Concerto per pianoforte n. 22 in mi bemolle maggiore, K 482


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro (mi bemolle maggiore)
  2. Andante (do minore)
  3. Rondò. Allegro (mi bemolle maggiore)
Organico: pianoforte, flauto, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Vienna, 16 Dicembre 1785
Prima esecuzione: Vienna, Burgtheater, 23 Dicembre 1785
Edizione: Andrè, Offenbach 1800
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Questo concerto porta la data del 16 dicembre 1785 e fu eseguito a Vienna la prima volta il 23 dicembre dello stesso anno ottenendo un grande successo da parte del pubblico che volle la replica dell'Andante. Si trattava del resto di un periodo - forse il solo periodo - fortunato nella vita viennese del musicista. Le poche lettere di quegli anni giunte fino a noi rispecchiano uno stato d'animo sollevato ed euforico, vivaci istantanee dell'ambiente musicale viennese in quell'epoca in cui gli artisti lavoravano personalmente a contatto col pubblico. «Ora come potete immaginare - scrive Mozart al padre - devo necessariamente suonare - e quindi scrivere cose nuove. L'intera mattinata la dedico agli allievi e quasi tutte le sere ho da suonare». E in un'altra lettera a Leopoldo dice: «Eccovi l'elenco di tutti i miei abbonati. Io da solo ne ho trenta di più che Richter e Fischer insieme. Il primo concerto è andato benissimo. La sala era piena zeppa e il nuovo concerto da me eseguito è piaciuto straordinariamente. Ovunque si sente lodare questa accademia...».

Ed è per queste accademie - concerti a sottoscrizione - che Mozart scrisse quattordici Concerti per pianoforte e orchestra, tra i quali quello in mi bemolle che si esegue stasera.

A proposito di questi Concerti scrive il Paumgartner nella sua biografia mozartiana: «Concerti stupendi, vari per agogica, linguaggio espressivo e livello tecnico. Pur senza scostarsi dalla antica struttura formale in tre tempi essi sostanzialmente evolvono i precedenti saggi del genere. Da questo momento il Concerto per pianoforte prenderà il posto predominante nella produzione del Maestro. Uno degli obbiettivi principali, quello di "conseguire l'effetto" (non si dimentichi che Mozart li scriveva per eseguirli personalmente in pubblico) risulta ingentilito dalla profondità e dalla nobiltà dell'invenzione e portato con sublime maestria al di sopra di ogni contingenza di tempo e di moda. La mano dell'autore degli Haydn Quartetto e della Sonata in do minore risulta spessissimo; talvolta è il fosco demone dell'artista che parla incurante delle superficiali pretese del pubblico; tanto è grande il numero di questi concerti, tanto geniali e varie le soluzioni dei problemi formali per mezzo del dialogismo sinfonico tra solista e orchestra nell'ambito di quella più vasta forma sonatistica. L'artistica struttura del primo tempo così ricca di possibili ripartizioni del materiale tematico tra il "Tutti" e il "Solo" offrì al Maestro un campo illimitato per lo spiegamento della sua formidabile potenza. Il concerto mozartiano si differenzia dagli antichi modelli essenzialmente per la concezione fonica e psicologica moderna della forma, intesa come spigliata contrapposizione di due individualità - la massa orchestrale e il pianoforte a martelli, dalle enormi risorse timbriche e dinamiche - e potenziata da un'inesauribile varietà di atteggiamenti. E' la stessa vivezza individuale della nuova era quartettistica che si ripresenta in altro, campo e con altri valori espressivi ».

Queste caratteristiche sono comuni anche al Concerto in mi bemolle maggiore con in più che esso sembra concepito sotto il segno di un malinconico «ritorno» alla giovinezza espressa con il «ritorno» alla maniera dei primi concerti specialmente quello per due pianoforti e orchestra e l'altro nella stessa tonalità che porta il numero di catalogo K. 271, che è del 1777; un «ritorno» soprattutto evidente nel motivo dei corni dell'Allegro iniziale e nell'episodio centrale (Andantino cantabile) del Rondò che si richiama al finale di quel concerto più giovanile ed insieme prefigura il canone con cui si concluderà l'opera Così fan tutte.

