle maggiore)
  3. Minuetto e trio. Allegretto (mi bemolle maggiore)
  4. Finale: Allegro (mi bemolle maggiore)
Organico: flauto, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Vienna, 26 giugno 1788
Edizione: Cianchettini & Sperati, Londra 1800 ca.
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Sinfonia in mi bemolle maggiore è la prima delle tre grandi sinfonie scritte da Mozart nell'estate del 1788, concepite in origine per essere inserite nel programma di una serie di concerti per sottoscrizione - allora chiamati «accademie» - concerti che però, a quanto si sa, non ebbero mai luogo. Era questo l'ennesimo tentativo di Mozart di risollevarsi da una situazione economica disastrosa, determinata principalmente dalla scarsa comprensione di cui godevano a Vienna i suoi ultimi capolavori teatrali.

Il Don Giovanni, ad esempio, che aveva avuto la sua prima, trionfale rappresentazione il 29 ottobre del 1787 a Praga, andò in scena al Burghtheater di Vienna soltanto il 7 maggio del 1788, segnando un clamoroso insuccesso; le modifiche operate successivamente da Mozart e Da Ponte non servirono a modificare in misura sostanziale la situazione, favorendo al massimo ciò che oggi definiremmo un successo di stima. Da Ponte stesso, nelle sue memorie, riportò l'opinione dell'imperatore Giuseppe II su quest'opera: «L'opera è divina, forse ancora più bella del Figaro, ma non è pane per i denti dei miei viennesi».

Nulla si sa, ovviamente, sulla veridicità di quanto affermato dal geniale librettista italiano; ma se anche non fosse vera, la frase sarebbe comunque indicativa dell'atteggiamento dei viennesi verso il teatro musicale di Mozart.

Della situazione di Mozart verso la metà del 1788 sono eloquente e tragica testimonianza alcune lettere scritte dal compositore all'amico Puchberg, un ricco mercante, per chiedergli aiuti finanziari; eccone alcuni passi: «A forza di stenti e di preoccupazioni le cose si sono messe così male da ridurmi a dover elemosinare un pò ' di denaro con queste due bollette del monte dei pegni»; «La mia situazione è tale da costringermi a chiedere denaro in prestito. Ma, Dio, a chi potrei rivolgermi? [...] Se non mi aiuterete in questa situazione perderò l'onore e il credito, le uniche cose che speravo di salvare».

L'ultimo stralcio è preso da una lettera datata 7 giugno 1788; pochi giorni dopo, il 26 giugno, Mozart completava la partitura della Sinfonia in mi bemolle. È certo sorprendente, per chi è solito cercare legami diretti tra la vita e l'opera di un artista, il fatto che questa composizione non rispecchi nulla delle circostanze in cui vide la luce: la sua energia vitale, la sua solarità sono invece testimonianza, per citare ancora una volta Hermann Abert, di «quanto poco il mondo fantastico di Mozart, il suo vero mondo, avesse a che fare con le miserie quotidiane».

La Sinfonia in mi bemolle maggiore, spesso definita «l'Eroica di Mozart» - su questa definizione influiscono ovviamente alcuni rapporti con l'Eroica di Beethoven: la comune tonalità di mi bemolle maggiore, il metro ternario del movimento di apertura, il vigore complessivo della partitura - è l'ultima del catalogo mozartiano a essere aperta (Adagio) da un'introduzione lenta, introduzione che con i suoi vigorosi ritmi puntati e le rapide figurazioni scalari discendenti si rifà al modello storico dell'ouverture alla francese.

Il primo tema dell'esposizione (Allegro), la cui cantabilità di stampo vocale è affidata agli archi, con morbidi echi nei fiati, è fondamentalmente basato sul!'arpeggio; e su figurazioni arpeggiate è costruito anche l'episodio successivo, pur fortemente differenziato per la dinamica (forte) e per gli energici ribattuti dei fiati degli archi gravi. La transizione è dominata dalle scale discendenti dei violini - evidente il richiamo all'introduzione, il che rafforza la coesione strutturale tra le due parti del brano - cui si alternano massicci accordi dei fiati, sottolineati dai timpani; poco prima del secondo tema, le scale lasciano il posto a una nuova cellula motivica, basata su note di volta e sul ritmo croma-due semicrome, più volte reiterata ad altezza decrescente con una progressione di sapore tardo-barocco. Il secondo tema sembra ricondurre, con i suoi colori soffusi e con il dialogo archi-fiati, all'atmosfera espressiva dell'inizio dell'esposizione, così come l'episodio che conclude la parte espositiva si ricollega alla transizione: si noti che la chiusa è affidata alla stessa cellula che aveva annunziato il secondo tema, cellula cui è affidato anche il compito di aprire lo sviluppo e che riappare dopo una breve elaborazione di elementi del secondo tema. Compare quindi il materiale dell'ultimo episodio dell'esposizione, che porta anche lo sviluppo verso la conclusione; la definitiva riconduzione, dopo una pausa generale che interrompe bruscamente il discorso, è affidata a un motivo morbidamente cromatico dei legni. La ripresa è simmetrica all'esposizione, con l'unica variante di un prolungamento cadenzale nel quale trombe e corni declamano un ritmo puntato che richiama, una volta di più, l'introduzione.

