Quintetto per archi n. 5 in re maggiore, K 593


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Larghetto (re maggiore)
  2. Adagio (sol maggiore)
  3. Minuetto e trio. Allegretto (re maggiore)
  4. Allegro (re maggiore)
Organico: 2 violini, 2 viole, violoncello
Composizione: Vienna, dicembre 1790
Edizione: Artaria, Vienna 1793
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nel catalogo delle opere di Mozart la formazione del Quintetto d'archi, con l'aggiunta di una seconda viola al gruppo classico del Quartetto, è presente con sei lavori. Quello in re maggiore K. 593 - composto nel dicembre 1790 - è il penultimo della serie e apre la strada ai capolavori dell'ultimo anno di vita di Mozart, mettendo a frutto le recenti conquiste cameristiche in una sorta di "tardo stile" insieme decantato e ricco di nuove implicazioni formali. Rispetto alla coppia dei Quintetti K. 515 in do maggiore e K. 516 in sol minore, il primo luminoso e festoso, il secondo drammatico e inquieto, il Quintetto K. 593 si segnala per una maggiore pensosità, soprattutto negli episodi lenti, nei quali Mozart sembra voler dar voce ad accorati messaggi dell'anima, e per un uso tanto severo quanto spontaneo del contrappunto: come se, in una giocosa astrazione virtuoslstica, ne venissero profusi e insieme cristallizzati senza artificio i principi costruttivi più naturali.

Il primo movimento si apre con un Larghetto che non ha le semplici funzioni di una introduzione. Non solo esso anticipa le tensioni armoniche e melodiche che saranno successivamente sviluppate nel corso dell'Allegro, ma viene anche integrato nella struttura tematica della forma-sonata ritornando alla fine del movimento per riequilibrare la veemente espansione del processo tematico stesso. E questo a sua volta si basa sulla fusione di un principio sonatìstico classico (il contrasto fra i due temi rispettivamente in re e la maggiore, originati da elementi dell'introduzione) con le tecniche dell'elaborazione contrappuntistica, che svela le relazioni fra i due temi fino a prefigurare un legame: ciò che avviene nella sezione della Ripresa, allorché la riesposizione dei due temi, prima in minore e poi in maggiore, si svolge per imitazione a canone, in forma di variazione e con funzioni alternate (il primo tema diviene secondo, e il secondo primo). A questo punto riappare il Larghetto, come a sospendere tale singolare processo in un punto di domanda che troverà risposta solo nell'Adagio che seguirà. In realtà, più che di una risposta si tratta di una di quelle pagine in cui Mozart sembra porre questioni di incommensurabile portata e mistero, che hanno in se stesse inizio e fine. La tonalità di sol maggiore, resa più piena dal movimento interno delle parti, solenne e corposo, lascerebbe presagire un paesaggio emotivo calmo e sereno. Ma già alla terza misura il primo violino introduce, con la figurazione del lamento (discesa per gradi congiunti inframezzata da pause cariche di tensione), una nota dolorosa, oscura, che si espande a macchia d'olio fino a sfociare in una sezione in re minore di drammatica cupezza: speranza e disperazione, lotta e rinuncia trovano accenti di commovente profondità. Il materiale tematico, ritmico e melodico, deriva chiaramente dal Larghetto iniziale, che ancor più si rivela essere il cuore pulsante della composizione; solo che ora il dialogo tra le voci estreme, violoncello e primo violino, è come impedito dallo sbarramento delle tre voci intermedie, ferreamente bloccate su un ostinato ribattuto. È un dramma arcano, intenso ed espressivo, quello che qui si compie: come nel primo movimento, reso più incalzante per mezzo di varianti contrappuntistiche, di ritorni e metamorfosi continue, e poi abbandonato al suo destino in un estremo gesto di attesa, che si spegne evaporando nel congedo irrisolto.

