Mia speranza adorata... Ah, non sai, qual pena, K 416

Recitativo ed aria in si bemolle maggiore per soprano ed orchestra

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
Testo: Abate Gaetano Sertor
  1. Mia speranza adorata - recitativo - Andante (sol minore). Adagio. Allegretto. Andante. Allegro assai. Adagio
  2. Ah, non sai, qual pena - rondò - Andante sostenuto (si bemolle maggiore). Allegro assai
Organico: soprano, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Composizione: Vienna, 8 gennaio 1783
Prima esecuzione: Vienna, Burgtheater, 11 gennaio 1783
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1805

Scritta per il soprano Aloysia Weber-Lange

Aria sostitutiva per l'opera Zemira di Pasquale Anfossi
Guida all'ascolto (nota 1)

Il catalogo di Mozart comprende un numero singolarmente alto di arie isolate: oltre cinquanta, in un arco temporale che abbraccia tutta la vita del compositore. Quasi tutte sono su testo italiano e rispondono fondamentalmente a due tipi: l'aria da concerto e l'aria sostitutiva. Non che questi due tipi di aria sortissero, nell'insieme, dei risultati radicalmente differenti sotto il profilo musicale; diversi erano però i contesti produttivi entro cui si sviluppavano le differenti tipologie.

L'aria da concerto veniva scritta in genere dietro commissione diretta di qualche cantante, per essere eseguita all'interno di una "accademia", nome che veniva dato ai lunghissimi concerti che, secondo l'uso dell'epoca, alternavano diversi esecutori e diversi generi compositivi. La presenza di qualche importante solista di canto vi era frequente, ed è ovvio che il virtuoso dovesse figurare al meglio delle sue possibilità, mettendo in mostra tutte le risorse della propria tecnica.

Più complessa la nascita delle arie sostitutive, di origine teatrale, legate a un sistema produttivo incentrato principalmente sulla figura del cantante. Il passaggio di un'opera da una piazza teatrale a un'altra comportava il suo adattamento alla situazione contingente, alle nuove esigenze di una differente compagnia di canto. Senza la piena affermazione dei cantanti disponibili nella compagnia il successo dell'opera non era assicurato, con disdoro degli artisti e dell'impresario che lautamente li remunerava.

Da qui nasceva la prassi - considerata all'epoca del tutto legittima, con buona pace dei sempre vigili cultori dell'unità dell'opera d'arte - di inserire all'interno di un'opera vecchia un'aria nuova, confezionata su misura per il virtuoso disponibile sulla piazza. Lo stesso Mozart si adeguò in più occasioni disciplinatamente a tale prassi, ad esempio per il Don Giovanni, opera che, nata a Praga nel 1787, venne arricchita l'anno seguente a Vienna di nuove pagine: l'aria «Dalla sua pace» e il duetto «Per quelle tue manine» che compensavano gli interpreti di Don Ottavio e Leporello della soppressione delle arie «Il mio tesoro» e «Ah pietà signori miei» (venne aggiunta inoltre l'aria «Mi tradì quell'alma ingrata» per Elvira).

In mancanza dell'autore della vecchia opera nella nuova città, a operare gli indispensabili aggiustamenti provvedeva qualche compositore locale; il quale era ovviamente tenuto in primo luogo a venire incontro a tutte le esigenze ed i capricci dei nuovi virtuosi. Mozart non disdegnò in più occasioni di fornire nuova musica per opere di compositori di moda, allora più rinomati di lui, come Cimarosa, Paisiello, Pasquale Anfossi, Vicente Martin y Soler. Difficile valutare se il compositore si sia sforzato in queste occasioni di rientrare appieno nel contesto drammatico dell'opera; certamente le pagine pensate come "sostitutive" non differiscono molto nell'impostazione dalle arie da concerto; in entrambi i casi l'obiettivo era quello di valorizzare al massimo i mezzi vocali, il gusto, le propensioni del cantante destinatario.

