Quartetto per archi n. 11 in mi bemolle maggiore, K 171


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Adagio. Allegro assai (mi bemolle maggiore)
  2. Minuetto (mi bemolle maggiore)
  3. Andante (do minore)
  4. Allegro assai (mi bemolle maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, agosto, 1773
Edizione: Andrè, Offenbach, 1801
Guida all'ascolto (nota 1)

Il quarto quartetto, K 171, in mi bemolle maggiore, desta spesso il massimo stupore, sgomento perfino:

Il culmine del disorientamento viene raggiunto nel Quartetto K 171, aperto da un adagio (dove ci si imbatte in un inciso che ritroveremo nel tema principale dell'«Andante» della Sinfonia in sol minore K 550) cui fa seguito un allegro assai che avanza tentoni tra procedimenti sonatistici e conati polifonici mal combinati e si conclude con una ripresa dell'introduzione lenta. Vengono poi un minuetto e trio, entrambi con spunti canonici; un andante in do minore, esumazione letterale delle spoglie irrigidite di un'antica sonata a tre, con tanto di "continuo"; e, per concludere nel più incongruo e stravagante dei modi, un disinvolto finale in ritmo ternario da sinfonia italiana. (Giovanni Carli Ballola)

Il vecchio e il nuovo, la stentata polifonia e i procedimenti sonatistici e il giovane Mozart stretto tra le due vie, incerto, insicuro. I due mesi di questa estate viennese diventano allora un momento decisivo per la sedimentazione e la metamorfosi delle alchimie compositive. Molti reagenti colmano le sue provette, qualche esperimento funziona, altri meno, ma sono proprio questi quartetti a farci comprendere il bivio di fronte al quale Mozart si è trovato, con ben maggiore consapevolezza rispetto al recente periodo milanese: crescere o fermarsi, assecondare le regole o provare a forzarle. Cogliere i tentennamenti, le soluzioni frettolose e meno ispirate è perfino più utile, ora, che segnalare gli esiti già convincenti.

In modo analogo Mozart, durante il soggiorno a Londra del 1765, si era confrontato con alcune sonate di Johann Christian Bach dando vita ai Tre concerti per pianoforte K 107, messi a punto a Salisburgo nel 1771 e molto influenzati nell'alternanza tra solista e orchestra e nel rilievo dato alle cadenze dalla struttura dell'aria d'opera, come nota Charles Rosen.

L'inciso, all'unisono, che apre l'introduzione «Adagio» del K 171, in mi bemolle maggiore, ha una gravità rituale - fosse il Flauto magico diremmo massonica - e il suo procedere è ben risolto nelle battute di transito verso l'«Allegro assai», con la successione sempre piano delle entrate a canone dei quattro strumenti, che mantengono il passo lento e solenne prima che da quelle ombre si esca, però in modo non imperioso: se si attendeva lo scatto netto, contrastante - come avverrà nell'analogo passaggio «Adagio-Allegro» del Quartetto K 465 - si resta delusi; se si pensa che debba invece persistere un'eco di quell'avvio anche nell'affermarsi del tema dell'«Allegro», allora si apprezzerà la coerenza. Che dura poco, perché poi Mozart cerca un tema vivace per caratterizzare il movimento e lo trova solo in parte, prima di sorprenderci con la decisione di riprendere, in coda, il motivo iniziale dell'«Adagio». Una scelta irrituale, perché frena del tutto il dinamismo dell'«Allegro», come se la memoria di quell'inizio si fosse imposta, obbligando a non dimenticare. Ma non scrivi, nell'«Adagio», un tema così scolpito per asciarlo vivere una volta sola: è forse questo il passaggio più profondamente singolare dei sei Quartetti viennesi.

Il «Menuetto», e, al suo interno, il trio, è inquieto di incisi: due per il minuetto, con l'efficace soluzione di legare le prime due note della sestina per accentuare l'effetto di spinta iniziale, e due per il trio, che cambia la tonalità da mi bemolle maggiore a la bemolle maggiore. Il passo è, insieme, regolare e teso e, nel trio, l'atmosfera si distende come in un canto operistico, puntato e vivace. Gli «spunti canonici» sono riconoscibili, e non troppo sviluppati, ma dentro la regolarità del canone vive la sensibilità per il ritmo, per l'alternanza di piano e forte, per i frequenti cambi dell'articolazione della frase.

L«Andante» è prescritto con sordino, come il precedente «Andante» del K 168. E Mozart sceglie ancora una tonalità minore: lì fa minore, qui do minore. Il passo ritorna grave, in una scrittura polifonica, però divisa: primo violino e violoncello, secondo e viola, primo e secondo, viola e violoncello in un ordine che mantiene costante quel procedere quasi immobile, come scolpito nel marmo solenne della classicità, e sufficientemene esteso perché entri e persista nella memoria dell'ascolto. Ma non è un cammino irreggimentato: ognuno dei quattro viandanti segue la mesta traiettoria con un proprio passo. Non «spoglie irrigidite», soltanto spoglie, e cordoglio.

Due i temi dell'«Allegro assai» conclusivo: strappato il primo, con quell'idea, molto teatrale, di iniziare piano e poi subito prescrivere un trillo, un gioco di pause, un secondo trillo, e il forte di tutti alla quinta battuta. Poi tre battute di veloci sestine, poi di nuovo la rarefazione della scrittura. E si prosegue in questa alternanza, che crea tensione e attesa, fino all'emergere del secondo tema, più brillante. Dopo l'esposizione il motivo iniziale viene ripreso. Ancora una volta, non sono le idee a mancare, piuttosto la loro articolazione, il loro sviluppo. Nel finale Mozart ripropone la sequenza iniziale di piano-trillo-pausa-trillo-forte e la riprende anche nelle ultime tre battute: piano-trillo-pausa. Ma l'«Allegro assai» finisce lasciando la sensazione che ci sia ancora qualcosa da scrivere, da suonare, da ascoltare.

Sandro Cappelletto


(1) Sandro Cappelletto, I quartetti per archi di Mozart. Il Saggiatore s.r.l., Milano 2016, pp. 92 - 95


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Ultimo aggiornamento 1 maggio 2016