I ritmi puntati dominano anche il tema principale del secondo movimento (Andante), la cui struttura richiama quella di un minuetto (A-A'-A). Un brevissimo collegamento di legni e corni conduce alla zona modulante che segna un'improvvisa e drammatica virata verso il modo minore, con ampi gesti melodici dei violini verso la zona acuta; l'energico tematismo di questa sezione ne fa un vero e proprio secondo gruppo tematico (come vedremo, con elementi del primo) e non una semplice transizione. Si tratta fra l'altro di uno dei pochissimi punti nei quali la serenità di questa sinfonia viene sia pure momentaneamente turbata. E la riproduzione della sezione A' del tema principale, in dialogo tra legni e archi gravi, a cercare di riportare al clima dell'inizio; ma prima che quest'ultimo venga definitivamente ristabilito, c'è ancora spazio per un momento di tensione, segnato dal forte dell'intera orchestra, escluse trombe e timpani, non utilizzati in questo movimento. Quando finalmente appare il tema che conclude l'esposizione, dialogato tra clarinetti e fagotti, ci sentiamo trasportati in un clima fiabesco, che ricorda quello dell'aria di Susanna nell'ultimo atto delle Nozze di Figaro. La reiterazione dell'elemento motivico più importante di questo tema conduce direttamente alla ripresa: l'assenza di una sezione di sviluppo, peraltro abbastanza normale nei movimenti lenti, può essere vista in questo caso come conseguenza dell'elaborazione già contenuta nella sezione intermedia dell'esposizione. La coda vede ancora assoluto protagonista il tema principale.

Il Menuetto (Allegretto) ha la semplicità e la rustica vigoria del Ländler, una danza popolare austriaca molto in voga ai tempi di Mozart; al motivo principale dei violini, sostenuto dell'energico ribattuto dei fiati, risponde una frase più cantabile degli archi soli; la frase contrastante rielabora elementi del motivo principale e ne prepara il ritorno.

Tutt'altro carattere per il Trio, nel quale Mozart fa a meno degli ottoni e dei timpani per ottenere una sonorità più soffusa. Sono i clarinetti gli assoluti protagonisti: al primo è affidata la popolareggiante melodia principale, con un'eco nel flauto, mentre il secondo lo sostiene con un morbido andamento arpeggiato; ridotto al minimo l'accompagnamento degli archi. L'insieme sembra anticipare alcune caratteristiche di una danza destinata a grandi fortune nell'Ottocento: il valzer. Anche in questo caso, come già nella Haffner, il grande contrasto espressivo tra minuetto e trio fa sì che quando il minuetto viene ripreso determini quasi un effetto di maggiore energia rispetto alla sua prima apparizione.

Con il Finale (Allegro) torniamo, in un certo senso, al punto da cui eravamo partiti con il movimento di apertura della Haffner: siamo infatti di nuovo in presenza di una forma sonata monotematica. Il tema principale percorre il brano da cima a fondo, improntando della sua scanzonata vitalità ritmica tutta la struttura formale. Solo la transizione verso la dominante sembra fare a meno della sua personalità tematica, ma ne richiama il carattere con il continuum ritmico di semicrome dei violini, sostenuto dal ribattuto acefalo dei fiati e dal ritmo anapestico di viole, celli e bassi. Una volta raggiunta la dominante, ecco rispuntare il tema principale, questa volta diviso tra violini e legni e poi subito sottoposto a una prima elaborazione in uno scherzoso dialogo tra fagotto e flauto. Il forte dell'intera orchestra porta all'unico vero motivo contrastante, una figurazione sincopata di legni e archi, che conduce verso l'episodio conclusivo dell'esposizione, una volta di più dominato dal tema principale, prima rimbalzante fra i legni e poi esposto all'unisono, ironicamente, da violini e viole.

Anche lo sviluppo è interamente costruito su ricche e complesse elaborazioni del tema iniziale, con frequenti incursioni nel modo minore.

La ripresa non porta sostanziali novità rispetto all'esposizione, se non per il fatto che la conclusione è affidata a un'ultima, divertita e quasi sbeffeggiante doppia apparizione del tema principale.

