Concerto per flauto ed arpa in do maggiore, K1 299 (K6 297c)


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro (do maggiore)
  2. Andantino (fa maggiore)
  3. Rondò. Allegro (do maggiore)
Organico: flauto, arpa, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Parigi, aprile 1778
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1881
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Questo concerto venne scritto per il duca di Guines, già ambasciatore francese a Londra e grande appassionato di musica e suonatore di flauto egli stesso, e per sua figlia, suonatrice di arpa e allieva in composizione di Mozart («non ha idee, non viene fuori nulla», «è sinceramente stupida e pigra» furono i commenti di Wolfgang al padre Leopold).

Il Concerto è uno straordinario esempio di musica di società: Mozart si concentrò prevalentemente sulla ricchezza e sulla disposizione delle idee tematiche, più che sulla sua struttura formale. È certo inoltre che le parti dei solisti furono composte «su misura» per il duca di Guines e per la figlia, che erano, lo ricordiamo ancora, musicisti dilettanti.

L'Esposizione orchestrale del primo movimento, Allegro, è molto ricca di spunti tematici assai diversi fra loro, a partire dal primo tema che sfrutta un procedimento molto caro al Mozart di quegli anni: un «motto» a piena orchestra basato sulle note dell'armonia di tonica e una delicata risposta affidata ad archi e oboi; col secondo tema, introdotto da due lunghe note dei corni, entriamo invece in pieno clima «galante». L'ingresso dei solisti conferisce al discorso mozartiano una dimensione più dialogante, quasi cameristica: flauto e arpa, alternativamente, conducono la melodia, la accompagnano, si inseguono intrecciando le proprie linee melodiche. La modulazione canonica alla dominante introduce un nuovo tema, riservato esclusivamente ai solisti, secondo un procedimento molto diffuso nei concerti di Mozart. Lo Sviluppo (definito dall'Abert sviluppo-fantasia) predilige il momento lirico a quello elaborativo e, sfruttando ancora una volta il dialogo fra i due solisti, si basa quasi interamente su un nuovo motivo in tonalità minore presentato dal flauto. La Ripresa non presenta anomalie e ripropone il materiale dell'Esposizione mutandone però l'ordine di apparizione, come Mozart spesso amava fare.

Nell'Andantino centrale, in forma bipartita, l'orchestra viene snellita con l'esclusione di oboi e corni: la divisione centrale delle viole, inoltre, contribuisce alla creazione di un impasto timbrico caldo e seducente. Il tema principale, che affascina subito con l'intensa frase discendente dei violini, viene subito ripetuto dai solisti che lo rendono ancor più interessante (melodia raddoppiata all'ottava alta dal flauto e arpeggi dell'arpa). I successivi episodi sono affidati ai solisti che li conducono sempre in dialogo secondo il modello che vede alternarsi le «proposte» del flauto alle «risposte», spesso variate, dell'arpa. La seconda parte è di fatto una ripresa fedele, tutta nella tonalità d'impianto, della prima; spicca soltanto, al termine della cadenza dei solisti, la ripresa conclusiva del tema principale che con le sue quattro apparizioni assume il ruolo di un vero e proprio «ritornello».

L'Allegro è in forma di rondò-sonata, ovvero una forma-sonata nella quale il tema principale fa anche da ritornello (refrain), riapparendo prima dello Sviluppo e in conclusione di movimento. Il suo tema principale, semplice e spensierato, verrà ripreso da Mozart, con qualche variazione, nella romanza della famosa serenata Eine Kleine Nachtmusik K. 525. All'Esposizione orchestrale fa seguito quella dei solisti che, come sempre in questi casi, è più ricca e articolata: anche qui domina comunque quello «spirito dialogante» che avevamo osservato nei due movimenti precedenti. Numerosi sono gli spunti tematici nuovi, che si combinano abilmente con le sezioni cadenzanti già udite nell'Esposizione orchestrale dando vita a un discorso musicale piacevole, scorrevole e disinvolto (si potrebbe qui parlare di «musica da salotto» di altissimo livello). Lo Sviluppo, alla sottodominante, presenta un tema nuovo, l'elaborazione di un motivo precedente e la ripresa del tema principale in tonalità minore che ha quasi il sapore di una «falsa ripresa», dal momento che la Ripresa vera e propria compare subito dopo ma non col primo tema. Dovremo aspettare la cadenza dei solisti per riascoltare il refrain di flauto e arpa, che assume ora il tono di un simpatico commiato.

