Sinfonia n. 38 in re maggiore "Sinfonia di Praga", K 504


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Adagio. Allegro (re maggiore)
  2. Andante (sol maggiore)
  3. Presto (re maggiore)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Vienna, 6 Dicembre 1786
Prima esecuzione: Praga, Teatro Nazionale Nostitz, 19 Gennaio 1787
Edizione: Cianchettini & Sperati, Londra 1800
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Sinfonia «Praga» fu completata da Mozart il 6 dicembre del 1786 e deve il suo nome alla città nella quale fu eseguita per la prima volta, il 19 gennaio dell'anno successivo. Mozart aveva trovato a Praga la considerazione e il successo di pubblico che non riusciva a ottenere a Vienna, dove il suo sostentamento continuava a basarsi essenzialmente sulle lezioni private e sulle accademie; in una lettera all'amico Gyrowetz che partiva per l'Italia troviamo queste parole eloquenti: «Oh uomo fortunato! Come sarei felice di viaggiare con Lei! Guardi, devo ancora dare una lezione per guadagnare qualcosa!». Questa situazione determinò, per reazione, una profondità di pensiero creativo ancora maggiore; come scrisse il biografo mozartiano, Hermann Abert: «La sua concezione del mondo si allontanò poco a poco da quanto lo circondava e la sua arte divenne sempre più soggettiva; il lato passionale, "demoniaco" della sua natura prese il sopravvento, come dimostra Ira l'altro l'arricchimento armonico e contrappuntistico della sua scrittura».

Il monumentale movimento di apertura della, Praga (Adagio - Allegro), il più ampio brano sinfonico composto da Mozart, rappresenta una delle più eloquenti dimostrazioni delle affermazioni di Abert. La maestosa introduzione, con la sua complessità armonica e la densità del discorso tematico, richiama alcune atmosfere del Don Giovanni, l'opera che Mozart avrebbe composto proprio per il Teatro Nazionale di Praga in quello stesso 1787 che vide la prima esecuzione della Praga: la seconda parte dell'introduzione, in particolare, con il colore cupo del modo minore e l'alternanza tra piano e forte, sembra anticipare la musica legata al Commendatore. L'orizzonte si rasserena di colpo all'inizio dell'esposizione con il ritorno al modo maggiore.

Il tema principale è formato da diversi motivi: la sincope dei violini primi, il cantabile dei secondi, viole, celli e bassi, anch'esso sincopato, un motivo in crome ribattute dei violini primi e un elemento discendente dì flauti e oboi che non riapparirà più nell'esposizione, ma costituirà il materiale principale dello sviluppo.

Non meno complessa è la successiva sezione, il cui inizio è segnato dal forte dell'intera orchestra, costituita da tre motivi che torneranno più volte, quasi a mo' di ritornello. La transizione verso la tonalità della dominante non è altro che una zona di elaborazione di alcuni dei motivi che aprivano l'esposizione. Il secondo tema, di pacato lirismo, viene subito ripetuto nel modo minore, ricollegandosi così idealmente all'introduzione. L'episodio che conclude l'esposizione è basato sui tre motivi a piena orchestra che chiudevano, posti in diverso ordine e inframmezzati da un'ultima apparizione del tema principale.

Lo sviluppo si basa inizialmente sulla combinazione e l'elaborazione di due motivi: quello discendente visto all'inizio dell'esposizione, poi mai più riapparso, e il ribattuto di crome del quale si è sottolineata la parentela con la Zauberflöte. Allorché ricompaiono i tre motivi «ritornello» sembra che ci si avvii verso la ripresa, ma la ricomparsa del tema principale è soltanto una falsa ripresa, come evidenzia il repentino passaggio al modo minore: si tratta in sostanza di una rìtransizione tra lo sviluppo e la vera ripresa, che è leggermente modificata e abbreviata rispetto all'esposizione. Al termine, non troviamo una vera e propria coda, ma soltanto la ripetizione dell'ultima riapparizione del tema principale, ripetizione che rafforza il senso di conclusione.

Il primo elemento tematico del secondo movimento (Andante) ha evidenti rapporti di parentela con uno dei motivi principali del movimento di apertura e nella sua prosecuzione si caratterizza per un ricco cromatismo che informerà di sé gran parte del brano. Il secondo elemento del primo gruppo tematico, un motivo balzante esposto dagli archi all'unisono, viene poi brevemente elaborato. La transizione verso la dominante inizia con un brusco passaggio al relativo minore; è poi l'elemento cromatico a condurre verso il secondo tema, del quale Abert rileva la parentela con la seconda parte del celeberrimo duetto Don Giovanni-Zerlina («Andiam, andiam mio bene»). Anche l'ultimo episodio dell'esposizione è derivato da questo motivo. Le tensioni armoniche giungono al loro apice nello sviluppo, nel quale sono i motivi del primo gruppo a venire riccamente elaborati in un discorso sempre più teso e drammatico, prima che la ripresa riporti alla serenità iniziale.

