Il Quartetto in do maggiore K. 465 chiude il celebre gruppo di sei che Mozart dedicò a Haydn. Della soddisfazione dimostratagli dal dedicatario egli accennò nell'espansivo indirizzo in italiano anteposto alla prima edizione; dei modi in cui si era espresso aveva riferito Leopold Mozart in una lettera del 13 febbraio 1785 alla figlia Nannerl ove citava le parole rivoltegli dall'anziano maestro dopo avere ascoltato i tre ultimi Quartetti: «suo figlio è il più grande compositore ch'io conosca di persona e di fama - ha gusto e soprattutto la più grande scienza della composizione».
Ora, tutto ciò cade opportuno ricordare specie a proposito del sesto della serie, tante furono invece le perplessità e lo scandalo che il suo Adagio introduttivo suscitò dall'uscita alle stampe e ancora a lungo nell'Ottocento persino presso i più fanatici mozartiani, guadagnando all'intero Quartetto il denominativo di «Quartetto delle dissonanze».
L'arditezza dei rapporti armonici, istituiti dalla frase che il primo violino ripete al principio, sussiste innegabile: tale anzi da considerarla oggi tra le prove della modernità di Mozart. Senonchè una lettura orizzontale, ossia contrappuntistica della pagina oltre a fornire la chiave del brano, permette altresì di intravedere l'intento di un altro omaggio. Quello all'antica dottrina tedesca simbolizzata da Bach, che a Mozart quanto a Haydn era stata rivelata in Vienna dalle predilezioni del barone van Swieten appena pochi anni prima del 1785. Infatti proporre al dedicatario l'intelligenza di «segreti sensi» ermetici ad altri, non si limita nell'introduzione al sesto Quartetto all'introdurre per il moto delle parti intervalli allora proibiti dalla sintassi armonica. Mentre il brano si orienta gradualmente nei binari delle relazioni ammesse, l'incurvatura ascendente della frase incriminata ha pure anticipato il profilo del primo tema dell'Allegro. A sua volta un primo tempo brioso e limpido come pochi altri, e nondimeno volto a testimoniare l'attualità del contrappunto nei termini del «gusto» settecentesco, largamente alimentandosi del gioco delle imitazioni cui da luogo quel primo tema.
Segue l'Andante cantabile che lo Jahn giudicherà il migliore dei movimenti lenti quartettistici di Mozart per «bellezza e finezza di forma, profondità e intensità d'espressione», e dove il canto permea il discorso dei quattro strumenti avanti di espandersi con la nuova frase affidata al primo violino poco innanzi l'epìlogo. Ma anche gli altri due tempi rivelano un impegno particolare.
Nel Minuetto,
articolato come un tempo di sonata, l'eleganza leggera della prima
proposizione, rettificata dalle risolute risposte all'unisono, domina
alla fine, in contrasto col Trio su cui si allunga l'ombra di
una patetica tristezza. E il Finale
s'apparenta al primo Allegro
nell'offrire un'altra prova dell'arte inimitabile di associare sapienza
e naturalezza; probabilmente appunto la particolare Kompositionwissenschaft
elogiata da Haydn. Considerevolmente esteso, salvo a mascherare le
proporzioni col veloce andamento, questo Allegro molto
riserva all'ascoltatore più di un'affascinante imprevisto,
come l'ambientazione in mi
bemolle maggiore per la comparsa del terzo tema
nella prima parte; il grande sviluppo modulante che segue a una pausa
improvvisa, avviato sull'inciso iniziale del primo tema; la ricchezza
di deduzioni con cui violino e violoncello variano la ripresa, dapprima
identica all'esposizione ma in un'altra tonalità inattesa:
il la bemolle maggiore
in luogo della tonica. Nella coda infine la rassomiglianza con un
epilogo di opera buffa è evidente, altrettanto del carattere
quartettistico cui riporta la perorazione conclusiva.
Emilia Zanetti
Doveva trascorrere quasi un decennio prima che Haydn tornasse al quartetto per archi; la raccolta dei sei Quartetti "russi" op. 33, apparsa nel 1781, fu scritta, secondo le stesse parole dell'autore «in uno stile particolare e completamente nuovo» (vale a dire quel particolare stile "obbligato e concertante"). Il 1781 è anche l'anno in cui Mozart abbandona Salisburgo per Vienna. I rapporti personali fra i due autori ebbero inizio certamente durante uno dei soggiorni di Haydn nella capitale, anche se in un momento imprecisabile, e furono immediatamente improntati a una profonda stima reciproca; in pratica, come attestano vari documenti, ciascuno dei due reputava l'altro il più grande compositore vivente. Sono testimoniate varie sedute quartettistiche, in cui Haydn suonava il violino (forse il secondo violino) e Mozart la viola; e certo non estranea al rapporto di intimità fu la comune adesione alla massoneria.
