Concerto per violino n. 5 "Türkish" in la maggiore, K 219

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro aperto (la maggiore)
  2. Adagio (mi maggiore)
  3. Rondò. Tempo di Minuetto (la maggiore)
Organico: violino solista, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, 20 Dicembre 1775

Può utilizzare come Adagio sostitutivo l'Adagio K261
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nel 1775 Mozart compose a Salisburgo cinque Concerti per violino e orchestra: questo in la maggiore (K. 219), concluso il 20 dicembre, è l'ultimo (col nome di Mozart esistono anche altri due Concerti per violino, di attribuzione e data discusse). Mozart, come suo padre Leopold, era da tempo al servizio del Principe Arcivescovo di Salisburgo in qualità di musicista dell'orchestra (al clavicembalo, all'organo, poi anche al violino) e di compositore per le cerimonie sacre e le feste di corte.

In anni recenti il ragazzo Mozart accompagnato dal padre aveva girato l'Europa tra l'ammirato stupore e le acclamazioni, era stato onorato e insignito di titoli dalle Accademie e dai Sovrani (compreso il papa Clemente XIV), aveva conquistato la Scala (Mitridate nel 1770, Lucio Siila nel 1772). Quando Mozart tornò stabilmente a Salisburgo nel 1772, c'era un nuovo Arcivescovo, Hieronymus, conte di Colloredo, uomo colto, sicuro di sé, dispotico, a cui il giovane genio e suo padre non piacquero (né lui piacque ai Mozart, ma non piaceva neppure ai salishnrghesi). Lasciamo ora da parte la questione di quanto fondato sia il giudizio sfavorevole sul conte di Colloredo che si trae dalle lettere dei Mozart e da qualche notizia degli amici: certo è che Mozart, costretto a rimanere a Salisburgo perché Colloredo concedeva a stento i congedi, era insofferente e scontento, guardava alle capitali del mondo musicale (Vienna, Monaco, Parigi, Londra, Milano, Napoli), che egli pensava l'aspettassero, si sentiva chiuso in una provincia al servizio di un padrone sconoscente (che davvero poi lo considerava un presuntuoso sfrontato). Ma tuttavia lavorava e lavorava, e con molti lavori e capolavori, Messe, litanie, Concerti, Divertimenti, Serenate, Sonate, Quartetti, Trii, si guadagnava un assegno annuale non proprio misero (a corte solo gli italiani guadagnavano più di lui, perché così si usava anche nel resto dell'Austria). Infine, nel 1781 un invito dell'elettore di Baviera, invito che farà nascere il primo dei capolavori compiuti del teatro di Mozart (Idomeneo), fu un'altra delle ormai troppe occasioni di scontro tra Colloredo e Mozart, che il 9 maggio 1781 fu insultato e, con sua gioia, cacciato da palazzo e da Salisburgo. Era questa la conclusione ritardata dei malintesi cominciati poco prima dell'anno in cui Mozart compose i suoi Concerti per violino.

Oltre al clavicembalo e all'organo nei quali eccelleva con genio, Mozart nell'infanzia aveva studiato anche il violino, e già a otto anni Leopold aveva fatto stampare a Parigi quattro Sonate Pour clavier avec accompagnement de violon: sono i primi numeri dei suoi lavori pubblicati, op. 1 e 2, cui seguirono nel 1765 e nel '66 altri due gruppi di Sonate. Poi egli perfezionò la tecnica del violino nell'adolescenza e nel 1773, a diciassette anni, improvvisava magistralmente in pubblico. Non sappiamo a quale necessità pratica o mondana dell'orchestra di corte si debba il ciclo dei cinque Concerti del 1775 composti nel giro di pochi mesi (né sappiamo se siano stati concepiti davvero come un ciclo o se siano state cinque occasioni differenti). È probabile che uno dei destinatari sia stato Antonio Brunetti, il primo violino dell'orchestra, col quale Mozart strinse proprio in quell'anno una buona amicizia, superati alcuni segni di gelosa diffidenza da parte dell'italiano. Brunetti aveva una grande ammirazione per il giovane compositore che egli ammirava anche come violinista. Quanto ai rapporti tra i due artisti e alle vere capacità di Brunetti resterebbe da chiarire un piccolo mistero. Mozart scrisse per l'amico solista una seconda versione, tutta differente (K. 261, ma naturalmente in mi maggiore come la prima) dell'Adagio di questo Concerto e non sappiamo perché il famoso Brunetti abbia respinto la stupenda versione originale.

Nella sua costruzione questo Concerto presenta qualche libertà formale, nell'invenzione e nei rapporti, di carattere quasi sperimentale, come accade spesso nei lavori del giovane Mozart.

