Quartetto per archi n. 21 in re maggiore "Prussiano 1", K 575


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegretto (re maggiore)
  2. Andante (la maggiore)
  3. Minuetto e trio. Allegretto (re maggiore)
  4. Rondò. Allegretto (re maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, Giugno 1789
Edizione: Artaria, Vienna 1791
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Mozart scrisse ben 26 Quartetti completi per archi, in cui sono racchiuse le caratteristiche tecniche e stilistiche del compositore e soprattutto la sua evoluzione nel fissare le regole di una forma tra le più difficili di tutti i generi musicali. Si sa che Mozart mosse inizialmente i primi passi nel dialogo a quattro per archi tenendo presenti i modelli analoghi conosciuti durante il viaggio in Italia tra il 1770 e il 1773, a cominciare dalla produzione di Sammartini. Infatti il primo Quartetto in sol maggiore K. 80 fu composto la sera del 15 marzo 1770 in una locanda di Lodi e risente dello strumentalismo da camera italiano: la divisione in tre tempi (si ritiene in questo caso che il rondò finale sia stato aggiunto posteriormente) e la preponderanza data ai due violini rispetto alle parti del violoncello e della viola. Non per nulla i quartetti immediatamente successivi K. 136, 137 e 138, composti a Salisburgo nei primi mesi del 1772 e chiamati Divertimenti sul manoscritto, e i sei Quartetti K. 155 - 160, che recano il titolo di Milanesi, perché finiti di scrivere nell'autunno dello stesso anno nella capitale lombarda, si articolano in tre tempi, come nella sinfonia d'opera italiana: un allegro introduttivo o presto, un andante o adagio e un minuetto o presto.

Più tardi, a partire dal 1773 e con i sei Quartetti dal K. 168 al K. 173, Mozart comincia a subire il fascino della lezione di Haydn, considerato senza alcuna riserva il suo maestro ideale. Dal 1782 in poi e con la pubblicazione nel 1785, egli scrive la collana dei sei quartetti, che il catalogo del Koechel fa corrispondere ai. numeri 387, 421, 428, 458, 464 e 465, con quella famosa dedica datata Vienna e rivolta ad Haydn, dove con estrema umiltà e sincero rispetto è detto testualmente in italiano: «Al mio caro amico Haydn. Un padre, avendo risolto di mandare i suoi figli nel gran mondo, stimò doverli affidare alla protezione e condotta di un uomo molto celebre in allora, il quale per buona sorte era per di più il suo migliore amico. Eccoti del pari, celebre uomo ed amico mio carissimo, i miei sei figli. Essi sono, è vero, il frutto di una lunga e laboriosa fatica, pur la speranza fattami da più amici di vederla almeno in parte compensata m'incoraggisce e mi lusinga che questi parti siano per essermi un giorno di qualche consolazione. Tu stesso, amico carissimo, nell'ultimo tuo soggiorno in questa capitale me ne dimostrasti la tua soddisfazione. Questo tuo suffragio mi anima soprattutto, perché io te li raccomandi e mi fa sperare, che non ti sembreranno del tutto indegni del tuo favore. Piacciati dunque accoglierli benignamente ed esser loro padre, guida ed amico. Da questo momento io ti cedo i miei diritti sopra di essi, ti supplico però di guardare con indulgenza i difetti, che l'occhio parziale di padre mi può aver celati, e di continuar, loro malgrado, la generosa tua amicizia a chi tanto l'apprezza, mentre son di cuore il tuo sincerissimo amico ».

Nonostante la suggestione del richiamo haydniano, Mozart è tutt'altro che un imitatore e riesce a dare un'impronta personale ai suoi Quartetti, raggiungendo una più intima organicità strutturale della forma, pur nella diversità delle varie voci strumentali. Tale ricchezza di idee e novità di linguaggio lasciò interdetti naturalmente i contemporanei, i quali si espressero con apprezzamenti poco favorevoli. Basta leggere, ad esempio, quanto è scritto in una recensione apparsa nel gennaio del 1787 sulla Wiener Zeitung: «Peccato che Mozart, nel lodevolissimo intento di diventare un innovatore, si sia spinto troppo lontano e non certo a vantaggio del sentimento e del cuore. I suoi nuovi Quartetti sono troppo carichi di spezie e, a lungo andare, nessun palato riesce a tollerarli». La verità è che con il passare degli anni il palato degli ascoltatori si è fatto più fine e sensibile e ha preso gusto a tali Quartetti, apprezzandone la ricchezza melodica e armonica e il profondo lirismo anticipatore di coloriture romantiche.

