Concerto per pianoforte n. 9 in mi bemolle maggiore "Jeunehomme Konzert", K 271


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro (mi bemolle maggiore)
  2. Andantino (do minore)
  3. Rondò. Presto (mi bemolle maggiore)
Organico: pianoforte, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, Gennaio 1777
Prima esecuzione: Monaco, residenza di Franz Albert, 4 Ottobre 1777
Edizione: Andrè, Offenbach 1800
Dedica: Mademoiselle Jeunehomme
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Ventuno concerti per pianoforte e orchestra, più uno per tre pianoforti e orchestra, un altro per due pianoforti e orchestra e un rondò per pianoforte e orchestra, rispettivamente K. 242, 365 e 382, rappresentano la summa della produzione strumentale e pianistica di Mozart e in essi avverte l'evoluzione dello stile da concerto del salisburghese, che passa da una libera forma sinfonica, dove lo strumento solista svolge un ruolo brillante e virtuosistico, ad un linguaggio sonoro più intimo e raccolto nell'ambito di un rapporto più misurato ed equilibrato tra il pianoforte e l'accompagnamento orchestrale. Del resto lo stesso Mozart espresse in una lettera che porta la data del 28 dicembre 1782 le sue idee sul modo di concepire i concerti per pianoforte e orchestra della prima maniera. «I concerti - egli scrive a suo padre - sono una via di mezzo fra il troppo difficile e il troppo facile, sono molto brillanti e piacevoli all'udito, naturalmente senza cadere nello stravagante e nella vuotaggine. Qua e là anche gli intenditori possono ricevere una soddisfazione, ma in modo che i non intenditori devono rimanere soddisfatti, senza sapere perché». Negli anni successivi egli approfondì e arricchì la struttura tecnica del concerto, conferendo all'orchestra una personalità timbrica più spiccata, pur lasciando intatte allo strumento solista le fioriture, le variazioni e le cadenze tipiche della parte pianistica. Questa trasformazione si può cogliere nell'intero arco della produzione concertistica viennese: nel 1782-83 Mozart scrisse tre concerti per pianoforte (K. 413, 414, 415); nel 1784 ne scrisse sei (K. 449, 450, 451, 453, 456, 459); nel 1785-86 compose tre concerti per anno (K. 466, 467, 482, 488, 491 e 503). Negli ultimi cinque anni Mozart scrisse solo due concerti; nel 1788 il Concerto in re K. 537 per l'incoronazione di Leopoldo II a Francoforte e nel 1791, anno della sua morte, l'ultimo Concerto in si bemolle K. 595, con il quale il musicista prese congedo come pianista dal pubblico di Vienna (4 marzo 1791).

Bisogna dire però che anche il Concerto in mi bemolle maggiore K. 271, composto nel gennaio 1777 da un Mozart ventunenne, è un lavoro di notevole valore per la freschezza e la varietà dell'invenzione melodica e per l'armonica fusione espressiva tra solista e orchestra, come attestano nei loro libri su Mozart sia Bernhard Paumgartner che Alfred Einstein. Scritta per la pianista francese mademoiselle Jeunehomme, conosciuta dal musicista a Salisburgo e poi incontrata di nuovo a Parigi, questa composizione presenta una straordinaria ricchezza tematica sin dal primo movimento, un Allegro caratterizzato da un senso ampio e possente della costruzione tematica nel rapporto dialogante tra il pianoforte e l'orchestra, formata da due violini, viola, due oboi, due corni, violoncello e contrabbasso. Il momento di maggiore purezza lirica è l'Andantino in do minore, considerato come un grande arioso teatrale, sullo stesso piano estetico di analoghe pagine composte da Rameau e da Gluck. La melodia è carica di nobile eloquenza nel suo stile cantabile e la malinconia mozartiana sembra proiettare intorno a sé un'ombra piena di triste presagio. Nel Rondò finale, improntato ad una misurata gaiezza spirituale, si inserisce quanto mai elegante ed espressivo un minuetto in la bemolle con quattro variazioni che serve a spegnere gli umori virtuosistici del pianoforte, la cui parte presenta un impegno tecnico di indubbia difficoltà in tutti e tre i movimenti, dove non mancano uscite solistiche ornamentali.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

È noto con il nome di una pianista francese, di passaggio a Salisburgo nel gennaio 1777, per la quale Mozart scrisse un'opera di intensità e di impegno formale considerevoli. Anche le dimensioni insolitamente ampie concorrono a farne il primo grande concerto per pianoforte di Mozart, degno in tutto e per tutto di figurare accanto ai capolavori del periodo viennese.