Paolo Rossini

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il pianista Edwin Fischer, che fu un fervente mozartiano anche come interprete, fece una osservazione molto giusta quando disse che alla comprensione dell'arte di Mozart ci si arriva con la maturità e dopo aver amato musicisti dallo stile più corposo e drammatico. «Il naturale sviluppo musicale - ha scritto Fischer - ci porta da principio molto vicini a Mozart a causa del carattere popolare delle sue melodie, della facile intelligibilità della sua struttura armonica e agogica. Poi segue quasi sempre un periodo d'inclinazione verso un grande apparato di forza, l'amore del pathos; non esiste nessuna espressione esteriormente troppo forte, niente di abbastanza grandioso, virtuoso, travolgente. Siamo così lontani dall'insegnamento di Mozart, in quel momento, come lo siamo nel periodo che segue, dominato dalla ricerca di tutto quello che è assolutamente nuovo raffinato, surriscaldato, rivoluzionario o formalmente problematico. Fino a che un giorno si fa per noi la luce. Qui c'è tutto: contenuto, forma, espressione, fantasia, effetto strumentale, e tutto ciò è ottenuto con mezzi più semplici».

È evidente che la "luce mozartiana" non è fatta soltanto di quantità di opere scritte in un arco di vita di appena 34 anni (lo studioso Ludwig von Koechel ne ha annoverate nel suo catalogo ben seicentoventisei, cui vanno aggiunte altre cento, incompiute o di incerta attribuzione), ma piuttosto va considerata per la varietà dei generi musicali praticati e la perfetta riuscita di ognuno di essi. Nella musica profana e sacra, strumentale e vocale, teatrale e da concerto, sinfonica e da camera, seria o buffa egli è riuscito a lasciare il segno della sua genialità. Non a caso Massimo Mila ritiene che l'arte di Mozart è «un mare dove confluiscono e convivono pacificamente le più disparate tendenze del suo secolo. Anche in questo egli rassomiglia a Raffaello, cui viene sempre paragonato per la levigata perfezione esteriore e per l'assoluta finitezza formale. Artisti compendiatori e coronatori di un'epoca, artisti la cui forza è forza di civiltà, non primitiva barbarie: e civiltà è prima di tutto conservazione, religiosa pietà di ciò che è stato prima di noi e che ha contribuito a crescerci quali siamo. Vi sono artisti ribelli ed essenzialmente rivoluzionari che nelle epoche di lotta e di trasformazione svolgono un lavoro prezioso di demolizione delle vecchie sovrastrutture, dei pregiudizi ritardatori, e sbarazzano il terreno per la manifestazione di un ordine nuovo. E vi sono artisti, invece, i quali edificano la casa dell'uomo, cioè la civiltà, sopra quanto rimane dei vecchi edifici, utilizzando tutti i mattoni salvabili dalle rovine, trovando con naturale spontaneità la conciliazione e la continuità fra le testimonianze del passato e le esigenze del presente».

Mozart appartiene certamente a questa seconda categoria di compositori e la sua immensa produzione si distende idealmente fra i due estremi della facilità galante e dello stile severo dettato dalla polifonia strumentale, inglobando le posizioni intermedie comprese tra il linguaggio brillante ed eclettico delle opere teatrali e delle composizioni vocali e l'impegno rigoroso della scrittura quartettistica. Ma, al di là di queste classificazioni tecniche, ciò che conta è la sigla espressiva della musica di Mozart, dove l'allegrezza si sposa alla malinconia, il sorriso spunta tra le lacrime e il senso di ilarità e di umorismo fa capolino tra le pieghe della tristezza. Un'arte semplice e lineare in apparenza, ma dai risvolti complessi e profondi, dove l'animo umano si specchia e si osserva alla ricerca della propria misteriosa identità.

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La Sinfonia in mi bemolle maggiore K. 543 appartiene all'ultima stagione creativa di Mozart. Infatti fu composta nell'estate del 1788, ed è la prima di una ideale trilogia composta dalle ultime tre sinfonie mozartiane: nell'ordine questa K. 543 - datata per l'esattezza 26 giugno - quella in sol minore K. 550 terminata il 25 luglio e quella in do maggiore K. 551 del 10 agosto, conosciuta come la "Jupiter".

Non erano anni facili quelli per Mozart che, perduta ormai la popolarità che aveva reso sereni i primi anni del suo soggiorno viennese dopo la clamorosa rottura con l'Arcivescovo di Salisburgo, non era riuscito a risalire la china della fortuna neppure dopo il successo che aveva salutato la rappresentazione delle Nozze di Figaro, e il trionfo con il quale lo aveva accolto la città di Praga in occasione della rappresentazione del Don Giovanni: che anzi la ripresa viennese di quest'ultima opera si era risolta in un mezzo insuccesso.

