Concerto per pianoforte n. 15 in si bemolle maggiore, K 450


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro (si bemolle maggiore)
  2. Andante (mi bemolle maggiore)
  3. Allegro (si bemolle maggiore)
Organico: pianoforte, flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Composizione: Vienna, 15 Marzo 1784
Prima esecuzione privata: Vienna, residenza del conte Johann Nepomuk Eszterházy, 15 Marzo 1784
Prima esecuzione pubblica: Vienna, Trattnerschen Saal, 17 Marzo 1784
Edizione: Artaria, Vienna 1798
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Due Concerti per pianoforte e orchestra Mozart condusse a termine a Vienna nel marzo 1784: quello in si bemolle K. 450 e quello in re maggiore K. 451, undicesimo e dodicesimo dei ventitré compresi nel catalogo delle sue opere. «Fra questi due concerti - egli scriveva al padre - non saprei quale scegliere. Li ritengo entrambi tali da far sudare; e in fatto di difficoltà quello in si bemolle supera ancora quello in re». Il Concerto K. 450 è invero una composizione eminentemente brillante, nella quale il virtuosismo del solista ha ampio modo di emergere, mentre l'orchestra, formata da archi, oboi, fagotti e corni, con l'aggiunta di un flauto nell'ultimo tempo, ha un elaborato trattamento sinfonico. Creato in un periodo in cui Mozart godeva il massimo favore della società viennese, il Concerto è uno di quelli ohe, a quanto osserva l'Abert, il musicista scrisse parte per sé e parte per il pubblico: «E' come se Mozart volesse testimoniare a che punto lo spirito della musica di società poteva essere unito con il sentimento personale dell'artista».

L'Allegro iniziale si apre con un tema assai cromatico presentato dai fiati, ai quali rispondono lievemente i primi violini; dopo un tutti orchestrale, appare, presentato dagli archi, il secondo tema, caratterizzato da sincopi di un effetto tenero e cattivante; si ha quindi un altro tutti. Il pianoforte entra con un ampio passaggio libero, che porta a un punto coronato, e riprende poi da solo il materiale tematico precedentemente esposto, introducendo anche nuovi temi e approdando ad una chiusa orchestrale rifacentesi al primo tutti. Nello svolgimento si hanno passaggi modulantì del solista, imitazioni fra gli strumenti dell'orchestra, la riapparizione del tema iniziale in orchestra sotto il trillo del pianoforte. La ripresa ha numerose varianti rispetto all'esposizione e perviene alla conclusione attraverso una grande cadenza.

L'Andante, in mi bemolle, è concepito nello spirito della variazione. Un tema semplice e cantabile, con ripetizioni distribuite fra il solista e l'orchestra, è seguito da due variazioni e da una libera coda. Accenti da cantico religioso sono stati rimarcati da alcuni studiosi nello svolgimento del discorso musicale.

L'Allegro finale è un rondò con una intonazione di caccia (e il Saint-Foix vi sottolinea anzi una certa atmosfera francese che lo avvicina al Quartetto soprannominato appunto La caccia). Il ritornello, spigliato e grazioso, è introdotto dal pianoforte ed è immesso in uno svolgimento originale per varietà di episodi e modulazioni inaspettate. Anche qui una cadenza precede la conclusione: va segnalato al riguardo che di questo, come di parecchi Concerti mozartiani, ci sono pervenute le cadenze composte dall'autore per uso proprio o di altri esecutori.

Alberto Pironti

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Le esibizioni pubbliche, per un musicista che eserciti la libera professione a Vienna sul finire del Settecento, sono un mezzo essenziale per assicurarsi la popolarità e un'importante fonte di guadagno: per questo Mozart si trova a «inventare» un genere, quello del concerto per pianoforte e orchestra, che almeno inizialmente gli assicura un certo successo presso il pubblico viennese. Incontrare il gradimento di orecchie non particolarmente raffinate, senza per questo deludere gli ascoltatori più colti, è una sfida difficile, che Mozart accetta e supera brillantemente. Il 28 dicembre 1782, nei primi tempi del soggiorno viennese, così descrive al padre il risultato dei suoi sforzi: «I concerti [per pianoforte] sono una via di mezzo tra il troppo facile e il troppo difficile, sono molto brillanti, gradevoli all'orecchio pur senza cadere nella vuotaggine; qua e là anche gli intenditori avranno di che essere soddisfatti, ma in modo che anche coloro che non lo sono proveranno piacere, senza sapere perché». All'epoca i modelli su cui contare, nel genere del concerto solistico, venivano soprattutto dalla Francia. I primi concerti pianistici di Mozart sono condizionati dal vecchio stile aristocratico della musica di società, incline alla comunicazione immediata, alla variazione di gusto rococò, al gioco socievole e poco impegnativo. Ma nella Vienna degli anni Ottanta il vecchio stile galante, tanto apprezzato dall'aristocrazia di Salisburgo, sapeva ormai di muffa. Per questo Mozart coniuga le esigenze di una facile trasmissibilità con un atteggiamento molto più soggettivo, nel quale si avvertono più profonde esperienze artistiche individuali. È così che in alcuni concerti la contrapposizione drammatica, con gli sbalzi umorali e certe ombrosità accigliate alla Sturm und Drang, prevalgono sulla socievolezza scorrevole; è così che la scrittura orchestrale e quella solistica si ispessiscono, grazie all'apporto del contrappunto, delle tecniche di elaborazione motivica e delle incursioni in aree armoniche lontane.