L'esposizione dell'Allegro (per il quale Mozart lasciò anche due versioni di una sua propria cadenza) avviene eccezionalmente a botta e risposta fra orchestra e pianoforte. A questo primo movimento ricco di proposte tematiche e di robusta tessitura sinfonica succede un tempo lento eccezionalmente esteso, che alterna un patetismo intenso e quasi tragico (è la prima volta che Mozart scriv un tempo di concerto in minore) a zone cantabili e affettuose, ed apre al concerto per pianoforte le strade di un pronunciato protagonismo espressivo. Istanze brillanti tornano a comparire nel Rondò conclusivo, dove il tema principale sembra anticipare l'aria di Monostato del Flauto magico. Fra gli episodi che vi si alternano c'è però un tempo di minuetto con quattro variazioni, che viene a sconvolgere la fisionomia disimpegnata che tradizionalmente contraddistingue i finali di concerto.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Mozart nella storia del concerto per pianoforte e orchestra giganteggia maestosamente. Si può infatti affermare che la sua produzione in questo campo, massime gli ultimi quattordici Concerti composti a Vienna fra il 1784 e il 1791, fa compiere al genere un salto qualitativo straordinario tale da creare un nuovo modello da lasciare in eredità alla generazione seguente. Inoltre essa costituisce in assoluto uno dei più alti raggiungimenti della sua opera compositiva e quindi dell'intera storia della musica.

Pur nascendo circa sette anni prima dell'inizio dell'incredibile fioritura degli anni viennesi, molto probabilmente alla fine del 1776 o al principio del 1777, il Concerto in mi bemolle maggiore K.271 è tuttavia un lavoro di grande importanza. Stimolato dalla momentanea presenza a Salisburgo di una giovane francese virtuosa della tastiera della quale conosciamo solo il cognome, Mademoiselle Jeunehomme (o Jenomy, come si legge nella corrispondenza mozartiana), il ventunenne Mozart diede vita a un lavoro che, pur senza scollamenti violenti rispetto ai tre lavori dell'anno precedente, viene universalmente considerato un'opera chiave. Secondo uno studioso autorevole come Stanley Sadie, si tratta addirittura di una «tra le composizioni più sottili e più elaborate di tutti i periodi creativi di Mozart per quanto concerne le relazioni tematiche, il trattamento della lunghezza delle frasi e delle cadenze, al fine di accrescere il senso di tensione e rinforzarne la risoluzione, e soprattutto nell'ampio sviluppo dei rapporti tra solista e orchestra».

Rapporti tra solista e orchestra che fin dalle prime battute dell'incantevole Allegro d'apertura sono improntati chiaramente all'integrazione piuttosto che al predominio o alla contrapposizione; mentre la ricchezza del materiale tematico e della scrittura sinfonica e l'impegno assegnato al solista, tutti tratti destinati presto a esplodere compiutamente nei concerti viennesi, collocano già questo lavoro ben più avanti del pur più tardo Concerto in re di Haydn. Momento assolutamente eccezionale è l'Andantino in do minore, primo esempio di movimento in minore nell'intera produzione concertistica mozartiana: si tratta di un'ampia pagina cantabile dai toni intensamente patetici, corredata per di più da una lunga cadenza originale di Mozart. Non meno straordinario è il brillante e virtuosistico Rondò conclusivo, il cui scorrere irresistibile (Presto), partendo da un tema principale che sembra anticipare quello dell'aria di Monostatos nel Flauto magico, viene momentaneamente interrotto dall'improvvisa comparsa di un calmo Menuetto (Cantabile).

Non sappiamo se Mademoiselle Jeunehomme eseguì mai in pubblico il Concerto scritto per lei e grazie al quale si ritrova, almeno parzialmente, consegnata all'immortalità. Sappiamo però per certo che, quando nel settembre del 1777 Mozart lasciò Salisburgo diretto a Parigi, portò con sé tutti i suoi Concerti più recenti, suonandoli con successo già ad Augusta, Monaco e Mannheim. La prima esecuzione a noi nota del Concerto K. 271 ebbe infatti luogo a Monaco il 4 ottobre di quello stesso anno.