Una situazione penosa dunque e tanto economicamente difficile da costringere il Maestro ad abbandonare la sua casa in città trasferendosi - era il 17 giugno 1788 - in una casa rustica nei sobborghi di Vienna. È in questa nuova casa che egli trasse dalla serenità campestre dei luoghi nuove energie e che, pur tra le penose difficoltà finanziarie e le reiterate ed angosciose richieste di aiuto all'amico Puchberg, egli si accinse alla composizione di questo gruppo di tre sinfonie quasi in un unico poderoso respiro. Di esse il Paumgartner nota come «riproducano perfettamente la successione degli stati d'animo delle ultime Sonate per pianoforte: vigorosa energia nel primo tempo, massima intensità emotiva nel secondo, vittoriosa affermazione di vita nel finale» sia pure - aggiunge lo stesso Paumgartner -nell'ambito di caratteristiche espressive diverse; che sarebbe «viennese e romantica» la K. 543, «appassionata e cupa» la K. 550 e «volo di suprema liberazione» la "Jupiter".

Queste sinfonie di cui non ci è nota l'occasione compositiva, rimasero però nel cassetto e Mozart non avrebbe mai conosciuto la gioia di dirigerle, o almeno di ascoltarle. Forse le scrisse per sfuggire alla solitudine e alla miseria anche se probabilmente egli sognava di poter con esse riconquistare un pubblico ed un posto di rilievo nella società viennese, un posto che gli fu peraltro negato. Sicché - come scrive Massimo Mila - esse ci restano soprattutto come testimonianza genuina del «mondo interiore di Mozart che qui ci appare svelato per intero».

Nella Sinfonia in mi bemolle K. 543 che si esegue stasera c'è da osservare innanzitutto come lo strumentale preveda per la prima volta in una sinfonia mozartiana - i soli precedenti nella produzione del Maestro si riferiscono ai Concerti per pianoforte e orchestra K. 482 e 488 - l'uso dei clarinetti al posto degli oboi. E c'è ancora da aggiungere che il linguaggio del musicista si è in questa occasione arricchito di nuovi colori nei quali non è difficile scorgere l'influenza di Joseph Haydn.

L'Adagio iniziale di cui l'Albert nota il «profondo pessimismo» con il suo ritmo persistente segnato dalle scale ascendenti e discendenti dei violini e dei bassi sembra voler introdurre l'ascoltatore in un mondo assolutamente romantico. E sono queste scale degli archi a preparare l'idea principale del successivo Allegro che si distende in una melodia tranquilla e contenuta che passa dagli archi ai fiati finché nella seconda parte dell'esposizione i passaggi degli archi pieni, vigorosi e scanditi ci riportano per un istante all'atmosfera gaia del sinfonismo viennese. Presto però quest'atmosfera viene cancellata dal secondo tema pensoso e raccolto che dà l'avvio ad uno sviluppo breve e serrato carico di contrasti drammatici e troncato netto al punto culminante da una pausa generale dopo di che la breve "ripresa" si conclude con una luminosa fanfara degli ottoni.

L'Andante, anch'esso come l'Allegro costruito secondo lo schema della forma-sonata, è quasi un movimento di marcia idealizzata, che apparenterebbe questo movimento ai Divertimenti mozartiani se l'appassionato fervore della parte centrale non lo riconducesse subito alla sfera espressiva del resto della Sinfonia. «C'è in questo Andante -scrive il De Saint-Foix - una atmosfera di rimpianto infinitamente poetica dove si incontrano le modulazioni più rischiose e sapienti con dei bruschi risvegli».

Il Minuetto è uno dei più celebri di Mozart; in esso si ritrovano i ritmi che figurano nel primo Allegro. Ritmi energici che si mantengono sino alla fine e creano un evidente contrasto con il "Trio" caratterizzato dalla tenera dolcezza del canto del clarinetto che dialoga con il flauto in un gioco di commovente semplicità ed eleganza evocante - come nota ancora De Saint-Foix - la candida semplicità schubertiana dei valzer e dei Laendler. Il Finale, sviluppato secondo lo schema della forma-sonata, è caratterizzato dalle contrapposizioni dei due temi principali che si assomigliano fino a confondersi in un impetuoso sviluppo. E con esso si chiude l'opera definita dal Moser «la dolce sorella del Don Giovanni».