Tra i due tempi così segnati da questo ricordo della non lontana ma ormai conclusa giovinezza si pone l'Andante nella tonalità di do minore che è di certo tra le pagine esistenzialmente più sconvolgenti lasciateci dal maestro salisburghese per la sua immediatezza espressiva così facilmente leggibile nella chiave di un arco di sentimenti che porta dal dolore e la disperazione fino alla rassegnazione: una prefigurazione dei drammatici temi che saranno al centro delle opere degli ultimi anni mozartiani.

Uno sguardo sul futuro tanto più intenso in quanto legato sembra al rimpianto di un non lontano passato che si esprime anche sul piano del linguaggio sia con la decisione di sostituire gli oboi dei precedenti Concerti con i clarinetti - è il primo caso nella produzione mozartiana - sia per il contrasto nuovissimo e già romantico che si realizza tra i modi maggiore e minore.

Gianfilippo De' Rossi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

I concerti per pianoforte e orchestra di Mozart occupano una posizione speciale all'interno della sua produzione, perché si collocano quasi tutti nel periodo viennese (1781-1791) e perché, in larga parte, vennero scritti dal salisburghese per se stesso. I concerti venivano presentati al pubblico viennese, con lo stesso Mozart in veste di pianista, nel corso di «accademie» per sottoscrizione che gli garantivano un'entrata sicura durante i difficili anni della libera professione. In tal modo inoltre veniva meno la preoccupazione di conformare il proprio discorso musicale alle doti e alle caratteristiche di un altro pianista, come era avvenuto per i concerti scritti a Salisburgo: ora la scrittura pianistica e la struttura formale del concerto riflettono fedelmente il pensiero musicale del suo autore, senza alcun vincolo.

Mozart, seguendo una prassi molto diffusa nel Settecento, amava improvvisare la parte pianistica nel corso dell'esecuzione pubblica; in alcuni punti della partitura del Concerto K. 482 è ancora evidente una scrittura pianistica appena abbozzata, decisamente insufficiente, che deve essere riempita dal solista con arpeggi, scale, passaggi virtuosistici.

Dal punto di vista formale il primo movimento del concerto per strumento solista e orchestra è frutto di un compromesso fra le esigenze della moderna forma-sonata, che richiedeva l'opposizione dialettica fra i temi e fra le aree tonali, e quelle del concerto di ascendenza barocca, che voleva l'alternanza fra gli interventi del solista e quelli del «tutti» orchestrale. Mozart nei concerti per pianoforte risolve il problema facendo rimanere l'orchestra, nel corso della sua esposizione tematica, nella tonalità d'impianto e riservando al solista la modulazione alla dominante. Con questo grande «tutti» iniziale in genere l'orchestra esaurisce, dal punto di vista tematico, il suo contributo; essa ritornerà, senza presentare nuove idee tematiche, nei punti chiave del primo movimento per rafforzare il discorso musicale: alla fine dell'esposizione, all'inizio della ripresa e in conclusione di movimento. Nella ripresa invece «tutti» e solista vengono fusi assieme, per assicurare al concerto la necessaria concisione formale. Al solista vengono naturalmente riservate nuove idee tematiche e nuovi spunti motivici: è lui il vero motore dell'azione musicale, alla sua parte si devono le intuizioni più straordinarie, le invenzioni più belle del genio mozartiano.

Il Concerto in mi bemolle maggiore n. 22 K. 482 ebbe la sua prima esecuzione nel corso dell'accademia del 16 dicembre 1785. Il suo organico orchestrale (flauto, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi) prevede, per la prima volta nei concerti di Mozart, l'utilizzo dei clarinetti al posto degli oboi; questo favorisce l'impiego concertante dell'intera sezione dei fiati, permettendo a Mozart di ottenere affascinanti impasti timbrici.

Il primo movimento Allegro è ricchissimo di idee tematiche, a partire dal caratteristico «motto» iniziale al quale risponde per due volte una fluida melodia discendente esposta dai legni prima, dai violini poi. Senza soluzione di continuità appaiono poi una seconda idea, che circola in imitazione fra le diverse famiglie orchestrali, e un terzo spunto tematico dolce e cantabile affidato a flauto, corni e violini. L'ingresso del solista avviene su un tema nuovo dal carattere galante e dalla ricca ornamentazione: la lunga effusione lirica del pianoforte, interrotta solo sporadicamente dai brevi interventi dell'orchestra, presenta un carattere quasi «toccatistico», traccia sbiadita delle straordinarie improvvisazioni che Mozart amava fare nel corso dell'esecuzione pubblica dei suoi concerti.