Alessandro De Bei

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

A Parigi, ultima tappa del suo ultimo grande viaggio, Mozart sperava di ottenere la consacrazione a compositore di fama europea e invece incontrò soltanto indifferenza. L'accoglienza che Parigi gli aveva riservato quattordici anni prima lo aveva illuso: allora - nel 1763-1764 - era un fanciullo prodigio conteso e vezzeggiato nei salotti dell'aristocrazia, adesso - nel 1778 - è un giovane di ventidue anni e non costituisce più un'attrazione, una curiosità, ma deve imporsi sulla concorrenza dei tanti musicisti di grido che da tutta l'Europa convergono a Parigi. Certamente non mancavano a Mozart le qualità per lottare ad armi pari con i suoi "colleghi" e per affermarsi, ma - come il barone Grimm scrisse a Leopold Mozart - avrebbe ottenuto migliori risultati con metà del talento e il doppio di abilità. Per di più i parigini erano distratti dalla querelle fra i sostenitori di Gluck e quelli di Piccinni e non avevano tempo per quel giovane venuto da una piccola città austriaca. Mozart ripagò i parigini con eguale moneta: considerava con un senso di malcelata superiorità la musica e il gusto francesi e si disinteressò ostentatamente di quella querelle, che invece gli ambienti parigini consideravano di capitale importanza.

Non gli mancarono comunque le commissioni, sebbene non tanto importanti quanto Mozart sperava lasciando Salisburgo per Parigi: una sua sinfonia scritta per i "Concerts spirituels" fu però accolta con entusiasmo e ripresa numerose volte. Minori soddisfazioni doveva dargli il Concerto in do maggiore K. 299 (297c) per flauto, arpa e orchestra: incontrò perfino difficoltà a farsi pagare il compenso pattuito.

L'organico così insolito di questo concerto nasceva da una precisa richiesta del duca di Guines, che lo eseguì insieme alla figlia in un concerto privato. A questo riguardo Mozart scrisse, in una lettera ai padre: «II Duca suona il flauto in modo straordinario e sua figlia, a cui insegno composizione, suona l'arpa magnifique: ha un grande talento, perfino del genio, e ha per di più una memoria straordinaria, in quanto suona tutto a mente e conosce un paio di centinaia di pezzi». Ma quest'entusiasmo passò presto e in una lettera di poco successiva, riferendo che la sua allieva si era fidanzata e che non avrebbe continuato le lezioni, Mozart commentò: «Non è un gran dispiacere, parola d'onore!». Quanto al duca, ecco quel che ne disse, quando si vide negare il saldo nel suo onorario: «II Signor Duca non ha un briciolo d'onore in corpo! Certamente pensava: Questo è un giovanotto e inoltre uno stupido tedesco (come tutti i francesi dicono dei tedeschi) e certamente sarà contento egualmente».

Al momento di accingersi a comporre il Concerto, Mozart era - come abbiamo visto - in una situazione psicologica molto più positiva, tanto che si dimenticò della scarsa simpatia che aveva dimostrato altre volte per il flauto e l'arpa. In ogni caso - nonostante quel che ne aveva scritto al padre - doveva essere ben consapevole che i due solisti non erano poi così straordinari e dunque scrisse per loro delle parti di media difficoltà. Che, componendo questo concerto, non dimenticasse mai chi fossero i due destinatari, è dimostrato chiaramente anche dal tono di elegante mondanità che diede a questa musica, in cui sembra rispecchiarsi il plaisir de vivre della società aristocratica francese dell'epoca di Luigi XVI. In questa scrittura fluente, che evita ogni minima impressione di fatica, la maestria di Mozart risplende di luce purissima. E i limiti intrinseci dei due strumenti - cui Mozart riserva ampi passaggi, facendoli dialogare con delicatezza e discrezione - sono pienamente rispettati, senza però che la fragilità dell'arpa e la grazia cedano alle tentazioni del decorativismo.