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Le ultime tre sinfonie di Mozart recano le date rispettivamente del 26 giugno, del 25 luglio e del 10 agosto 1788: dunque questi tre capisaldi della storia della sinfonia furono composti con una rapidità e una facilità stupefacenti, perfino inquietanti! Ma questa era la prassi, prima dei tormenti creativi del romanticismo. Piuttosto - poiché queste sinfonie non furono mai eseguite durante i tre anni di vita che restavano a Mozart - dovrebbe stupire che il compositore abbia dedicato tanto (!) tempo a lavori che non avevano una precisa destinazione, contravvenendo alla regola universale di lavorare solo su commissione o comunque in vista d'una esecuzione garantita e immediata. Si può avanzare l'ipotesi che Mozart le abbia scritte con la speranza d'inserirle nei concerti a sottoscrizione da lui organizzati periodicamente a Vienna e che poi il progetto non sia andato in porto, a causa della sua declinante fortuna presso il pubblico e del conseguente diradamento delle sue esibizioni. In tal caso sarebbe stata soltanto una previsione sbagliata ad assicurare alla posterità questo splendido dono!

Se non si conosce con certezza l'occasione esteriore della nascita di queste sinfonie, si può almeno cercare di capire quali furono le ragioni profonde che indussero Mozart a comporle. Dobbiamo risalire indietro di qualche anno. Nel 1782 Haydn aveva pubblicato i Quartetti op. 33, "scritti in una maniera nuova e particolare", che reinventavano radicalmente il genere del quartetto: l'attento studio di quei sei straordinari capolavori e il desiderio di inoltrarsi lungo la strada da essi indicata sono evidenti nei sei quartetti che Mozart iniziò a comporre subito dopo e che dedicò a Haydn. Nel 1787 questi pubblicò le sei Sinfonie n. 82-87 note come "Parigine", che impressero nuovi grandi sviluppi al genere sinfonico: pochi mesi dopo Mozart scrisse le tre sinfonie, ancora una volta seguendo l'esempio del più anziano amico e maestro, e forse anche superandolo. Sarebbe stato questo il suo testamento nel campo della sinfonia, ma lui, a soli trentadue anni, non poteva saperlo.

Fino ad allora la sinfonia non aveva avuto un ruolo di particolare spicco nel catalogo di Mozart. Eppure quarantuno sinfonie non sono poche per un compositore vissuto appena trentacinque anni. Ma la maggior parte di esse risalgono al periodo dell'infanzia e dell'adolescenza, tra i nove e i diciotto anni d'età, e sono quindi una delle tante stupefacenti dimostrazioni della sua precocità, senza però apportare nulla di determinante alla storia di questo genere musicale. Invece dai ventanni in poi Mozart compose solo nove sinfonie, che sotto l'aspetto puramente quantitativo sono quasi trascurabili in mezzo ai circa trecentocinquanta numeri del suo catalogo risalenti a quegli stessi anni. Anche la trasformazione di serenate in sinfonie mediante la semplice soppressione di qualche movimento, come nel caso della Sinfonia n. 35 "Haffner", è indicativa della scarsa attenzione del giovane Mozart al carattere specifico della sinfonia. Ma le nuove sinfonie di Haydn vennero a risvegliare il suo moderato interesse per questo genere musicale.

La sinfonia, che fino a pochi anni prima era ancora gracile e incerta, era infatti diventata grazie a Haydn la massima espressione della musica strumentale, un organismo possente dalla strattura perfettamente definita ma anche duttile, che si articolava con razionale chiarezza attraverso sviluppi rigorosi ma allo stesso tempo accoglieva un'inesauribile varietà d'idee, spesso sorprendenti e giocose, presentando tutto con la massima ricchezza di colori e sfumature orchestrali. Mozart afferrò pienamente queste nuove possibilità e, come se avesse voluto riguadagnare il tempo perduto e dimostrare che aveva da dire una sua parola di fondamentale importanza anche in questo campo, compose rapidamente le tre grandi sinfonie del 1788, facendo tesoro delle prospettive aperte dalle recenti sinfonie di Haydn, ma andando anche oltre, tanto che Haydn avrebbe a sua volta tenuto presente l'esempio di Mozart nelle sue ultime sinfonie, le dodici "londinesi" del 1791-1795.

L'aspetto più nuovo di queste tre sinfonie mozartiane sta non tanto nelle splendide soluzioni puramente musicali ma soprattutto nel fatto che ogni sinfonia esibisce un proprio carattere, difficilmente definibile ma inconfondibile: sotto questo riguardo Mozart anticipa la concezione beethoveniana della sinfonia come possente creatura musicale, dotata di una sua personalità unica e inconfondibile, che la rende diversa da tutte le altre.