La Praga è priva di minuetto. Molte congetture sono state fatte al riguardo, nessuna delle quali appare del tutto soddisfacente. Ci si limiterà qui a sottolineare come Mozart avesse già operato altre volte una scelta di questo genere, ad esempio nella Sinfonia in sol maggiore K. 318 e in quella in do maggiore K. 338. Nel Finale (Presto) ritroviamo per alcuni aspetti la complessità formale del movimento di apertura: la transizione verso il secondo tema è infatti ottenuta con una complessa elaborazione del tema di apertura; e dopo che il secondo tema è stato presentato e quindi ripetuto, ci troviamo di fronte a una nuova zona di elaborazione del primo tema, che domina anche la codetta, accompagnato da un nuovo elemento in terzine dei violini primi. L'elemento dell'intera orchestra in forte che apre lo sviluppo, e verrà utilizzato anche per variare la ripresa, comparendo subito dopo il primo tema.

A partire dal secondo tema il succedersi degli episodi ricalca l'esposizione e porta alla sonora e festosa conclusione.

Paolo Rossini

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Tra le Sinfonie di (Mozart, riconoscibili per appellativi vari (la «Parigina», K. 297; la «Haffner», K. 385; «Linz», K. 425; la «Jupiter», K. 551), quella detta «di Praga» (Prager Symphonie), K. 504, è nota non soltanto per essere articolata in tre tempi (è priva, cioè, del Minuetto), ma anche per la capacità dì racchiudere e di svelare, pur nel suo più ristretto ambito, il Mozart grandissimo delle ultime tre Sinfonie (K. 543, K. 550, K. 551).

Per la ricchezza del tessuto fonico, aperto a, un altissimo magistero contrappuntistico, la Prager Symphonie si accosta, anzi, alla Jupiter della quale, del resto, anticipa l'organico orchestrale che esclude i clarinetti e comprende, con gli archi, due flauti, due oboi, due fagotti, due corni, due trombe e timpani.

Detta «di Praga» dalla città dove venne trionfalmente eseguita nel gennaio 1787, la Sinfonia fu composta a Vienna nello scorcio finale del 1786. Terminata il 6 dicembre, è immediatamente seguita dal Rondò K. 505, per soprano e strumenti, «Ch'io mi scordi di te» (27 dicembre) e immediatamente preceduta dal Concerto per pianoforte e orchestra K. 503, che reca la data del 4 dicembre. Sono questi i lavori con i quali Mozart conclude il suo trentesimo anno, fitto d'una sorprendente quantità di musica, affatto corrispondente all'alta qualità.

Risalgono al 1786 anche i Concerti per pianoforte K. 488 e K. 491; il Quartetto K. 499; tre Trii tra i quali il K. 498, detto «del gioco dei birilli»; importanti pagine pianistiche e vocali e Le Nozze di Figaro. A fine anno, la Sinfonia in re maggiore trasforma in una luminosa perfezione creativa le ansie drammatiche e proprio tragiche del musicista che sprofondava nei debiti, incappato nella riluttanza dei sottoscrittori e nel venir meno d'una popolarità che - al contrario - specialmente dopo Le nozze di Figaro, sembrava essersi più durevolmente stabilita. E del resto, proprio con la Prager Symphonie Mozart perviene a quella scrittura «difficile» la quale va «oltre la comprensione dei normali dilettanti, quantunque sia maestosa ed estrosa nei dettagli e piena di potente armonia... E' insomma, più per l'intenditore che ne sappia scorgere le finezze, che non per il dilettante che si lasci guidare dall'istinto e giudichi dalla prima impressione».

Dopo aver cercato - ma invano - dal padre l'aiuto per un viaggio in Inghilterra (il padre avrebbe potuto tenergli i bambini), Mozart accettò, sul finire del 1786, un invito a Praga in coincidenza con le rappresentazioni dell'opera Le nozze di Figaro che, proprio dai successi di Praga, dilagò poi in una infinità di «arrangiamenti» e trascrizioni. Il successo dell'opera portò Mozart ad organizzare un concerto, nel corso del quale presentò la Sinfonia K. 504.

La Prager Symphonie fa precedere l'Allegro iniziale da un Adagio che, riprendendo - e anche ampliando - una tradizione haydniana, costituisce l'esempio più vicino non soltanto alla Sinfonia in mi bemolle K. 543 dello stesso Mozart, ma anche alle Sinfonie di Beethoven (la Seconda, la Quarta, la Settima soprattutto).