Questo stile, per il pubblico viennese dell'epoca, era nuovo. Già l'impiego del pianoforte come strumento concertante, da contrapporre all'orchestra, era inconsueto; ma ancor più lo erano le sonorità preziose che Mozart sa cavare da questa contrapposizione. Certi impasti raffinati tra il pianoforte e i legni, ad esempio, e la fine scrittura concertante - di natura cameristica - tra fiati e archi o tra fiati e strumento solista, sono invenzione tutta sua. Altrettanto originale è l'impostazione generale dei concerti per pianoforte: che si presentano come un dialogo tra interlocutori paritari; orchestra e solista mantengono ciascuno la propria individualità, in un rapporto dialettico che può anche sfociare in un conflitto vero e proprio. Mozart si allontana definitivamente, qui, dai modi del concerto barocco (che fanno ancora sentire la loro presenza nei concerti per violino) e concepisce il nuovo genere del concerto per pianoforte e orchestra come una «moderna» forma sinfonica.

Mozart scrive il Concerto K. 450, come la maggior parte dei concerti per pianoforte degli anni viennesi, per se stesso: da solista lo esegue infatti il 24 marzo 1784 al Trattnerhof, presso il Graben. Con la destinazione si spiegano sia il virtuosismo della parte solistica, sia il ruolo centrale assunto dal pianoforte in tutti e tre i movimenti. La tecnica pianistica si basa soprattutto su scale e arpeggi, su ottave, terze e seste spezzate o divise tra le due mani; anche l'incrocio delle mani (sfruttato nel movimento finale) vi gioca qualche ruolo. Ciò che manca del tutto sono le doppie terze del pianismo alla Clementi (nei confronti del quale, com'è noto, Mozart emette un giudizio piuttosto severo), e gli effetti appariscenti, improntati a un virtuosismo puramente esteriore: i passi tecnici, qui, sono sempre sottomessi alle ragioni della cantabilità, vale a dire alle ragioni della musica. Più che dalla tensione drammatica, del resto, il Concerto è dominato da un'invenzione melodica continua e fluente.

Dal punto di vista formale, il primo movimento dei concerti mozartiani è aperto da un grande Tutti di natura sinfonica, un'ampia sezione orchestrale dai temi incisivi e dalla scrittura brillante. Si tratta di una prima Esposizione, svolta tutta in tonica, nel corso della quale vengono esibiti i materiali tematici che saranno poi ripresentati dalla seconda Esposizione, quella condotta dal solista. L'Allegro del Concerto K. 450 non fa eccezione: già dall'enunciazione del tema principale il carattere brillante si annuncia nella contrapposizione timbrica di fiati e archi; il secondo tema, cantabile e disteso, svolge una funzione di contrasto rispetto al primo. Al termine dell'Esposizione orchestrale è singolare il fatto che il solista non entri col tema principale, ma abbia bisogno di una preparazione, una sorta di prologo - a carattere improvvisatorio - che gli serve per entrare in argomento. Ed è pure singolare che il solista ignori il secondo tema orchestrale, sostituendolo con un nuovo tema, alla dominante. Il secondo tema del Tutti, però, viene recuperato al termine della Ripresa, assieme agli altri materiali dell'Esposizione orchestrale che il solista aveva tralasciato. Degno di nota è lo Sviluppo: si svolge quasi nello stile di una fantasia, assumendo uno spunto motivico e conducendolo, con minime variazioni, attraverso un ampio giro di modulazioni armoniche. L'ascoltatore ne ricava l'impressione di un vagare senza una meta precisa, dal sapore già quasi romantico. La sezione, in effetti, non è pensata in chiave tensiva: tanto che la Ripresa interviene, alla fine, quasi inavvertita; tutto ciò conferma ancora una volta il carattere liberamente cantabile, più che drammatico, di questo Concerto mozartiano.

Tratti fortemente personali emergono nell'Andante, un movimento lontanissimo dalle convenzioni dello stile galante come da ogni sentimentalismo di maniera. Il movimento, che secondo le indicazioni di Mozart va suonato «sempre piano», pare scritto per mettere alla prova le capacità cantabili del solista. Già dal tema - diviso in due parti perfettamente simmetriche, ciascuna delle quali è presentata prima dagli archi e poi dal solista, che la fiorisce - si annuncia il carattere generale del movimento: le armonie piene, la scrittura quasi da corale religioso, il pathos intenso instaurano un'atmosfera austera. Formalmente, il movimento consiste in due variazioni sul tema principale, la seconda delle quali conosce qualche accento drammatico.

L'Allegro conclusivo è nella forma che Mozart predilige per i movimenti finali dei suoi concerti: si tratta di un rondò-sonata, ossia di quella forma ibrida nella quale un ritornello si alterna - come in qualunque rondò - a degli episodi, e uno degli episodi è presentato una prima volta alla dominante e una seconda alla tonica, come il secondo tema di una forma-sonata. L'episodio centrale, inoltre, è caratterizzato dagli stessi processi di elaborazione tematica che si riscontrano in uno sviluppo di forma sonata. La differenza tematica tra il ritornello e gli episodi, in questo finale mozartiano, non è molto pronunciata: l'atteggiamento generale è brillante e disimpegnato, e in ogni sezione si avvertono incessantemente vitalità ed energia motoria. Le due cadenze solistiche di questo movimento e quella che precede la Coda del primo movimento sono tra le poche cadenze originali (Mozart, di norma, le improvvisava) che ci sono pervenute: il materiale tematico vi è ripreso, ma in modo estroso e imprevedibile, con grande varietà di figurazioni e di atteggiamenti espressivi.

Claudio Toscani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 3 Aprile 1963
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 129 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 7 febbraio 2017