Non è certo casuale che, per testimoniare stima ed
amicizia ad Haydn, Mozart abbia deciso di dedicargli proprio i sei
nuovi Quartetti
nati fra il dicembre 1782 e il gennaio 1785, con una celebre lettera
redatta in lingua italiana (la lingua a cui Mozart ricorreva per le
dichiarazioni più solenni, sincere e confidenziali):
Traspaiono, nella lettera di Mozart, il tono quasi di venerazione verso Haydn e insieme il significato del tutto particolare attribuito alle composizioni. Mozart intendeva rendere omaggio non solo ad Haydn, ma allo stile quartettistico forgiato da Haydn. In sostanza, se il gruppo dei sei Quartetti per archi dedicati a Haydn costituisce il momento centrale e culminante della produzione quartettistica mozartiana, questa raccolta, insieme ai Quartetti "russi" di Haydn, segna un momento cruciale nella storia del quartetto per archi: quello della compiuta definizione della scrittura quartettistica peculiare e quintessenziale dello stile classico.
Il Quartetto K. 465 chiude il ciclo dei sei dedicati a Haydn, e esemplifica mirabilmente la distanza del mondo espressivo mozartiano da quello dell'autore più anziano, la personalissima consapevolezza impiegata nel guardare al modello dei Quartetti "russi". Mozart evita il gusto popolare così caro ad Haydn, e al razionalismo haydniano preferisce un materiale melodico di impronta più dotta, un contenuto armonico più spregiudicato, una elaborazione contrappuntistica segnata dallo studio recente delle opere di Bach e Händel. Non a caso le reazioni dei contemporanei nell'accogliere la nuova pubblicazione furono di sconcerto e scetticismo; l'accusa di lasciar prevalere la tecnica sul «cuore», di servire troppo «condimento» può oggi far sorridere, ma era all'epoca la risposta più diffusa alla complessità di scrittura e di pensiero delle partiture mozartiane.
Il soprannome di Quartetto "delle dissonanze" è dovuto all'introduzione lenta della partitura (l'unica dei Quartetti "Haydn"); l'arditissimo piano tonale delle ventidue battute introduttive ha stimolato, ancora nel secolo scorso, le correzioni di zelanti censori. Ciò nonostante dopo la tensione espressiva dell'introduzione il brano privilegia un'ambientazione più spensierata e una logica di contrasti quasi teatrale; forte è il contrasto con gli schietti spunti tematici dell'Allegro che costituisce il primo movimento, espressivamente appena turbato nello sviluppo.
L'Andante cantabile, di impostazione contemplativa, si affida prevalentemente a tre schemi di scrittura: la guida melodica del primo violino, il dialogo serrato fra violino e violoncello, l'accompagnamento ostinato del violoncello con interventi successivi delle voci superiori. Al Minuetto, con i gustosi scarti dinamici e il fraseggio cromatico, si oppone un agitato Trio in minore. Ma l'intero Quartetto gravita verso il Finale, una pagina di eccezionale ampiezza in forma sonata, dove è particolarmente evidente la traccia dell'esempio haydniano; Mozart vi sfoggia tutte le risorse del nuovo stile di scrittura, piegando duttilmente il fraseggio arguto del primo violino, i calibrati giochi di imitazione, l'incisività ritmica e gli improvvisi silenzi, verso un contenuto di brillante umorismo.
Arrigo Quattrocchi
Questo Quartetto, datato 15 gennaio 1785, è divenuto celebre col soprannome di Quartetto «delle dissonanze» a causa della serie di false relazioni radunate nell'introduzione lenta (Adagio) con cui esordisce: sotto otto battute di «tatonnement» armonico che sconcertarono i contemporanei (Haydn, con fine diplomazia, disse che se lo aveva scritto Mozart andava bene così) e sollecitarono i puristi dell'Ottocento (Fétis, Ulibischeff) a mortificanti correzioni. In realtà, dietro questa scura introduzione che approda a un luminoso e aereo tema in do maggiore nell'Allegro, sta un motivo tipicamente illuminista, quello del trionfo dell'ordine e della ragione sul «caos». Un «Caos» aveva anche aperto la «erezione» di Haydn, ma è pagina dalle fattezze armonico-melodiche ben riconoscibili, priva di quel turbamento della musica in sé attivo nell'introduzione mozartiana e che sarà raccolto con evidente riferimento da Beethoven nell'apertura del Quartetto op. 59 n. 3.
Tutto il Quartetto K. 465 sembra allontanarsi dal mistero dell'Adagio introduttivo verso un mondo di operosità, di fiducia e di solidarietà; specie il primo tempo, col suo tema principale, animato come dice il Saint-Foix da «una specie di potere ascensionale che lo rende, in certo modo, più leggero che l'aria», ma allo stesso tempo tale da soddisfare, in sviluppi, imitazioni, sovrapposizioni la voracità combinatoria del genio mozartiano. In una idea dell'Andante cantabile in fa maggiore, quando il violoncello pare frugare nel registro basso con un disegno «ostinato», sembra rievocato il polo notturno e inquieto dell'introduzione; ed anche il Trio del Minuetto, in do minore, è tutto percorso da salti tempestosi che avranno ampio sviluppo nella prima scena del «Flauto Magico»; ma il clima di fiduciosa serenità domina sia l'Andante sia il Minuetto, trovando poi un coronamento nel finale, la cui superba bellezza ha un riscontro solo nel finale della Sinfonia «Jupiter».
Giorgio Pestelli