Né il terzo né il quarto movimento di questo straordinario Quintetto si mantengono alle altezze di concentrazione fin qui toccate. L'esigenza di compensazione, insita nell'economia dell'ordine classico, richiede una discesa sulla terra. La tensione accumulata si scioglie nelle movenze aggraziate del Menuetto il cui tema, con la regolarità delle sue otto battute in 3/4, danza oscillando tra le figurazioni discendenti del primo violino e quelle ascendenti dell'accompagnamento. Quando la melodia passa al basso, le altre voci si intrecciano in un procedimento a canone di assoluta levità e trasparenza, increspato però dalla permanente presenza di improvvisi scarti dinamici (forte e piano alternati). Il Trio è un'ennesima variazione, più distesa e rarefatta, dei motivi del Larghetto iniziale: lo slancio ascensionale sembra prendere decisamente il sopravvento, anticipando quello che sarà il carattere del Finale.

Fin dalla prima pubblicazione - apparsa nel 1793, dunque dopo la morte di Mozart, dall'editore viennese Artaria - il Quintetto in re maggiore recava una misteriosa indicazione: «composto per un Amatore Ongarese». Si trattava di un ricco commerciante di nome Tost, appassionato melomane e suonatore per diletto di violino, che Mozart aveva conosciuto nell'ambito della Massoneria. Questa circostanza esterna aiuta a capire la virata che si compie nel Finale del Quintetto verso un tono più leggero e d'impronta popolare, "all'ungherese", secondo la moda del tempo. Una figurazione danzante in 6/8 costituisce lo spunto del primo tema, elaborato nella forma di un piccolo rondò; una breve transizione conduce al secondo tema, esposto a canone fra le cinque voci, dall'acuto al grave; e ancora una volta la forma-sonata si fonde con la tecnica del contrappunto imitativo. Solo che ora la tensione è scomparsa, e la combinazione fra primo e secondo tema nella Ripresa palesa una grazia quasi compiaciuta, che unisce alla sicurezza del mestiere la baldanza di una giovinezza serenamente ritrovata. Essa non annulla la profondità del sentire: la rende semplicemente più calda e gioiosa, nell'abbandono del movimento a una festosa partecipazione.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Alla formazione del quintetto d'archi Mozart dedicò sei lavori, che per molti aspetti costituiscono uno dei vertici della sua produzione cameristica, nonché della intera letteratura struhientale per archi soli. La complessità del contenuto musicale di questi Quintetti è dovuta al fatto che essi videro la luce in un'epoca nella quale la musica per soli archi era destinata alla pratica strumentale e all'ascolto dei cosiddetti "intenditori"; era, insomma, una musica alla quale veniva "naturalmente" attribuito un contenuto musicale più "alto" ed elaborato rispetto alla musica da camera con pianoforte o con strumenti a fiato.

I sei Quintetti mozartiani possono essere divisi, per comodità di ragionamento e anche per circostanze oggettive, in tre diversi gruppi. Un primo gruppo comprende i due lavori (K. 174 e K. 406/516b) che, per motivi diversi, non aderiscono in pieno alla scrittura peculiare del quintetto d'archi. Un secondo gruppo si riferisce a due lavori gemelli, K. 515 e 516, che esprimono, a giudizio dei più, la punta più matura della ricerca dell'autore. I due tardi Quintetti K. 593 e 614 costituiscono il terzo gruppo. Ad avvicinare opere in parte anche piuttosto dissimili fra loro è la tipologia dell'organico. A differenza della sterminata produzione quintettistica di Boccherini, o del Quintetto con due violoncelli di Schubert, i Quintetti mozartiani comprendono, in aggiunta alla formazione "classica" del quartetto (due violini, viola, violoncello), una seconda viola; probabilmente a causa della predilezione nutrita dal compositore per le voci intermedie (non a caso nelle domestiche sedute di quartetto Mozart suonava la viola).

Ha osservato Charles Rosen che Mozart si dedicò alla formazione del quintetto «sempre subito dopo avere composto una serie di Quartetti, come se l'esperienza fatta con quattro strumenti lo avesse messo in grado di accostarsi a un organico più ricco». Lo scrittura impiegata nei Quintetti è infatti essenzialmente simile a quella dei Quartetti; in particolare, nelle opere mature, Mozart fece uso della scrittura peculiare e quintessenziale dello stile classico, che presuppone un ruolo egualitario di ogni strumento, ottenuto però non secondo la totale indipendenza melodica delle voci l'una dall'altra - propria del vecchio stile contrappuntistico - ma secondo un calibrato dialogo degli strumenti, che alternano ciascuno reciprocamente la funzione melodica a quella di accompagnamento, muovendo dall'elaborazione dello stesso materiale tematico.

