Quartetto per archi n. 9 in la maggiore, K 169


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Molto Allegro (la maggiore)
  2. Andante (re maggiore)
  3. Minuetto (la maggiore)
  4. Rondò. Allegro (la maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, agosto 1773
Edizione: Andrè, Offenbach, 1801
Guida all'ascolto (nota 1)

Il «Molto allegro» che apre il Quartetto in la maggiore, K 169, si propone in modo perentorio, con un festoso forte, seguito dalla vispa frase ascendente, scandita da tre quartine di semicrome affidate al primo violino, e subito riprese, ma in forma discendente, dal secondo violino: questo scambio veloce, giocoso, viene interrotto da un secondo tema, piano, liricamente più disteso, detto da secondo violino e viola, però presto dimenticato, sopraffatto dall'impeto iniziale. Dopo il da capo, ecco una terza idea, breve e marcata come un motto, che si dispiega tra le quattro voci, acquistando un respiro sinfonico, una nuova ampiezza di racconto, che presto si annebbia. Invenzione o artificio? Entrambi, assieme alla difficoltà, forse alla non volontà, di approfondire gli spunti, le possibilità combinatorie offerte dal materiale di partenza. Come se in ognuno di questi quartetti convivessero due intenzioni parallele - l'esercizio, portato a termine con diligenza, anche velocemente, e il momento più personale - e fosse a questo secondo aspetto che Mozart dedica più attenzione, più cura, però saltuariamente. Frequente è anche la presenza di passaggi asimmetrici, non prevedibili, che spezzano la regolarità dell'andamento; può essere una pausa, un'attesa, un cambio netto di intensità del suono, una riesposizione del tema più lunga dell'esposizione. Forme retoriche necessarie alla comunicazione della musica strumentale che ad altre risorse - canto, gesti, scene, costumi, luci, esplicita teatralità - non ha accesso, e nelle quali Haydn era assai esperto, nella musica da camera come in quella sinfonica.

È sufficiente dare un'occhiata alla prima pagina di questo «Andante» di Mozart per riconoscervi un'imitazione diretta degli andanti o adagi di Haydn nei suoi quartetti dell'opera XVII [pubblicati nel 1771, un anno prima dell'opera XX, e sicuramente conosciuti da Mozart]; stesso canto del primo violino, molto ampio e con un'espressione molto precisa, stesso accompagnamento del secondo violino e della viola (si veda per esempio il «Largo» del Quartetto in re di Haydn, il numero 6) sotto il quale il basso fa ascoltare talvolta una figura indipendente; stessa maniera di ripartire il canto in due couplets o due strofe distinte, che equivarrebbero in definitiva a due soggetti, se, sotto la diversità di questo canto, l'accompagnamento non proseguisse esattamente simile. E Mozart, per meglio accentuare la separazione di questi due couplets, immagina di introdurre tra loro, del tutto inopinatamente, una battuta intera di silenzio. Così ci troviamo in presenza di un pezzo evidentemente ispirato dai quartetti di Haydn e d'altra parte sufficientemente originale sotto questa forma presa a prestito, con le belle modulazioni espressive dell'accompagnamento continuo del secondo violino e della viola in terzine. (Teodor de Wyzewa e Georges de Saint-Foix )

Il rapporto tra esempio da imitare e ricerca di una via propria appare evidente nell'«Andante» del K 169.

Quella «battuta intera di silenzio» fa la differenza: è il precoce e infallibile senso di Mozart per il teatro. Intermezzi, opere, Singspiel, serenate, azioni teatrali ne aveva già alle spalle parecchi nell'estate del 1773 (Apollo et Hyacinthus, Bastiano e Bastiona, La finta semplice, Mitridate, re di Ponto, Ascanio in Alba, Il sogno di Scipione, Lucio Silla) e quella sospensione è un sipario che si chiude perché un altro si apra: su una scena diversa, contemplata però dallo sguardo dello stesso protagonista, il primo violino. Un'idea non prescritta, non ovvia, preceduta da uno strategico rallentando che crea attesa, e seguita da una battuta forte alla quale tutti e quattro partecipano. Un'affermazione, una presa di posizione, subito attraversata dalla dolcezza inquieta di un souvenir, dal ritorno del piano, poi di nuovo da quell'inseguirsi delle terzine: il piacere del ricordo e l'urgenza del cammino, il desiderio di sostare e l'esigenza di proseguire.

Una risorsa usata una prima e una seconda volta, senza però che si apra, dopo la seconda, un nuovo scenario, o che il precedente venga approfondito. Inizia invece un episodio incerto, prima che ritorni il tema d'avvio, così marcato e ricco di potenzialità, così scandito, tuttavia, da quelle terzine insistite, esageratamente eguali, che precedono una codetta non drammatica, come il carattere del movimento consentirebbe, ma neppure sognante, e che lentamente si avvia verso un finale anche troppo preparato, distante dallo spirito iniziale del movimento.

Potenzialità e limiti: affascina questo modo di procedere di Mozart, alle prese non soltanto con il proprio periodo di formazione, ma con un genere compositivo giovane, dal quale rimane sedotto, che impara a conoscere, ad approfondire, cercando di incanalarvi molteplici suggestioni e spunti. E senza una commissione, o la previsione di un esito editoriale e commerciale. Ma negli anni settanta del Settecento è imprescindibile comporre quartetti. Leopold e Wolfgang lo sanno; se Leopold desiste, non si cimenta (tra i suoi lavori cameristici non figura un solo quartetto), il figlio non può sottrarsi e il padre sovrintende. I compositori di area centroeuropea e francese continueranno a scrivere quartetti anche nelle generazioni successive; noi italiani invece, con inesorabile progressione, ne limiteremo sempre più la quantità e la qualità, a causa del prevalere pressoché monopolistico, nel nostro mercato della musica e nel nostro gusto, del melodramma. Così la musica da camera sarà troppo a lungo confinata ai margini delle consuetudini prevalenti dei nostri compositori, del pubblico, degli editori.

Ma torniamo al K 169. Il «Menuetto» scorre via tra un passo cadenzato e le veloci terzine sovracute del primo violino che in modo non ortodosso, come fosse un gesto ironico, ne ravvivano l'andamento e passano poi alle altre voci. Il minuetto è espressione caratterizzante dell'estetica musicale settecentesca, del suo ideale di garbo e di educate mezze tinte: qui si sussurra, non si grida. Ma per non venire inghiottiti dal prevedibile e dal ripetitivo - rischio che per le nostre orecchie tumefatte dal suono e ansiose di oggi si annida in ogni da capo - è previsto che il trio venga inserito prima della ripresa del minuetto, per variarne il tempo, il respiro, per distrarre. Però questo trio distrae poco: tutto si svolge e si conclude in poche battute - 16, divise in due periodi di 8 - e non è sufficiente una modulazione in mi maggiore per portare elementi davvero nuovi in quella frase dove a ogni nota corrisponde una pausa di analoga durata, quasi a indicare un andamento zoppicante: una trovata, ma che non emoziona. Poi, minuetto da capo, quindi fine, per lasciar fare il suo ingresso al rondò conclusivo, in tempo allegro. Il motivo iniziale, ancora una volta affidato al primo violino, ritorna «senza complicazioni di struttura, e a un breve tema ricorrente alterna tre episodi, di cui il secondo in minore, nessuno con caratteri di originale rilievo». (Massimo Mila)

Sandro Cappelletto


(1) Sandro Cappelletto, I quartetti per archi di Mozart. Il Saggiatore s.r.l., Milano 2016, pp. 83 - 85


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Ultimo aggiornamento 25 aprile 2016