Già nell'organico la Sinfonia n. 39 in mi bemolle maggiore K. 543 presenta una particolarità, perché non sono presenti gli oboi, sostituiti da due clarinetti, strumenti nuovi e ancora rari nelle orchestre sinfoniche: dieci anni prima, ascoltandoli nell'orchestra di Mannheim, allora all'avanguardia, Mozart era rimasto affascinato dal loro timbro e si era rammaricato che non fossero disponibili a Salisburgo e a Vienna. Finalmente gli si presentò la possibilità di usarli in questa sinfonia, che è uno dei primi esempi di un'orchestrazione moderna, per come esplora le risorse d'ogni strumento e sfrutta le diverse combinazioni di timbri. Ai clarinetti è dato notevole rilievo fin dall'Adagio iniziale: quest'introduzione lenta, tipica di Haydn ma rara in Mozart, inizia con alcuni potenti e solenni accordi, che da un lato possono ricordare il tanto venerato Haendel, e d'altro lato celano probabili riferimenti massonici, perché la tonalità di mi bemolle maggiore, e accordi simili a colpi vigorosi caratterizzeranno anche l'ouverture del Flauto magico, del 1791, in cui la simbologia massonica è indubitabile. Ma la tensione drammatica generata dalle scale ascendenti e discendenti e dalla formula ritmica d'accompagnamento richiama piuttosto l'ouverture del Don Giovanni, andato in scena pochi mesi prima. Il primo tema dell'Allegro s'innesta tanto delicatamente sull'Adagio che si potrebbe quasi prenderlo per un'estensione di quest'ampia introduzione, almeno finché trombe e timpani non vengono a stabilire quel tono vigoroso e anche solenne, ma percorso sotterraneamente da ansie beethoveniane, che prevarrà per la restante parte del movimento, cedendo momentaneamente il passo soltanto all'apparire del secondo tema, una frase in "legato" elegantemente bilanciata tra strumenti ad arco e a fiato, subito seguita da un ulteriore motivo, sempre "piano" ma più asciutto e deciso. Proprio il ritorno di questo secondo elemento del secondo tema segnerà l'inizio dello sviluppo, che darà poi grande spazio a una figura ritmica di carattere quasi militaresco: il predominio dell'elemento ritmico su quello melodico e l'essenzialità del materiale musicale da cui si sviluppa l'intero movimento riconducono all'insegnamento di Haydn, che però avrebbe introdotto qualche elemento di sorpresa nella parte finale, mentre Mozart, dopo essersi inaspettatamente fermato nel pieno dello sviluppo su un accordo carico di tensione, ripete quasi alla lettera tutta la prima parte del movimento.

L'Andante con moto, in la bemolle maggiore, è uno dei tempi lenti più ampi e intensi mai scritti da Mozart, che mescola qui le forme del tema con variazioni, del rondò e della romanza, facendo passare un tema semplice e sereno attraverso una serie di sottili e suggestive modulazioni armoniche e trasformazioni melodiche, che gli conferiscono accenti di volta in volta disperati o eroici, commossi o energici, spingendosi nella ricerca d'espressività fino ad un drammatico episodio in fa minore, che ricorda un recitativo vocale.

Il battito metronomico d'una sola nota ripetuta dai fiati scandisce il Menuetto, che nella sezione principale ha un'allegria e una robustezza memori ancora una volta di Haydn, ma che s'ammorbidisce nel leggero dialogo tra il flauto e i due clarinetti del Trio, dal languore tipicamente viennese.

Il movimento finale, Allegro, è ancora un omaggio a Haydn, per la sua forma-sonata basata su un unico tema, che passa precipitosamente tra vari strumenti, quasi come se se lo contendessero l'un l'altro, e attraversa modulazioni di stupefacente audacia: lo slancio inarrestabile di questo finale veloce e serrato, senza un attimo di respiro, è stato paragonato da Richard Wagner all'ultimo movimento della Settima sinfonia di Beethoven. Una volta tanto, il paragone con Beethoven non è forzato, anzi si può affemiare che bisognerà attendere l'Eroica per trovare un altro capolavoro che faccia compiere alla sinfonia un passo altrettanto grande.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Il numero delle Sinfonie composte da Mozart è molto alto, come si conviene a un musicista del Settecento: dalle quaranta alle cinquanta, a seconda che vi si contino o meno le opere dubbie, o quelle che hanno dimensioni e carattere di Ouverture. La composizione della maggior parte di esse si concentra negli anni della gioventù di Mozart: soltanto sei Sinfonie nacquero nel periodo più importante della sua creatività, i dieci anni trascorsi a Vienna, dal 1781 alla morte. A questo rarefarsi della produzione sinfonica corrisponde puntualmente una regolare crescita dell'importanza che la stessa forma della Sinfonia viene ad assumere: sempre meno semplice voce nell'ordinaria amministrazione di un artigianato magari altissimo, e sempre più prova massimamente impegnativa, tanto tecnicamente che spiritualmente. Nella sua opera sinfonica Mozart riassume la transizione fra due concezioni della Sinfonia in molte cose diverse tra loro: fra quella che caratterizza, mettiamo, la produzione di Haydn con i suoi oltre cento lavori sinfonici, e le nove «opere uniche» di Beethoven. Nel decennio viennese vediamo le Sinfonie di Mozart assumere proporzioni ampie, attestandosi definitivamente sulla struttura in quattro tempi. L'organico strumentale è ormai quasi sempre nutrito: vi si affaccia il timbro sommamente espressivo dei clarinetti, piuttosto inconsueto nel Settecento, che limitava per lo più la compagine dei legni alle coppie di flauti oboi e fagotti; trombe e timpani si affiancano ai corni, concorrendo a caratterizzare un ripieno orchestrale che contiene già in potenza il peso fonico dei grandi organici del sinfonismo romantico. Ma soprattutto è la stessa scrittura a respirare una dimensione «sinfonica» nel senso che questo termine potrà avere nell'Ottocento: alla regolarità di sviluppi del discorso melodico tipica del periodo galante subentra un'elaborazione tematica conscia delle possibilità strutturali del contrappunto; il principio della forma sonata acquista sempre maggiore importanza e complessità di significati, tanto nel primo movimento che nel finale; il giuoco delle modulazioni, sempre più ricco, accresce la portata espressiva e la densità formale del fatto compositivo.