Per rendersi conto di come Mozart sia andato più lontano di Haydn nella invenzione e nella costruzione quartettistica è opportuno ascoltare il Quartetto in mi bemolle maggiore K. 428, composto durante l'estate del 1783 e ritenuto tra i più indicativi del nuovo stile del musicista, contrassegnato da una straordinaria eleganza e fluidità di scrittura, specie nel primo e nell'ultimo tempo, in cui l'artista sembra superare certi schematismi formali e avventurarsi in un gioco sonoro più libero e disincantato.

Ma la maturità di Mozart in questo genere di composizione si avverte nei tre Quartetti K. 575, K. 589 e K. 590, scritti tra il 1789 e il 1790 e appartenenti al gruppo dei quartetti cosiddetti prussiani, perché commissionatigli dal re Federico Guglielmo II di Prussia, che si dilettava di violoncello e aveva ospitato il musicista a Berlino e a Potsdam nella primavera del 1789. Per questa ragione in tutti e tre i lavori la parte del violoncello spicca accanto a quella del primo violino, mentre viola e secondo violino si mantengono su un piano di più contenuta discrezione. In essi, secondo Bernhard Paumgartner, «l'alto livello dei lavori contemporanei alle grandi sinfonie è costantemente mantenuto. L'approfondimento passionale e soggettivo cede alla folgorante chiarezza, all'estrema eleganza del porgere, alla sublime raffinatezza espressiva del canto e dell'armonizzazione».

Un senso di felicità creativa si sprigiona sin dal primo movimento del Quartetto K. 575, il cui tema principale così cordialmente espansivo si sviluppa tra molteplici risvolti armonici di piacevole effetto musicale. L'Andante è costruito su una frase dolcemente cantabile, sul tipo della romanza; la tessitura melodica presenta una certa analogia con i Lied per canto e pianoforte K. 476 «Das Veilchen» (La violetta), su testo di Goethe. Il Minuetto sorprende per la singolarità degli accenti ritmici, così frizzanti nella loro mutevolezza sonora. Il Trio è contrassegnato da una tenera melodia nella tessitura alta del violoncello. Il finale è un rondò il cui tema viene ampliato e variato ad ogni ripresa secondo il gusto inventivo autenticamente mozartiano. E pensare che i Quartetti prussiani erano costati tanta fatica a Mozart: lo scrisse lo stesso compositore al fedele amico Puchberg, quando, costretto dalla necessità e tormentato dalla cattiva salute, si vide costretto a cederli per una somma irrisoria di denaro all'editore Artaria di Vienna.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel trattato sull'Estetica dell'arte musicale scritto negli anni Ottanta del Settecento, ma pubblicato solo nel 1806, il teorico e musicista Christian Friedrich Daniel Schubart ordinava le diverse tonalità in un sistema di associazioni emotive. Seguendo gli esempi di una trattatistica preesistente, Schubart procedeva da alcuni principi generali in base ai quali egli distingueva tonalità "neutre", adeguate alla raffigurazione dell'innocenza e della semplicità, e tonalità "colorate". Queste ultime potevano adattarsi all'espressione di sentimenti di forza e di fierezza, se prevedevano diesis in chiave, oppure alla rappresentazione di stati d'animo particolarmente malinconici, se invece erano contrassegnate dai bemolle. Procedendo dal generale verso il particolare, Schubart trattava poi ogni singola tonalità e suggeriva associazioni di idee che, se non possono certo guadagnare la dignità di una regola, sono comunque ispirate dall'osservazione della letteratura musicale della sua epoca e rispecchiano un modo di pensare allora molto radicato. Le associazioni indicate da Schubart possono essere di aiuto per la comprensione e l'interpretazione dei brani dai quali furono motivate, possono renderne più accessibile il senso.

Nel contesto individuato da Schubart, la tonalità di re maggiore era la più brillante, ma anche quella con la quale potevano più facilmente trovar voce l'adulazione, l'inganno o la volontà di mascherare i propri sentimenti. In ambito orchestrale l'uso del re maggiore dava luogo a una particolare vivacità e si prestava all'impiego degli strumenti "da fanfara", ovvero dei corni, delle trombe e delle percussioni. Per questo era indicata per le occasioni di festa, per le cerimonie, come lo stesso Leopold Mozart scrisse al figlio Wolfgang nel 1782, con la raccomandazione di scrivere proprio in re maggiore una Serenata per la famiglia Haffner, di Salisburgo, brano che in seguito sarebbe stato trasformato nella Sinfonia K. 385. Congeniale agli strumenti ad arco a causa della posizione delle mani, la tonalità di re maggiore acquistava in ambito cameristico un tratto più ambiguo, meno unilateralmente festoso. La superficie brillante del timbro sonoro poteva lasciarsi increspare da un diverso modo di elaborazione della melodia, da un fraseggio più sinuoso e meno affermativo, portando verso la dimensione di un'espressione più intima e raccolta, più frequentemente percorsa da dubbi e ripensamenti.