Ben scandito dai timpani, l''Adagio svolge attraverso le linee melodiche dei violini un impeto ascensionale profondamente inciso. Tale anelito verso l'alto (nella Sinfonia K. 543, l'Adagio svolge, invece, un disegno discendente) si realizza in un perfetto impianto fonico, vicino anche ad una Augenmusik preziosamente disegnata. Dalla intcriore solennità di questo Adagio, dissolvente in una timida scansione ritmica, si stacca, con agilissima levità, l'Allegro sviluppantesi in una sorta di ebbrezza fonica (quasi il preannuncio della «dionisiaca» Settima beethoveniana), controllata, peraltro, da una prodigiosa costruzione contrappuntistica. Emergono a volte risonanze delle Nozze di Figaro o presentimenti del Flauto magico e atteggiamenti melodici recuperati da Beethoven anche nelle Sonate per pianoforte (Allegretto, ad es., della Sonata op. 31, n. 2).

La pienezza contrappuntistica trova un luminoso riscontro nello smalto timbrico della partitura, spesso traversata dall'abbagliante squillo delle trombe e dei corni.

L'Andante si svolge in linee cromaticamente tormentate, dischiudenti soluzioni che saranno poi di Rossini e anche di Schubert, oltre che di Beethoven il quale, più di tutti, raccoglie certo fervore mozartiano. C'è qui, anzi, un piglio «pastorale» del Beethoven della Sesta, e sono anche qui quegli scorci più severamente contrappuntistici che, nel bel mezzo di un tempo lento, interrompono il discorso melodico. Si pensi agli episodi «fugati» che Beethoven introduce nella Marcia funebre dell'Eroica o nell'Allegretto della Settima; essi hanno un'anticipazione in questo Andante.

Il Presto finale alterna a momenti più vigorosi (c'è già il furore beethoveniano della Quinta) altri più esili e sottili, quasi cameristici. Così proiettata, verso il futuro e oltre il suo tempo - ed è per questo che al Mozart «difficile» i viennesi preferirono le piacevolezze di altri - la Sinfonia dà compiutamente il segno della ricchezza musicale di Mozart, della sua appartata tristezza e della sua gioia che a volte erompe, ironica e irraggiungibile, in quei «trilli» dei violini (una vera «sigla» mozartiana) alla fine della prima sezione di questo tempo e sul finire del Presto.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il numero delle sinfonie composte da Mozart è molto alto, come si conviene ad un musicista del Settecento: dalle quaranta alle cinquanta, a seconda che vi si contino o meno le opere dubbie, o quelle che hanno soprattutto carattere e dimensioni di Ouverture. La composizione della maggior parte di esse si condensa negli anni giovanili di Mozart: soltanto sei sinfonie risalgono al periodo più importante della sua vita, quello trascorso a Vienna dal 1781 al 1791. Al rarefarsi della produzione sinfonica corrisponde puntualmente una regolare crescita dell'importanza assunta dalla stessa forma della Sinfonia: che sempre meno è semplice voce nell'ordinaria amministrazione di un artigianato altissimo, e sempre più è prova massimamente impegnativa, tanto tecnicamente che spiritualmente. Nella propria opera Mozart riassume la transizione fra due concezioni della sinfonia alquanto diverse fra loro: fra quella che caratterizza la produzione, mettiamo, di un Haydn, e quella che informa le «opere uniche» di Beethoven.

Nel decennio viennese vediamo le sinfonie di Mozart assumere proporzioni ampie, attestandosi definitivamente sulla struttura in quattro tempi. L'organico strumentale è ormai quasi sempre ampio: vi si affaccia il timbro sommamente espressivo dei clarinetti; corni trombe e timpani concorrono a caratterizzare un ripieno orchestrale che contiene già in potenza la grande compagine strumentale del sinfonismo romantico. Soprattutto, è la stessa scrittura che respira una dimensione «sinfonica» nel senso ottocentesco del termine: alla facilità decorativa del discorso melodico tipica del periodo galante subentra un'elaborazione tematica conscia delle possibilità strutturali del contrappunto; il principio della sonata acquista importanza, e nel Finale si sostituisce al Rondò; il giuoco delle modulazioni conferisce all'itinerario armonico alta valenza espressiva.

Tale processo evolutivo tocca il punto più alto con la grande triade del 1788, ultima prova di Mozart in campo sinfonico: la Sinfonia in mi bemolle K. 543, quella in sol minore K. 550, la «Jupiter». Ma su un piano non certo inferiore si pone l'opera che precede direttamente quel grande sforzo creativo: la Sinfonia in re maggiore K. 504, composta a Vienna e datata 6 dicembre 1786. In misura senz'altro maggiore delle sinfonie che la precedono (la «Haffner», che è dell'agosto 1782 e la «Linz», finita il 3 novembre 1783), questa pagina reca i connotati della maturità sinfonica mozartiana. In apparenza, le manca una delle caratteristiche principali dell'arte sinfonica viennese, la struttura in quattro tempi. Ma niente potrebbe essere più agli antipodi dello sbrigativo modello italiano Allegro-Adagio-Allegro di questa opera tanto felice e scorrevole quanto complessa, composta con una profondità ed un impegno formale senz'altro eccezionali.