È nell'Allegro iniziale che vengono più ampiamente valorizzate le possibilità tecniche e le diverse sfumature timbriche dei due solisti, accompagnati - qui come in seguito - da un'orchestra di modeste dimensioni, attenta a non soverchiare mai le loro delicate sonorità. L'Andantino è stato paragonato da Alfred Einstein a un delicato quadro di Boucher e da Giovanni Carli Ballola a un prezioso arazzo Gobelins: certamente ha un'eleganza e una soavità inimitabili, che vogliono accarezzare i sensi più che suscitare profonde emozioni. L'Allegro finale è un rondò in tempo di gavotta, in cui i ritorni di un refrain vivace ma delicato si alternano ad episodi sempre diversi.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il Concerto per flauto e arpa in do maggiore K. 299 risale al soggiorno parigino del 1778, un soggiorno del tutto diverso rispetto a quello, trionfale, compiuto da bambino, e tale da riservare delusioni e amarezze al ragazzo ventiduenne, che incontrò una sostanziale indifferenza da parte dell'ambiente della città, nel quale stentò ad inserirsi anche per la sua scarsa propensione verso il gusto francese.

In qualche caso, tuttavia, Mozart seppe approfittare delle occasioni offertegli dalla ricca e colta società aristocratica, presso la quale la pratica della musica "da salotto" era diffusissima, come naturale integrazione dell'educazione dell'individuo. Particolarmente diffusa, presso l'aristocrazia del gentil sesso, era l'arpa, impiegata soprattutto, come alternativa al pianoforte, nella funzione di accompagnamento. Lo strumento non si avvaleva ancora, per raggiungere la completa scala di semitoni, del sistema di pedali introdotto da Cousineau e Krumpholz alla fine del secolo e perfezionato nel 1812 da Erard, ma poteva comunque spaziare in una gamma vasta grazie a un sistema di ganci azionato a mano dall'esecutore, che consentiva la modifica di un semitono per l'intonazione delle corde.

Ecco dunque che nacque, nell'aprile 1778, il Concerto per flauto ed arpa, destinato ad una coppia di aristocratici. «Penso di averle già detto» scrisse Mozart al padre il 14 maggio «che il Duca di Guines [in realtà conte, già ambasciatore a Londra] suona assai bene il flauto, e che la figlia, alla quale insegno composizione, suona magnificamente l'arpa». La partitura che Mozart confezionò su misura per questi esecutori - piuttosto ampia nelle dimensioni anche se non trascendentale tecnicamente - è del tutto improntata allo spirito concettualmente disimpegnato e brillante della moda parigina (sottolineato dalla tonalità di do maggiore e dal carattere decorativo degli strumenti solisti); ma la preziosissima fattura e il superiore ingegno fanno di questo pezzo "da salotto" un piccolo capolavoro nel suo genere; soprattutto è mirabile l'equilibrio che sovrintende al rapporto di solidarietà fra i due dissimili strumenti (il flauto incline alla funzione solistica, l'arpa a quella di accompagnamento) e alla contrapposizione fra questi e l'orchestra (smarrite sono purtroppo le cadenze originarie). Dei tre movimenti l'Allegro iniziale, aperto da un perentorio arpeggio di do maggiore, presenta una vivace abbondanza di idee e uno sviluppo armonicamente assai suggestivo; i due solisti vi hanno uno spazio predominante, e si alternano anche nel ruolo di guida melodica nella sezione dello sviluppo. L'Andantino è animato da una grazia sensuale - vi si notano le viole divise - e arricchito da una fitta ornamentazione; mentre il Rondeau finale segue un elegante andamento di gavotta, in perfetta aderenza al gusto francese.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

La storia si può leggere anche fra le righe di una cronaca spicciola, quotidiana, domestica, soggettiva fin che si vuole, ma sommamente istruttiva. Ce lo rivela in questo caso l'epistolario, nutritissimo, della famiglia Mozart al completo, che non lascia passare giorno senza raccontarci nei dettagli ciò che avviene. Impariamo così, per esempio, — ed è quanto interessa ai fini esplicativi del «Concerto per flauto e arpa» — che nel giro di quindici anni (1763 - 1778) Parigi sta seguendo il suo percorso involutivo di fatuità e corruzione, cullandosi nei giochi di un incurante edonismo. (La seconda sosta nella capitale francese, nel 1766, non fa registrare grandi osservazioni). Il bambino prodigio che durante il primo viaggio parigino era rimasto «flatté» dalle accoglienze a Versailles, di Luigi XV e consorte, di Madame de Dauphine e della marchesa di Pompadour (doni, baciamani, effusioni a non finire, ricorda Leopold, sorpreso dalle infrazioni alla compassata etichetta di corte), non ne vorrà più sapere nel 1778 di andare a «seppellire il suo talento» (sono parole di Wolfgang) fra fantasmi regali e per di più squattrinati.