L'introduzione del primo movimento è eccezionalmente estesa, con due temi. Uno è ritmato e danzante, e ad esso risponde il secondo con elegante ironia: nel giro di poche battute l'incrocio dei due temi va verso una cadenza che prepara la vera Esposizione sinfonica. Ma ci sorprende l'apparizione inattesa del solista con un breve Adagio lirico, disteso sul sussurro degli archi. Questa strana parentesi sembra essere un pensiero improvviso di Mozart o una sua dedica speciale a qualcuno. Poi si avvia il primo movimento con un tema energico ed affermativo (l'indicazione espressiva di Mozart è un bizzarro Allegro aperto, cioè schietto, ardito), accompagnato dal disegno danzante dei violini, con il quale si era iniziata l'Introduzione. Il secondo disegno di questa poi diventa secondo soggetto principale del movimento. L'elaborazione dello sviluppo, con qualche modulazione regolare (mi maggiore, dominante, e do diesis minore) soffre di qualche squilibrio delle proporzioni.

L'Adagio è un'espansione melodica di eccezionale bellezza, che il solista canta e decora senza che mai, neppure in una battuta, si indeboliscano l'intensità e la concentrazione del sentimento. Solo a tratti la calma contemplativa del canto è turbata da una segreta agitazione.

Con garbata decisione il solista suggerisce l'avvio del Minuetto, che l'orchestra accoglie con calore. Molto originale è l'espediente di introdurre in questo terzo movimento segmenti tematici dal primo. Una nuova sorpresa ci attende con il bellissimo Trio, Allegro in la minore, una specie di mascherata fantastica di tutti gli strumentisti, in abiti turchi o zigani. Era un tipo di esotismo allora di moda (spesso presente anche in Haydn), ma qui l'idea ha una sua spavalderia insolita e irresistibile. Dopo la ripresa del Minuetto il Concerto con sorridente eleganza si conclude con i due segmenti con i quali si era iniziato.

Franco Serpa

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Datato 20 dicembre 1775, è l'ultimo concerto per violino sicuramente attribuibile a Mozart (l'autenticità di altri due pubblicati postumi è dubbia). Rispetto ai quattro concerti composti nei mesi precedenti, questo è il più elaborato e imponente, e in certo senso presenta un grado di maturazione ancor più elevato soprattutto per quanto riguarda l'originalità del linguaggio.

L'Allegro iniziale è interessante, fra l'altro, perché è uno dei primi esempi in Mozart di un notevole impegno formale nell'ambito di un concerto con strumento solista, con un evidente irrobustimento delle strutture della forma-sonata. L'animata introduzione orchestrale si interrompe improvvisamente per dar luogo al drammatico passaggio di un Adagio, in cui avviene l'entrata del solista con una rapsodica melodia, apparentemente senza relazione con l'Allegro precedente, il quale però è subito ripreso, col vigoroso tema principale, dal violino stesso. Tutto il concerto, del resto, è opera più di pensiero che d'effetto, grazie anche alla composta interiorità dell'Adagio. Il Rondò conclusivo invece si concede qualche bizzarria, accogliendo episodi di sapore turco, con chiare reminiscenze delle Gelosie del serraglio, un balletto lasciato incompiuto tre anni prima.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Sebbene considerasse il pianoforte come il suo primo strumento, Mozart padroneggiava la tecnica violinistica in maniera eccellente, come d'altra parte era richiesto dal suo incarico di Konzertmeister presso la corte salisburghese (nel quartetto, peraltro, preferiva suonare la viola; e tale versatilità, più che al genio, va attribuita alla poliedricità artigianale del musicista nel Settecento). E' piuttosto singolare, dunque, che al genere del Concerto per violino e orchestra egli si sia dedicato esclusivamente in un periodo estremamente limitato della sua esistenza, fra l'aprile e il dicembre del 1775: all'inizio di un lungo soggiorno a Salisburgo (il penultimo) e subito dopo la redazione delle mirabili (e ai nostri giorni misconosciute) partiture operistiche della Finta giardiniera e del Re pastore. In questo lasso di tempo Mozart scrisse i cinque Concerti violinistici a lui sicuramente attribuibili, K. 207, 211, 216, 218, 219; altri due posteriori Concerti (K. 268 e 271a), se sono autentici, ci sono comunque giunti in versioni rimaneggiate. Si ignora quale movente abbia indotto il compositore ad applicarsi a questa fioritura di partiture; egli stesso forse era lo strumentista destinatario o, in seconda ipotesi, un certo Kolb, amico e violinista salisburghese.

Nel comporre per il violino il diciannovenne Mozart ebbe quali ovvi punti di riferimento gli ammirati modelli della tradizione italiana, con i quali era venuto in contatto nei suoi viaggi in Italia: i Concerti di Tartini e Nardini, che applicavano una scrittura solistica elegante e aliena dal virtuosismo fine a sé stesso alla struttura formale già perfezionata da Vivaldi e resa poi più attuale dall'adozione di una dialettica bitematica. Così i Concerti per violino di Mozart rispettano l'articolazione in tre movimenti, il primo dei quali combina la forma sonata con la contrapposizione fra tre episodi solistici e quattro orchestrali. Questa logica, se appare un poco pedissequa nei primi due Concerti, è accolta con una maggiore autonomia nei rimanenti tre, segno dell'acquisita disinvoltura dell'autore nel rielaborare i modelli; e infatti gli ultimi tre Concerti sono assai più personali dei primi, nell'invenzione come nell'elaborazione.

