Serenata n. 12 in do minore "Nachtmusik" per fiati, K1 388, K6 384a


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro (do minore)
  2. Andante (mi bemolle maggiore)
  3. Menuetto in canone con trio (do minore)
  4. Allegro (do minore)
Organico: 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni
Composizione: Vienna, 30 Luglio 1782
Edizione: Kühnel, Lipsia 1811
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nessun musicista ha mai eguagliato la spontanea sensibilità di Mozart per le caratteristiche timbriche più naturali dei vari strumenti a fiato: ne sono la dimostrazione non solo i Concerti da lui dedicati al clarinetto, all'oboe, al flauto, al corno e al fagotto ma anche e soprattutto le sue musiche per ensemble di soli fiati. Queste composizioni erano indicate con nomi diversi (Serenate, Divertimenti, Cassazioni, Notturni, Partite) ma erano sostanzialmente simili e appartenevano tutte a un unico genere di musica, destinata ad allietare le feste della nobiltà e dell'alta borghesia. Facevano dunque parte della vita della buona società austriaca durante quella sorta di felice e gaudente belle époque che precedette la Rivoluzione del 1789: non a caso Mozart stesso non dimentica, tra i piaceri della vita dì cui circonda Don Giovanni, una cena al suono di un piccolo gruppo di strumenti a fiato.

La forma e il numero dei movimenti delle Serenate e delle composizioni affini erano variabili, mentre una costante era il tono disimpegnato, gradevole e semplice: questo carattere informale contribuiva non poco al fascino di una musica nata con il modesto scopo di fornire un sottofondo musicale al chiacchiericcio e al rumore di bicchieri e posate. Però nella produzione mozartiana di musiche di questo tipo troviamo - oltre alle brevi e disimpegnate composizioni degli anni di Salisburgo, che comunque hanno qualità artistica molto superiore a quel che la loro destinazione effimera meritasse - anche tre lavori di dimensioni e ambizioni maggiori, scritti a Monaco di Baviera e a Vienna nel 1781 e 1782, che hanno qualcosa d'enigmatico, perché il loro carattere serio e la loro scrittura complessa appaiono incompatibili con le occasioni in cui venivano solitamente eseguite le Serenate.

Di questo piccolo gruppo di composizioni fa parte la Serenata in do minore K. 388, che al carattere enigmatico cui si è appena accennato unisce anche il mistero della sua destinazione. Per chi fu scritta e per quale occasione? È stato suggerito che il principe Schwarzenberg o il giovane principe Liechtenstein potrebbero esserne stati i committenti, ma non sarebbero rimasti sorpresi, disorientati, irritati e perfino spaventati da questa Serenata così particolare, così appassionatamente personale nell'espressione? E come conciliare la sua drammaticità col fatto che fu composta in uno dei momenti più felici della vita di Mozart, nel luglio 1782, pochi giorni dopo il trionfo della sua opera comica Il ratto dal serraglio al Burgtheater di Vienna e immediatamente prima del tanto desiderato e sospirato matrimonio con Konstanze?

Già la sola scelta del tragico do minore per questo genere di composizioni, che di norma dovevano avere la leggerezza, l'eleganza e la disinvoltura dello stile "galante", era un fatto eccezionale e annunciava un particolare impegno espressivo. Come il sol minore, anche il do minore è una tonalità emblematica del mondo spirituale di Mozart: se il sol minore è angoscioso, tenebroso e agitato, il do minore è immerso in un'atmosfera più tragica ma più oggettiva, è più cupo ma più composto, come se Mozart vedesse in questa tonalità la manifestazione d'un potere trascendente e fatale.

L'Allegro iniziale è basato su un gruppo di temi concisi e marcatamente contrastanti, che creano un'atmosfera tragica più fortemente rilevata e più ampiamente articolata che in ogni altra precedente composizione di Mozart. L'atmosfera si rasserena nell'Andante, in mi bemolle maggiore: è un movimento relativamente breve, in cui i vari strumenti dialogano pacatamente tra loro, con toni d'intenso lirismo. Le Serenate avevano normalmente due Minuetti, che contribuivano al loro carattere leggero e disimpegnato, ma Mozart questa volta ne scrisse uno solo, dando così a questa composizione la struttura più compatta e severa d'una Sinfonia: si tratta d'un Menuetto in canone, costruito su lunghe linee contrappuntistiche che passano tra i vari strumenti, seguendo una tecnica imitativa non troppo rigida. Il finale è un Allegro, suddiviso in un tema e sette variazioni: il tema, in do minore, è una svelta melodia dal profilo semplice e ben definito, le variazioni sono fortemente caratterizzate e delineano un percorso emotivo simmetrico, sfociando nella ripresa del tema iniziale, questa volta in un luminoso e vivace do maggiore.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il 27 luglio 1782, mentre il «Ratto dal Serraglio» conquistava i viennesi, Mozart si scusava per lettera col padre di non aver potuto portare a termine la Sinfonia commissionatagli per il borgomastro di Salisburgo Siegmund Haffner. Ed aggiungeva: «Non potevo fare altrimenti, ho dovuto comporre in fretta una serenata, ma soltanto per fiati, altrimenti avrei potuto utilizzare la musica per voi.»