Conquistato dopo complesse sperimentazioni, e impiegato per la prima volta nei sei Quartetti dedicati a Haydn, questo tipo di scrittura rispondeva in modo eccelso al problema proprio della formazione cameristica per archi: quello di ricercare una varietà coloristica all'interno di un timbro monocromo. In questa prospettiva l'organico a cinque strumenti consentiva al compositore una ricchezza di soluzioni sensibilmente maggiore rispetto a quella del quartetto (ad esempio due strumenti "melodici" contro tre di "accompagnamento", o viceversa, nelle più varie combinazioni strumentali). L'uso di un numero maggiore di strumenti si ripercuoteva anche sulla costruzione interna delle composizioni, più nitida e articolata. In gran parte al magistrale impiego di queste caratteristiche spetta il posto occupato dai Quintetti nella produzione mozartiana: quello dei risultati più compiuti all'interno dello stile più complesso e raffinato di una intera civiltà musicale.

I due ultimi Quintetti, K. 593 e 614, appartengono all'ultimo anno di vita di Mozart (rispettivamente al dicembre 1790 e all'aprile 1791) e costituiscono gli ultimi lavori significativi lasciati dal compositore nell'ambito della musica strumentale, seguenti di poco il gruppo dei tre Quartetti "Prussiani". Furono pubblicati da Artaria, circa un anno e mezzo dopo la scomparsa dell'autore, con la dicitura «Per una amatore ongarese»; il committente ungherese in questione sarebbe il mercante Johann Tost, già dedicatario di una serie di Quartetti di Haydn, e forse rivoltosi a Mozart proprio dietro consiglio del collega più anziano. In effetti i due Quintetti si accostano maggiormente allo stile haydniano, per secondare - si è ipotizzato - le attese della committenza. Entrambi i brani, e in particolare il secondo, hanno deluso quanti vi hanno ricercato - non senza retorica - le premonizioni della prossima fine dell'autore; essi mostrano infatti una impostazione brillante, formalmente meno articolata; ricorrono frequentemente a contrapposizioni concertanti di gruppi strumentali e chiedono ai solisti un pronunciato impegno virtuosistico: caratteristiche sensibilmente diverse rispetto ai Quintetti del 1787.

Il Quintetto in re maggiore K. 593 è l'unico ad aprirsi con una introduzione lenta, un interlocutorio Larghetto col violoncello opposto agli altri strumenti. Ancorché spesso giudicato «battagliero» (Abert) e «guerresco» (Einstein) il seguente Allegro mostra un semplice motivo di caccia, che imita le melodie dei corni e, trasformato, si pone anche alla base della seconda idea tematica; l'intero movimento si basa su una concezione formale più snella e agile rispetto ai Quintetti del 1787, ma mostra in compenso una maggiore complessità polifonica; Mozart fa riapparire inaspettatamente (e inconsuetamente per i suoi usi) il motivo dell'introduzione subito prima dell'ultima conclusiva apparizione del motivo di caccia, attribuendo una logica simmetrica al movimento. Il seguente Adagio si apre con un'impronta essenzialmente omofona, ma accoglie anche dialoghi a distanza fra violino e violoncello; si tratta nell'insieme di una pagina di intensa espressività, con l'uso del cromatismo e una cupa seconda idea in minore. Il Minuetto presenta un motivo popolare, elaborato a canone già nella sua seconda apparizione; il Trio ha un carattere dialogante ed è di estrema difficoltà per gli interpreti. L'uso del contrappunto che figura in tutti i movimenti e apertamente nel terzo, ha la sua massima celebrazione nel tempo finale, aperto da un motivo cromatico discendente (che fu corretto apocrifamente sull'autografo in una figurazione meno ardita ma fino a pochi anni fa ritenuta autentica); con il ritmo di giga, la configurazione giocosa del materiale, gli intrecci fra gli strumenti, Mozart dissimula magistralmente il carattere sofisticato dell'elaborazione.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Concliazione, 28 febbraio 1997
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Roma, Teatro Olimpico, 18 gennaio 1996


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Ultimo aggiornamento 10 ottobre 2013