Di questa libertà inventiva abbiamo una testimonianza subito all'inizio del Concerto K. 219. Dopo l'introduzione orchestrale, che presenta i due contrapposti motivi che daranno vita all'intero primo movimento, il solista si presenta con un Adagio che propone un nuovo clima espressivo; il tempo riprende poi con limpida e coerente narrazione. Il secondo tempo, Adagio, dà rilievo alla purissima linea melodica del solista, che crea un'ambientazione assai contemplativa e pensosa; tanto che, giudicato troppo complesso dal violinista Antonio Brunetti, questo movimento fu sostituito l'anno seguente dall'autore con un Adagio K. 261, assai meno ambizioso. Il Rondeau finale, che, come indica anche il nome, risente maggiormente dell'influenza francese, si avvale di un garbato refrain in tempo di minuetto, alternato con contrastanti episodi, uno dei quali reca la gustosa sorpresa di un'impostazione turchesca, o comunque esotica; allusione infallibile per sedurre il pubblico; ma la partitura si conclude poi con disarmante semplicità, rifuggendo, con consapevolezza superiore, da una troppo facile platealità.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

L'ampiezza dei movimenti, la ricchezza tematica, l'originalità delle soluzioni formali sono alcuni degli aspetti salienti del Concerto in la maggiore K. 219, che da sempre gode di una meritata popolarità.

La vitalità e l'esuberanza della composizione traspaiono già a partire dall'Allegro aperto iniziale, un movimento in forma-sonata che presenta un'abbondanza di temi, seppur omogenei. L'Esposizione orchestrale sfoggia idee tematiche proprie, diverse dal tema principale che verrà presentato, più oltre, dal solista. Al suo ingresso, il violino esegue un'introduzione in tempo Adagio, dal carattere quasi improvvisatorio. È un passaggio enigmatico, che esula completamente dalla tradizione; è il momento del libero eloquio del solista, che pare aver bisogno di un attimo di preparazione prima di attaccare, senza interrompersi, il tema principale carico di slancio. Nuove idee fioriscono poi senza sosta per tutto il movimento, nel quale non viene mai meno la straordinaria freschezza dell'inventiva mozartiana.

A un senso d'intimità, di raccoglimento è ispirato l'Adagio, in forma-sonata, che si dipana nel segno di un lirismo discreto, risvegliando gli accenti di un'emozione dolorosa ma controllata con le inflessioni cromatiche dello Sviluppo. Più che singoli temi, il movimento allinea gruppi di motivi che si susseguono con continuità. Emblematico è il passaggio dal termine dello Sviluppo alla Ripresa: qui il tema principale fa ritorno al termine di una triplice presentazione, a canone; si insinua così nelle pieghe del discorso quasi inavvertito. E la Ripresa stessa, con i suoi momenti di tensione armonica, le dissonanze, l'instabilità, conserva qualcosa dello Sviluppo. Mozart, così facendo, pone l'accento sulla continuità anziché sulle articolazioni chiare e nette, in perfetta armonia con l'effusione lirica di cui si nutre il movimento intero.

L'ultimo movimento del Concerto K. 219 è un Rondeau in Tempo di Menuetto. Il ritornello è costituito da un tema in due parti: la prima è un'elegante melodia dal ritmo e dal carattere spigliato; la seconda un motivo più caricaturale e malizioso. Tra gii episodi interposti fra un ritornello e l'altro, il terzo é enormemente dilatato e presenta un carattere indipendente: è costituito da varie sezioni, tematicamente differenziate, nello stile «alla turca». Vi troviamo riuniti tutti gli elementi linguistici che determinavano, all'epoca, lo stile turchesco nella musica colta occidentale: l'irregolarità fraseologica, il cromatismo e gli intervalli esotici, gli effetti percussivi a imitazione degli strumenti in uso presso le bande dei giannizzeri. Mozart qui strizza l'occhio a una moda assai diffusa, come farà in seguito nel celebre ultimo movimento «Alla turca» della Sonata per pianoforte K. 331 e in numerosi passi del Ratto dal serraglio. Uno dei motivi impiegati in questa sezione è tratto da Le gelosie del serraglio, un balletto abbozzato da Mozart tre anni prima (durante l'ultimo viaggio in Italia) per il Lucio Silla, ma rimasto incompiuto: l'irregolarità del materiale e la stranezza della forma si spiegano, in questo caso, con l'originale destinazione coreografica del brano. Tutto l'episodio in stile turchesco, che inserisce nel rondò una nota di colore pittoresco e fortemente contrastante, è anche interpretabile come il Trio di un Minuetto. Ma l'ambiguità formale del movimento è ancora maggiore, quando si pensi che vi sono presenti anche elementi della forma-sonata: infatti il primo episodio, che si svolge alla dominante, è ripreso alla fine nella tonalità della tonica, ricoprendo così una funzione analoga a quella del secondo tema in uno schema sonatistico.

Claudio Toscani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 2 Dicembre 2006
(2) Testo tratto dal Repertorio di musica sinfonica a cura di Piero Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 13 ottobre 1988
(4) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 100 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 10 febbraio 2014