Aperto nel 1782 con la Haffner e proseguito con la Linz (1783) e la Praghese (1786), il ciclo delle Sinfonie viennesi di Mozart fu coronato splendidamente dalla triade composta nell'estate del 1788: in meno dì due mesi, nella quiete campestre del sobborgo di Vienna dove si era trasferito il 17 giugno, Mozart, che in quel periodo attraversava penose difficoltà finanziarie, creò i suoi tre massimi capolavori sinfonici. La prima a esser terminata fu appunto la Sinfonia in mi bemolle K. 543 (26 giugno); seguirono la Sinfonia in sol minore K. 550 (25 luglio) e finalmente (10 agosto), la Jupiter. Un «superbo trittico», dice Bernhard Paumgartner, nato «quasi in un unico poderoso respiro»: e che difatti ben si presta a esser considerato unitariamente, come la massima e la più avanzata espressione del sinfonismo mozartiano, profondamente autonoma ormai dalla stessa civiltà viennese, che negli anni immediatamente successivi avrebbe toccato, con le dodici Sinfonie «di Londra» di Haydn, un magistero tecnico ed espressivo di inarrivabile perfezione. Le tre Sinfonie del 1788 ci mostrano un Mozart giunto all'apice delle proprie possibilità artistiche, in ogni senso: intanto per la maestria somma della scrittura orchestrale, raffinatissima nelle definizioni timbriche e nell'intuizione delle possibilità dinamiche; ma anche, e in primo luogo, nella caratterizzazione espressiva» pervenuta a una profondità mai toccata nemmeno nei capolavori precedenti, e ormai ampliata a contenere le più diverse e possenti risonanze emotive, di pari passo con una padronanza dell'atto compositivo che pur dissimulando nella polita realizzazione formale ogni traccia di sforzo, non sembra mai improntata alla semplice «facilità» di una vena feconda e felice, ma respira una consapevolezza costruttiva di altissima tensione etica. Nell'ambito di questa triade, seguendo la bella immagine del Paumgartner che le paragona idealmente alla «successione degli stati d'animo delle ultime Sonate per pianoforte», la Sinfonia K. 543 starebbe a rappresentare la «vigorosa energia» del primo tempo, di contro alla «massima intensità emotiva» del secondo (la Sinfonia in sol minore) e alla «vittoriosa affermazione» di vita del terzo (la Jupiter): sicché la Sinfonia in sol minore, «appassionata e cupa», si porrebbe come «centro ideale della trilogia», la Jupiter come il momento dell'«attesa liberazione», sovrastato dalla «guglia eccelsa» del Finale. L'immagine calza perfettamente; solo dispiace accorgersi che in questo quadro la Sinfonia K. 543 finisce sempre per apparire come l'elemento meno importante, meno luminoso se non più sbiadito: del resto, nel consumo come nella fortuna interpretativa, questa pagina è forse la meno popolare delle tre Sinfonie del 1788, non ultimo poiché è quella che ha offerto minor occasione a esercizi retorici di carattere biografico-esistenziale-contenutistico, o alle immancabili divinazioni di fermenti anticipatori del Romanticismo, che con stucchevole fissazione teleologica vengono regolarmente sovrapposti un po' a tutto l'ultimo Mozart. Di fatto, in essa non si ravvisano se non in misura piuttosto contenuta i caratteri che rendono anche esteriormente eccezionali le due Sinfonie successive: l'inquietudine dolorosa della Sinfonia in sol minore, le gigantesche intuizioni costruttive e il trionfante vitalismo della Jupiter. Ma certo niente appare più assurdo che il porre la Sinfonia in mi bemolle su un piano anche di poco inferiore alle due meravigliose sorelle, sol perché in essa la drammaticità dei conflitti espressivi è costantemente celata dietro un sublime equilibrio emotivo, o perché la densità della costruzione riesce con incredibile felicità a contenersi nella pacifica levità di un periodare di quattro in quattro battute, secondo le regole accettate di un comporre che non disdegna di essere anche piacevole, e che comunque rifugge da ogni violenza esteriore. Del resto, in questa Sinfonia non mancano connotati tali da richiedere una profonda attenzione anche all'analisi: basterebbe la strumentazione, che significativamente sostituisce all'abituale coppia degli oboi due clarinetti, consentendo a Mozart di dispiegare, con una libertà che non ha termini di confronto neanche nelle poche altre sue Sinfonie che accolgano il clarinetto nel proprio organico, la particolare e non casuale predilezione che sempre tributò al timbro pastoso e nostalgico — non necessariamente romantico, anche se certo quanto mai capace di esprimere turbamenti e ripiegamenti dell'animo — dello strumento che Brahms avrebbe avuto tanto caro nella sua estrema stagione creativa. Basterebbe, soprattutto, la grande e severa ricchezza espressiva della lunga introduzione lenta al primo movimento (formula abbastanza inconsueta in Mozart, contrariamente alla tradizione viennese, e da lui impiegata solo in due altre occasioni, nella Linz e nella Praghese), a dar la misura del profondo impegno compositivo e spirituale profuso da Mozart in questo suo capolavoro perfettamente tornito, con tutto che esso sia nato, a quanto pare, in quattro o cinque giorni; e la cui suggestione, per essere meno immediata e bruciante che nelle altre due Sinfonie del 1788, non risulta a conti fatti certo minore.