Essa respira infatti costantemente il clima delle più grandi creazioni dell'ultimo periodo di Mozart: quello delle opere teatrali «italiane», anzitutto (il 1786 è l'anno delle «Nozze di Figaro»; e proprio durante il viaggio di Mozart a Praga, che vide anche la prima esecuzione della Sinfonia K. 504, nel gennaio dell''87, prese forma il progetto del «Don Giovanni»); quello degli ultimi stupendi Concerti per pianoforte; quello dello stesso «Flauto magico» (il primo tema dell'Allegro anticipa quasi alla lettera quello dell'Ouverture dell'opera). È un orizzonte affettivo dove è ben presente un'intenzione espressiva che forse è esagerato chiamare preromantica, e storicamente non corretto riferire all'esperienza dello Sturm und Drang; ma che certo è profetica se non altro di alcuni modi linguistici dell'Ottocento tedesco. Basterebbe pensare a come l'impasto timbrico dei gruppi strumentali sa sottolineare l'oscuro, tortuoso cammino delle armonie di certi squarci in modo minore; alla capacità di creare zone di condensazione espressiva in attesa di dar sfogo all'energia del flusso ritmico.

Il primo movimento della Sinfonia si apre con un'introduzione in tempo lento: caso abbastanza raro in Mozart, che impiegò questa formula, oltre a qui, soltanto nella «Linz» e nella Sinfonia K. 543. È un Adagio ampio e profondamente sviluppato: il re maggiore della tonalità d'impianto sembra affermarsi sin dall'inizio, ma la cadenza che conclude il primo episodio conduce bruscamente ad un cupo re minore da cui prende le mosse un discorso armonico inquieto, sottolineato dai gruppetti «alla napoletana» dei violini e dal severo ritmo del timpano. Una corona sull'accordo di dominante prepara lo slancio liberatorio del primo tema, in uno scorrevole Allegro. Questo gruppo.tematico, ricchissimo di spunti motivici, viene ampiamente sviluppato in un lungo episodio di transizione, già prima del secondo tema, più cantabile, esposto dai violini. Gli sviluppi ricorrono quasi esclusivamente al materiale del primo gruppo tematico. Per quanto concisa, rispetto all'ampiezza dell'introduzione, questa sezione assume un rilievo di primo piano per la miracolosa agilità del densissimo ordito contrappuntistico che la informa: gli incisi tematici si combinano l'un con l'altro e, in canone, con se stessi; la leggerezza della scrittura, l'inarrestabile scorrere del ritmo, la chiarezza del discorso tonale dissimulano una sapienza contrappuntistica non inferiore, nell'apparente disimpegno di un disegno costruttivo assai meno monumentale, a quella che giganteggia nel Finale della «Jupiter». La ripresa giunge con naturalezza dopo un ben dosato placarsi dell'incalzante spinta contrappuntistica, e sfocia in una coda breve e festosa.

Il tempo centrale è un Andante in forma di sonata. Fra i due temi principali, strettamente legati fra di loro, non si stabilisce contrasto. La continuità percepibile fra esposizione sviluppo e ripresa trova un suo compenso nella estrema mobilità del fatto espressivo: una cantabilità distesa si alterna con movenze più ritmate, quasi nello spirito del Minuetto (l'assenza di questo movimento non si fa certo sentire nella Sinfonia «di Praga»); mentre brusche impennate del «tutti» orchestrale sull'addensarsi delle armonie riportano a tratti l'atmosfera inquieta dell'introduzione, interrompendo la serenità pastorale del sol maggiore d'impianto. Il movimento si conclude come in punta di piedi, in un esitante pianissimo.

Nel Finale ricompare il principio della forma sonata elaborata contrappuntisticamente. Già nell'esposizione, il primo tema, presentato dai primi violini, è subito contrappuntato, quasi di rincorsa, dai secondi e dalle viole. La spinta ritmica data dalle tre crome in levare, seguite dalle sincopi di una progressione discendente, impone a questo leggerissimo Presto un'andatura aerea, da vero pezzo di bravura, che non si inceppa nemmeno nel breve ma densissimo sviluppo. La tecnica usata è ancora quella del canone: il susseguirsi del giuoco imitativo, applicato esclusivamente al primo tema, consente nuovamente un collegamento quasi inavvertibile con la ripresa. Il vorticoso, luminosissimo disegno di terzine dei violini che già aveva concluso l'esposizione introduce una brevissima coda terminata su un pedale di tonica.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al numero 50 della rivista Amadeus, Gennaio 1994
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 22 Dicembre 1974
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 7 aprile 1978


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Ultimo aggiornamento 1 febbraio 2019