Il committente della «Serenata» in do minore e l'occasione della composizione sono rimasti sconosciuti. Ma, composta per un viennese, l'opera stessa annunzia il distacco di Mozart dal mondo salisburghese e dalle sue serenate «en plein air», e rivela le speranze che il musicista riponeva nell'attività di libero professionista a Vienna. Mentre i precedenti lavori per fiati restano nell'orbita della musica di circostanza, serenate introdotte da una marcia, con l'espansione lirica dell'adagio incastonata fra due minuetti, la serenata in do minore schiude alla musica da camera le peripezie delle passioni private, tanto quelle dell'artista alle soglie dei turbamenti romantici, quanto quelle del compositore impegnato a sondare le grandi forme, quelle attraverso cui la musica tedesca pretenderà di rappresentare la totalità dell'umano. Saranno ora i caratteri scuri o patetici del primo allegro, la pensosità dell'adagio, l'inclinazione seriosa del minuetto in canone, col trio a canone rovesciato, un avventurarsi della piccola arte verso mete ambiziose, cui non si sottraggono neppure le variazioni conclusive, presaghe di tanti tumulti che verranno associati alla tonalità di do minore.

Gioacchino Lanza Tomasi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nell'aurea Vienna mozartiana si afferma, negli anni della meravigliosa Serenata in do minore K 388 ( 1782) il termine Harmoniemusik promosso in primis dall'imperatore Giuseppe II: indicava musica ideata soprattutto per gruppo di fiati, di solito nella formazione di un equilibratissimo ottetto, che eseguisse durante le feste, in saloni o durante banchetti en plain air, pagine raffinate di intrattenimento: raccolta attorno a titoli del tutto suggestivi e attraenti come Divertimenti, Notturni, Cassazioni e Serenate. Nel Finale dell'opera Don Giovanni (scena XV), un'orchestrina di fiati esegue di fronte al padrone stralci in citazione di brani di Martin y Soler, Giuseppe Sarti e infine "Non più andrai farfallone amoroso" dalle Nozze di Figaro. Così recita il testo di Da Ponte: «Sala illuminata in casa di Don Giovanni: una mensa preparata per mangiare»; qui il nobile, simbolo per eccellenza del "potere", si intrattiene a mangiare avidamente, intrattenuto nello svago dalla formazione caratteristica di Harmoniemusik. E Mozart, con precisione, diremmo, "filologica", fa suonare in questo frangente l'ottetto caratteristico distaccandolo dall'orchestra: una citazione colta, indicante sottotraccia una precisa tipologia. Tuttavia, va detto, accanto a questo uso entrato nel luogo comune della cultura viennese di musica-tipo dell'aristocrazia, proprio lo stesso Mozat ci presenta un versus differente: Harmoniemusik infatti poteva far riferimento non solo a una modalità diciamo così, "leggera", ma riferirsi, ad esempio, all'uso di un repertorio più severo e riferito a significati sotterranei se non addirittura simbolici.

Riflesso di un ideale di suprema armonia universale, le formazioni di Harmoniemusik erano correntemente in uso anche nelle logge massoniche. In questo caso couleur locale e ambientazione della Serenata in questione, la K 388, ci paiono davvero vicine, nelle tinte, nei modi, nelle tecniche, all'idea di qualcosa di profondo, almeno nella concezione "poetica" di riferimento. Inoltre spicca in molte sezioni una scrittura pienamente contrappuntistica, severa e molte sono le fasi polifoniche, in stile imitativo, seppur mitigate da una straordinaria eleganza di scrittura. Così davvero la Serenata K 388 è, più che musica di intrattenimento, musica "seria" e non casualmente la sua architettura si modella sopra il calco articolato di una Sinfonia, esibendo come forma generale due tempi esterni veloci, con all'interno un Andante e un Minuetto con Trio. Non è un mistero come Mozart stesso avesse cancellato il titolo originario "Parthia", ovvero Partita, vicina all'idea di suite di danza, per il più efficace Serenata: un titolo prossimo al carattere del brano e coerente con la struttura delle Sinfonie o delle Serenate orchestrali. Infine, per completare il quadro, va ricordato come alcuni anni dopo, nel 1788, Mozart trasformasse questo "originale" in una struttura del tutto tradizionale e "impegnata" come quella offerta dal Quintetto K 406/516b per strumenti ad arco.