Il clima emotivo si surriscalda con l'apparizione di un teso motivo ad accordi ascendenti in tonalità minore, che ricorda un analogo passaggio del Concerto in do maggiore K. 467. Il nuovo impiego dei fiati inaugurato da questo concerto è testimoniato dall'episodio che precede l'ultima semplice e delicata melodia di questa ricca esposizione, episodio animato dalle voci intrecciate di flauto e fagotti.

Lo sviluppo si apre, come spesso avviene in Mozart, con la ripresa in tonalità minore delle ultime battute dell'esposizione, ma non presenta particolari elementi di originalità essendo dominato dalle vivaci e virtuosistiche figurazioni del pianoforte. La ripresa corre parallela all'esposizione, con la sola differenza che il solista vi acquista un'importanza maggiore arricchendo, ornando e sviluppando i temi uditi in precedenza.

L'Andante presenta una originalissima forma di Tema con variazioni: al tema principale Mozart giustappone cinque quadri contrastanti per colore armonico, orchestrazione, tonalità e melodia che conservano solo qualche riferimento, a volte molto labile, col motivo principale. Quest'ultimo, nella tonalità di do minore, non presenta quelle qualità di intensa cantabilità tipiche dei movimenti lenti, ma ha un andamento esitante e dolente che lo fa assomigliare piuttosto a un drammatico recitativo. Nella prima variazione è assoluto protagonista il pianoforte, che si distacca però dal tema in una sorta di romantico preludiare. La seconda variazione, in tonalità maggiore, è affidata ai legni e rappresenta un'oasi di serenità e di quiete, subito interrotta dal ritorno del solista che, nella terza variazione, riprende i toni fantastici e un poco sognanti del tema principale. Con la quarta variazione Mozart ci introduce nella solare tonalità di do maggiore: il disteso dialogo fra flauto e fagotto ricorda il clima spirituale del futuro Flauto magico. La quinta variazione riunisce solista e orchestra in un serrato e intenso dialogo, quasi beethoveniano nel pathos espressivo; lo stesso clima, quasi rassegnato, troviamo nella coda conclusiva, nella quale Mozart inserisce anche un nuovo nostalgico motivo in tonalità minore, esposto a dialogo fra legni e solista. La straordinaria intensità emotiva e il respiro quasi romantico di questa pagina non sfuggirono ai primi ascoltatori che, cosa assai rara per quei tempi, ne chiesero la ripetizione. Lo apprendiamo da una lettera che il padre Leopold scrisse alla figlia informandola che Wolfgang nel Concerto in mi bemolle «aveva dovuto (cosa davvero straordinaria) ripetere l'Andante».

L'Allegro conclusivo è scritto in forma di rondò-sonata. Il tema principale del rondò, in ritmo di giga, ha la semplicità e lo spirito dell'ultimo Mozart: nelle note ribattute, prima dal solista poi dall'orchestra, e negli spunti tematici ripetuti a turno dai legni sembra veramente di sentire l'eco di una gioiosa «scena di caccia trasfigurata in un girotondo» (Einstein). Dopo il primo episodio, che presenta due nuovi brillanti motivi, e la ripresa del rondò, Mozart ci riserva una sorpresa degna del suo amico e maestro Haydn: il secondo episodio è un Andantino cantabile in la bemolle maggiore, nel quale emerge caldo ed espressivo il timbro dei clarinetti. Probabilmente è stato il desiderio di mettere in evidenza questo nuovo strumento e di riservargli un ruolo da protagonista a spingere Mozart a incastonare questo estatico minuetto all'interno del rondò. Il ritorno al clima spensierato del tema principale avviene con un episodio di straordinario fascino timbrico: sopra le morbide armonie dei legni, si levano gli eterei arpeggi del pianoforte, «spezzati» fra mano destra e mano sinistra e sostenuti dal pizzicato degli archi uniti. Ma le sorprese non sono finite: poco prima della cadenza conclusiva, il solista si ricorda dell'unico tema che avevamo udito una sola volta all'inizio del movimento e lo ripete prima della travolgente coda finale.

Alessandro De Bei


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 21 Febbraio 1971
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 79 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 20 febbraio 2017