Carlo Cavalletti

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Nel dicembre del 1772, mentre Leopold e Wolfgang Mozart si trovavano a Milano, l'austero e intransigente Geronimo di Colloredo, Arcivescovo di Salisburgo, li sollecita a fare ritorno nella cittadina austriaca, richiamandoli ad assolvere i loro doveri di musicisti 'ai servigi' dell'autorità ecclesiastica. Padre e figlio devono quindi rinunciare al progetto di un'eventuale sistemazione nel capoluogo lombardo, dopo che per ben tre volte vi avevano soggiornato, e al proposito di rafforzare esperienze e rapporti col mondo musicale italiano. Inizia cosf un periodo di quasi ininterrotta permanenza a Salisburgo. Vissuti in un raccolto ambito di serenità 'provinciale', tra l'affetto della famiglia e di alcuni amici devoti, gli anni dal 1773 al 1777 consentono a Mozart di elaborare alcune felici composizioni che rispecchiano la sua poliedrica ispirazione: i primi Quartetti, numerosi Divertimenti e Serenate, tre Messe, tutta la serie dei Concerti per violino e orchestra. Opere che se da un lato non sfuggono all'influsso dello stile galante - per altro comune all'Europa musicale del '700 - d'altro canto possono inquadrarsi in una fase di prima maturità, per il loro carattere dì transizione e a un tempo anticipatorio dei futuri e ben più complessi traguardi della produzione mozartiana. In questa prospettiva s'inserisce il Concerto K 271, composto nel gennaio 1777 e ultimo dei quattro appartenenti al ciclo salisburghese per pianoforte e orchestra. Scritto pensando già a Parigi, che di li a poco accoglierà un Mozart desideroso di operare liberamente in una area assai più vasta e prestigiosa del ristretto ambiente natio, il concerto è dedicato a M.lle Jeunehomme, giovane pianista francese di passaggio a Salisburgo. Non molto si sa ancora su di lei, ma sicuramente era un'artista capace e stimata, a tal punto da ispirare al musicista uno dei suoi autentici capolavori. Le novità non sono tanto importanti in se stesse, ma rivelano In ciascun movimento una padronanza della forma così personale da convincere l'ascoltatore sulla disinvoltura con cui Mozart sa esprimersi in qualsiasi procedimento e tecnica. Il Concerto affronta e offre una prima, importante soluzione al problema dei rapporti tra lo strumento solista e l'orchestra, segnando un vertice tra le opere mozartiane del genere.

Nell'Allegro iniziale il pianoforte dialoga sin dalla prima battuta, facendo subito intendere all'orchestra con chi dovrà competere e misurarsi, in una stesura che si presenta quanto mai stringata ed espressiva. Più avanti, un trillo del solista si sovrappone all'esposizione orchestrale, attenuandone l'interruzione e riproponendo il tema vero e proprio. L'originalità più autentica va tuttavia ricercata nella sintesi di un materiale di singolare ricchezza, in cui la struttura fortemente tematica che coinvolge i vari episodi non appare mài rigida e uniforme. Di qui il carattere deciso e brillante, insito nella tonalità di mi bemolle maggiore, favorisce i toni di una fisionomia marcata che, progressivamente, risolve l'andamento dell'Allegro in una equilibrata dimensione di solennità fastosa ed elevata.

L'Andantino in do minore si svolge seguendo le linee di una profonda intensità drammatica, quasi teatrale. I primi e i secondi violini (con sordina) cantano in cànone, come due personaggi in un'opera tragica; il pianoforte, sfruttando opportunamente l'atmosfera di un sobrio e misurato accompagnamento orchestrale, che solo a tratti 'esplode' in momenti di eccezionale «pathos» espressivo, si abbandona nell'ultima fase a recitativi sempre più solitari, interrotti da suggestive pause nel corso della cadenza conclusiva.

Il Rondò ribadisce il ruolo primario dello strumento solista, che con un rapido avvio conduce l'iniziale Presto, per poi inoltrarsi, dopo la ripetizione del tema, in una parentesi intermedia di riflessione: un Minuetto in quattro variazioni, assai diverso da altri esempi del genere, per il suo ambito un po' aulico, quasi intimo, apertamente lontano da preziosismi e retorica. La ripresa, nitida e dinamica, non rinuncia alle usuali formule del virtuosismo, ma le trascende immettendosi decisamente in un contesto dove una libera forma sinfonica e un'autonomia strumentale sempre più netta risaltano nell'efficacia del contrasto tra pianoforte e orchestra.

Piero Gargiulo


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 16 Maggio 1986
(2) Testo tratto dal Repertorio di Musica Classica a cura di Pietro Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 2 dicembre 2004
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 21 marzo 1979


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Ultimo aggiornamento 28 novembre 2019