Il moto ampio e solenne dell'Adagio che apre il primo movimento, scandito dai colpi del timpano e dagli accordi dei fiati, e percorso dalle scalette degli archi, sottolinea la tensione drammatica — la si direbbe teatrale, se non suonasse diminutivo: ma non è un caso che le ultime Sinfonie di Mozart cadano giusto in mezzo al periodo dei grandi capolavori teatrali, e specialmente che siano vicine nel tempo al Don Giovanni e alle altre opere italiane — che questo episodio trae dai suoi moti armonici densi di significato. La quiete che segna la conclusione dell'Adagio prepara la partenza lieve, carezzevole del primo tema; la trasparenza timbrica della sua prima esposizione, affidata per lo più agli archi, cede il passo a episodi più incisivi ritmicamente e fonicamente, finché il lungo episodio di transizione non si placa bruscamente per dar luogo alla presentazione del secondo gruppo tematico, ancora una volta aereo e scorrevole, anche se di tinta più riflessiva. Lo sviluppo è molto breve, ma intenso: la ripresa si svolge regolarmente, e sfocia in una coda sintetica e incisiva nelle sue lucenti fanfare di corni e trombe. Il tema del secondo movimento, nel suo miracoloso equilibrio espressivo, ci porta a tutti gli effetti nelle stesse regioni emotive dei tempi analoghi delle due Sinfonie successive. La regolare coniugazione strofica dell'esposizione, limitata ai soli archi, si dissolve nelle più tormentate elaborazioni dello sviluppo, dove il discorso strumentale si fa timbricamente più denso e tagliente, e le linee melodiche si frammentano in incisivi spunti ritmici, ampliando l'orizzonte emotivo della Sinfonia ad accogliere ancora una volta intense suggestioni drammatiche. Il Minuetto è tra i più meravigliosamente tersi e scorrevoli composti da Mozart, e giuoca sull'alternanza del ripieno orchestrale, discretamente rinforzato dai timpani, con le più trasparenti fasce sonore degli archi e dei legni. II Trio centrale vede protagonisti i clarinetti (quasi un'eco delle Serenate per strumenti a fiato degli anni salisburghesi) cui tocca dipanare un motivo a tratti di villereccia giocondità. Smagliante coronamento della Sinfonia, un Finale avviato dallo scintillante disegno proposto dai soli violini, e presto ripreso dal «tutti» orchestrale con nuovo vigore; difficile distinguere il secondo tema dal primo, per la sostanziale affinità che li lega nell'inarrestabile fluire del discorso musicale: la dignità della forma sonata è salva, ma non le viene consentito di interporre le sue esigenze dialettiche o drammatiche nella felicità di questo tripudiantc moto perpetuo, raramente interrotto da pause, quasi a prender fiato per il tempo che basti ad accennare un sorriso.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al numero 50 della rivista Amadeus, Gennaio 1994
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 24 Novembre 1984
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 18 maggio 2006
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 6 giugno 1980


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Ultimo aggiornamento 20 gennaio 2022