Nel primo tempo un Allegro in forma sonata, il genio di Salisburgo disegna nell'inusuale ambiente tonale offerto da un cupo e drammatico do minore un tema del tutto sui generis: un forte di tutti gli strumenti in unisono letteralmente scolpisce nel marmo il disegno principale, presto piegato dentro curvi intervalli di settima e contrassegnato da incisi intensi e lamentosi; un ponte modulante porta il discorso al secondo tema, che offre un'idea rotonda in mi bemolle maggiore. Nello sviluppo l'elaborazione conferma l'intenso clima espressivo, spesso esaltato dalle pitture sonore dipanate su frequenti modulazioni e spettacolari progressioni, prima che la ripresa riporti i due elementi dentro il quadro fosco sonoro offerto dal tono d'impianto.

L'Andante presenta un primo tema in mi bemolle maggiore dal tenue lirismo. Tutto si muove come in un'ambiente ovattato, mentre il secondo elemento alla dominante si bemolle maggiore è un'aurorale arcata lasciata scorrere dall'emergere solistico dell'uno o dell'altro strumento, mentre il gruppo sostiene e accompagna dentro un morbido cuscino armonico. La pagina ricorda l'idea incantata di Romanza; una sezione centrale che funge da tranquilla fase sviluppativa lascia echeggiare i tratti del primo dei due temi, che rimangono come echeggiati sottovoce. È solo un'esitazione ed ecco che presto ci troviamo di fronte a una ripresa del materiale motivico, definita da entrambi i temi che, con un soffio "pastorale", conducono il tempo a conclusione.

Il Menuetto in canone con Trio toma alle striature più scure del do minore però tendenti nel prosieguo verso il più gentile mi bemolle, presentando una prima linea motivica in canone tra la coppia di oboi e quella dei fagotti, mentre clarinetti e corni servono un ripieno ricco di colori; un secondo elemento di Minuetto mantiene spunti imitativi passando con particolare naturalezza dal mi bemolle maggiore al sol minore per infine tornare al do minore di partenza: davvero un saggio mozartiano di capacità alchemica di combinare la severità di uno stile con il gusto del colore. Nel Trio la tessitura si dirada e Mozart unisce questa scelta a un ulteriore schiarimento tonale che conferisce serenità di fondo, passando al do maggiore in alternanza al sol: tutto questo è però scritto con una tecnica prodigiosa e autorevole in canone rovesciato tra le voci che vengono trattate come singoli solisti in contrappunto imitativo.

L'ultimo tempo è un Allegro nella forma di un tema con variazioni. Il tema in do minore, disposto nella classica doppia arcata, è un motto di particolare pregnanza. Nitido e scorrevole, fluisce dentro un autentico microcosmo di caratteri definito da otto rielaborazioni. Esse rappresentano un saggio mozartiano di autentica bellezza: laddove si passerà da movenze nette e virtuosistiche ad altre più liriche, da ritmi intensi e baldanzosi a esaltazioni e slanci, così come a ricche ombreggiature su citazioni naturalistiche. Così dalla prima, variazione "eroica" e scattante, ecco la seconda lasciata al canto garrulo dell'oboe e la terza, giocata su elastiche sincopi di oboe e fagotto, mentre la quarta è massiccia ed echeggiante, sostenuta dal fagocitante moto dei fagotti al basso e dagli squillanti trilli dell'oboe. Pastorale la quinta, ricca com'è di cinguettanti incisi e giocata sul topos della foresta imbastito dalle risonanze-richiamo dei corni, mentre è l'impasto sonoro offerto dalla base dei clarinetti che informa la sesta; ancora i corni fanno da incipit alla settima variazione, echeggiati dai clarinetti, salvo poi lasciare spazio alla sinfonia sonora definita dall'oboe contrappuntato virtuosisticamente dal fagotto; l'ottava e ultima è dolce e corale e nell'originalissima miscela timbrica che se ne genera traspaiono pennellate in chiaroscuro e tenui sussurri, sfruttando l'aura prodotta dal sottile gioco di imitazione e dalla successione di morbide dissonanze su ritardi. E un clima di incertezza, questo, sottolineato da sorprendenti soluzioni armoniche esibite nelle ultime battute: un effetto teatrale che prepara il ritomo del tema principale, questa volta nel solare do maggiore.

Marino Mora


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 17 febbraio 2006
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 18 ottobre 1972
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 320 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 25 gennaio 2017