Delle tre arie in programma nel concerto odierno le prime due - «Popoli di Tessaglia», - «Io non chiedo eterni Dei» K. 316/300b; e «Mia speranza adorata», «Ah non sai qual pena» K. 416 - nacquero come arie da concerto, mentre la terza - «Vorrei spiegarvi, oh Dio» K. 418 - nacque invece come aria sostitutiva. Tutti e tre i brani furono pensati però "su misura" per i mezzi straordinari di una virtuosa che giocò un ruolo non episodico nella vita personale e professionale del compositore, Aloysia Weber, poi maritata Lange.

Mozart conobbe Aloysia sul finire del 1777 a Mannheim, prima importante tappa del lungo viaggio che avrebbe portato il compositore ventiduenne a Parigi. Figlia di un copista di musica, Aloysia aveva sedici anni ed era già una cantante perfettamente formata. Fra i due sbocciò una passione, sembra, ricambiata; Mozart decise di portare Aloysia in Italia per farla diventare una prima donna e scrisse questa sua intenzione al padre, rimasto a Salisburgo, causandone le ire. L'autorità paterna ebbe la meglio e il giovane parti per Parigi sotto il controllo della madre. Di ritorno dalla deludente - per i risultati professionali - e dolorosa - per la morte della madre - esperienza parigina, Mozart si fermò a Monaco nel dicembre 1778, per ritrovare Aloysia; ma la virtuosa aveva ormai altre ambizioni, e trattò con sostanziale freddezza quello spasimante che non era in grado di garantirle una adeguata carriera. Aloysia sposò nel 1780 un attore della corte viennese, Joseph Lange, e i divenne una autentica star della capitale dell'impero; Mozart sposò invece la sorella di Aloysia, Constanze; logico che i rapporti con quella che era nel frattempo divenuta sua cognata avessero frequenti risvolti professionali.

Tutte queste vicende sono, d'altronde, notissime; e non varrebbe la pena di ricordarle se non aiutassero a spiegare la nascita delle tre arie K. 316, 416 e 418.

La scena e aria «Mia speranza adorata - Ah non sai qual pena sia» - è su testo di Gaetano Sertor, scritto in origine per la Zemira di Anfiossi; la situazione è quella dell'eroe Gandarte che si separa dalla sua sposa. Mozart terminò quest'aria il 19 gennaio 1783 perché Aloysia la potesse cantare, tre giorni più tardi, in una grande accademia presso il Mehlmarkt, il nuovo mercato. Aloysia la cantò ancora il 23 marzo in una accademia organizzata da Mozart al Burgtheater, e poi l'11 novembre 1795, in un concerto organizzato dalla sorella Constanze, ormai vedova, per raccogliere fondi. Dopo un variato recitativo, formalmente ci troviamo di fronte a un rondò, in cui il tenero motivo iniziale - che funge da refrain - viene riproposto ogni volta con crescenti difficoltà tecniche (fino a toccare il fa sovracuto), ed alternato a diverse situazioni espressive; l'Allegro assai che conclude l'aria viene ancora interrotto dal motivo del refrain; è qui soprattutto che troviamo la voce del soprano impegnata nel cimento virtuosistico, ma l'aria finisce poi con semplicità e in pianissimo, rifuggendo da troppo facili concessioni plateali.

Testo

GENDARTE

Mia speranza adorata!
Ah troppo è a noi l'ira del ciel funesta!
L'ultima volta è questa
ch'io ti stringo al mio seno! Anima mia,
io più non ti vedrò. Deh tu l'assisti,
tu per me la consoli. Addio Zemira,
ricordati di me! Senti... che vedo,
tu piangi, o mio tesoro! Oh, quanto accresce
quel pianto il mio martiri
Chi provò mai stato peggior del mio!
Addio per sempre, amata sposa, addio!

Ah, non sai qual pena sia
il doverti, oh Dio, lasciar;
ma quel pianto, anima mia,
fa più grave il mio penar.

Deh, mi lascia! Oh fier momento!
Cara sposa! Ah, ch'io mi sento
per l'affanno il cor mancar.

A quai barbare vicende
mi serbaste, avversi Dei
Dite voi, se i casi miei
non son degni di pietà!

(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 23 febbraio 1997


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Ultimo aggiornamento 16 gennaio 2015