Nient'affatto immerso in un incosciente e serafico bamboleggiamento adolescenziale, ha ormai imparato a fare i suoi conti. Non ha più voglia di passare il suo tempo a Versailles, né di suonare il clavicembalo nel salotto gelato della Duchessa di Chabot, fra ospiti snob e distratti, e neppure di assecondare il «gout galant» di quegli «stupidi» francesi (l'epiteto è ricorrente) .

Autoconsapevolezza dei propri numeri, non c'è dubbio, ma anche fastidio per la superficialità, la mancanza di idee, la banalità. Tutte uguali dall'inizio alla fine, riferirà disgustato, quelle sinfonie concertanti ascoltate ai «Concerts spirituels», con il loro ovvio «premier coup d'archet» (su Gluck e Piccinni, allora attivi a Parigi, no comment del musicista: ma ciò riguarda la storia del teatro d'opera).

Essendo la coerenza dote o difetto del tutto sconosciuta all'artista settecentesco — neanche Beethoven, il grande «isolato», del resto la coltivò troppo — la testa di Mozart cosi arguta e cosciente, è costretta in più di un'occasione a piegarsi.

È questo anche il caso del concerto che ascolteremo, commissionatogli dall'influente duca de Guines, ambasciatore francese a Londra, nell'aprile 1778.

Buon dilettante di flauto, de Guines nutriva una segreta ambizione: suonare in duo con la figlia, arpista e flautista di notevole bravura: «Molta memoria» come interprete, annota Mozart, al quale l'allieva era stata affidata per lo studio della composizione (esclusivamente, «ca va sans dire » di sonate per flauto e arpa).

L'esperienza fu fallimentare: per de Guines padre che vide dopo poco tempo la figlia convolare a giuste nozze, abbandonando musica e ogni velleità creativa, ma anche per Mozart che usci stremato dalla assoluta negazione della discepola e per di più mal ricompensato (le lezioni e questo concerto gli fruttarono la metà della cifra pattuita).

Per la prima — e anche l'ultima volta — troviamo in un concerto di Mozart l'arpa usata in funzione solistica. Il binomio con il flauto, utilizzato con molta fortuna successivamente dagli impressionisti (ma nel mezzo c'erano stati Berlioz e Liszt) per creare misteriose atmosfere «nuancées», viene concepito da Mozart come timbricamente omogeneo. Frequenti i passaggi all'unisono, la proliferazione delle idee che si legano l'una all'altra senza cesure, l'agilità, la brillantezza di suono e, quasi con un intento emulativo, i salti (assai insoliti) verso il registro grave dello strumento a fiato. Come dire, due prime donne che si imitano, prendendo ognuna i vezzi e le inflessioni dell'altra, ma che nello stesso tempo mantengono i propri riconoscibilissimi connotati fisici. Che il confronto con il teatro d'opera possa essere istituito, oltre al fatto pacificamente noto della derivazione del concerto dall'aria, lo confermerebbe l'attesa «teatrale» di ben 44 battute (introduzione orchestrale) che agisce a mo' di sipario sui due solisti. Dopo di che il dialogo, trasparente e finissimo, ha inizio.

L'orchestra, oltre al quintetto d'archi, si avvale di oboi e corni.

Da un punto di vista formale nessuna infrazione alla struttura del concerto classico: «Allegro» (in forma-sonata), «Andante» (omessi qui i fiati) e «Rondò» finale. All'interno dell'intera composizione, le simmetrie, le sottigliezze tematiche, timbriche, ritmiche sono infinite, come pure certe apparenti aritmie destinate a rapida soluzione. Ed anche questo non è un fatto nuovo: variare l'unità con mezzi apparentemente semplici, essendo una caratteristica dei grandi artisti. Non a caso Schoenberg che per tutta la vita ebbe come meta la perfezione del linguaggio, l'equilibrio e l'organicità dello stile, si dichiarò apertamente e in più occasioni «allievo di Mozart».

Fiamma Nicolodi


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD AM 098-2 allegato alla rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal progrmma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 2 marzo 1991
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 25 gennaio 2001
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 3 marzo 1978


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Ultimo aggiornamento 23 gennaio 2019