Con i suoi due unici Quartetti per archi composti nella tonalità di re maggiore, Mozart percorre entrambe le strade associate a quella tonalità, in momenti che corrispondono in parallelo all'evolversi del suo linguaggio. Il primo dei due Quartetti risale al 1786, ovvero al periodo delle Nozze di Figaro e del massimo successo raccolto da Mozart a Vienna. E' il Quartetto K. 499, indicato di solito con il titolo di Quartetto Hoffmeister, dal nome dell'editore che lo pubblicò a Vienna sempre nel 1786. E' un brano dal tessuto compatto, non privo di passaggi inquieti o di efficaci sospensioni (individuate dall'uso molto intenso delle cosiddette cadenze "evitate"), ma sempre ispirato a una atmosfera di serenità e di concordia "eterea e fiabesca", come ha sostenuto lo storico Hermann Abert. Il Quartetto K. 575 è stato invece realizzato da Mozart nel 1789 e fa parte di un gruppo di tre lavori commissionati da Federico Guglielmo II di Prussia (di qui il titolo di Quartetti Prussiani). Il brano è dominato dal carattere particolarmente curato del materiale melodico, basato su idee ricche di pathos e ancora riferibili a un contesto sentimentale influenzato dalla ravvicinata composizione dell'opera Così fan tutte. Più frequente però è L'emergere di una tinta malinconica, di un'ombra tanto più insinuante ed efficace, perché ottenuta con i medesimi effetti sonori con i quali di solito si dipingevano la festa e la gaiezza. La gravitazione intorno alll'impianto del re maggiore ripropone costantemente il riflesso della propria luce e non consente mai al Quartetto K. 575 di rabbuiarsi del tutto. L'effetto malinconico deriva piuttosto dalla promessa di una bellezza che non si rivela, dalla prefigurazione di una felicità che non si ottiene, dalla tensione verso uno stato di risoluzione sempre rimesso in questione dal carattere della melodia.

Partendo dunque da una base associativa analoga, i due Quartetti ricevono dal loro autore una caratterizzazione profondamente diversa, ogni volta emblematica di un passaggio attraversato da Mozart nello svolgimento del proprio cammino artistico.

Il Quartetto K. 499 è il primo lavoro di questo genere portato a termine da Mozart dopo il "lungo e laborioso sforzo" dei sei Quartetti dedicati ad Haydn. Rispetto a questi ultimi, il Quartetto K. 499 presenta uno stile più libero e disteso, attento all'equilibrio delle parti, ma meno rigorosamente improntato all'omogeneità della scrittura strumentale. Anche l'uso del contrappunto è meno intenso rispetto a quanto avviene negli Haydn-Quartette, mentre la varietà della struttura armonica del brano sembra persino precorrere il linguaggio quartettistico di Schubert. Per tutto il brano, inoltre, è la viola lo strumento più in evidenza nel quartetto, specie quando è spinta verso la tessitura acuta, come avviene nei primi due movimenti e nel finale.

Il Quartetto K. 575 rispecchia un momento nel quale Mozart, tornato a confrontarsi con il genere della musica da eseguire "in società", culturalmente ispirata ai soggetti e agli affetti più convenzionali, abbandona, il gesto nobile e cavalleresco che aveva caratterizzato i Concerti per pianoforte e orchestra, per abbandonarsi a un tipo di espressione più intima e riservata. Secondo i desideri del committente, Mozart assegnò un ruolo di primo piano al violoncello, talvolta portato a dignità quasi solistica. Tale preminenza contribuisce a rendere più plausibile l'atmosfera ombrosa del Quartetto K. 575. Il tema di apertura è già basato su un motivo cantabile: dal tono ambivalente, dal quale vengono generati in alternanza passaggi tendenti al patetico o momenti di volitiva energia. Anche in questo caso, l'intero movimento si basa sulle varianti cui dà luogo l'elaborazione del primo tema. La medesima oscillazione espressiva e una analoga costruzione "cellulare", derivata dagli elementi melodici esposti nelle frasi di apertura, si trova anche nei movimenti successivi, compreso il finale. In questo, anzi, l'unità espressiva del Quartetto è garantita in modo particolarmente evidente dalla ricomparsa di frammenti tematici già esposti nei movimenti precedenti. Qui tuttavia la brillantezza propria della tonalità di re maggiore prende lentamente il sopravvento, a mano a mano che l'autore sviluppa uno stile contrappuntistico molto libero.

Stefano Catucci


(1) Testo tratto dal progrmma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 4 dicembre 1981
(2) Testo tratto dal progrmma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 4 febbraio 2014


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 28 giugno 2014