Concerto per clarinetto in la maggiore, K 622


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro (la maggiore)
  2. Adagio (re maggiore)
  3. Rondò. Allegro (la maggiore)
Organico: clarinetto solista, 2 flauti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Composizione: Vienna, 28 Settembre - 7 Ottobre 1791
Prima esecuzione: Praga, Teatro Nazionale Nostitz, 16 Ottobre 1791
Edizione: Sieber, Parigi 1801
Scritto per: il clarinettista Anton Stadler

Il concerto era inizialmente concepito per corno di basseto; resta l'abbozzo del primo tempo oggi catalogato come K6 621b
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

II 7 ottobre 1791, alle dieci e mezzo di sera, Mozart scriveva alla moglie, in quei giorni a Baden per le cure termali, narrandole il duplice successo della prima rappresentazione a Vienna del Flauto magico e dell'ultima replica della Clemenza di Tito a Praga, entrambe svoltesi qualche giorno prima, il 30 settembre. A informarlo del buon esito di questa ultima opera, inizialmente accolta con una certa freddezza, era stato l'amico clarinettista Anton Stadler, la cui permanenza a Praga si protrasse sicuramente oltre il 16 ottobre, giorno in cui eseguì, nello stesso teatro del Tito e per finalità benefiche, il Concerto per clarinetto e orchestra K. 622. Mozart ne aveva appena terminata la stesura, visto che proprio il 7 ottobre era ancora intento a dare gli ultimi ritocchi al Rondò finale.

Sebbene il compositore avesse avuto i primi contatti con alcuni strumenti a fiato di moderna costruzione, tra cui il clarinetto, già nel 1765 a Londra, di fatto egli dovette attendere oltre un decennio perché l'orchestra di Mannheim, all'epoca formazione d'avanguardia nel campo dello stile esecutivo, gli mostrasse un suo più maturo impiego sinfonico. Ma solo negli ultimi anni di vita Mozart si dedicò alla scrittura di brani che affidassero al clarinetto un ruolo solistico. L'occasione gli fu fornita proprio dalla conoscenza di Anton Stadler, fratello massone del compositore e suo compagno di affari (pare non sempre limpidissimi), nonché virtuoso di straordinaria abilità che pose Mozart nella condizione di sperimentare le potenzialità del clarinetto fino ad allora inesplorate. Per le capacità tecniche e interpretative dell'amico, Mozart confezionò su misura, oltre al Concerto in questione, anche il cosiddetto Trio dei birilli K. 498, il Quintetto con clarinetto K. 581, nonché i mirabili interventi concertanti di due Arie della Clemenza di Tito, ovvero «Parto ma tu ben mio», cantata da Sesto, e «Non più di fiori», intonata da Vitellia, questa in verità concepita per corno di bassetto (che del clarinetto è stretto parente) per il quale Mozart aveva inizialmente abbozzato anche il Concerto K. 622. Non bisogna dimenticare che Stadler suonava di preferenza un "clarinetto di bassetto", strumento che si differenzia dal modello moderno per una maggiore estensione nel registro grave. Tale estensione permette al clarinetto di bassetto, utilizzato da Alessandro Carbonare nel concerto odierno, di raggiungere alcuni suoni nel registro profondo e vellutato effettivamente pensato da Mozart, senza il bisogno di trasporli un'ottava sopra come avviene nei clarinetti normalmente utilizzati.

Il recupero di alcuni colori timbrici vicini all'originale esalta ancor più il fascino crepuscolare di una partitura che possiede rare potenzialità espressive. Rispetto alle strutture formali audaci e sperimentali dei Concerti per pianoforte scritti tra il 1784 e il 1786, il Concerto K. 622 sembra aspirare a una dimensione più classica e bilanciata. Tale senso di equilibrio deriva da una suggestione timbrica: la divisione dei violoncelli dal corpus dei contrabbassi, l'eliminazione dall'organico di strumenti a fiato che sarebbero potuti entrare in conflitto con il solista (come gli oboi, le trombe e i tromboni), la presenza di flauti, fagotti e corni, la saltuaria riduzione dell'accompagnamento orchestrale ai soli violini (con o senza viole) nei momenti lirici, sono tutti fattori che rendono la partitura eccezionalmente leggera e delicata. A questa osservazione va ad aggiungersi il fatto che Mozart, all'interno del Concerto per clarinetto, porta alle estreme conseguenze un principio di diluizione della fraseologia (già sperimentato in composizioni precedenti come il Concerto per pianoforte e orchestra K. 595) grazie al quale temi e linee melodiche si incatenano dolcemente come sgorgassero l'una dall'altra.

Fluidità melodica e calibratura dell'organico danno dunque a questa composizione, fin dal suo esordio, una nitidezza e una politura particolari. L'elegante tema d'apertura dell'Allegro possiede un andamento flessuoso subito elaborato con fine lavoro contrappuntistico: tale tema muove dal grave all'acuto dando al Concerto quella natura ondivaga che lo caratterizza. Quanto questo andamento sinuoso sottolinei le peculiarità del clarinetto ce lo dicono i tre temi esposti dal solista, tutti giocati sul fascino timbrico che lo strumento realizza spostandosi dal grave all'acuto e viceversa, oltre che sulla capacità magnetica di tenere fissamente un singolo suono. Ci si accorge ben presto che la funzione del contrappunto non è quella di rendere più complesso il tessuto sonoro ma di sottolineare la morbida flessibilità del tutto: lo vediamo nel breve sviluppo centrale dove si combinano primo e secondo tema, e dove Mozart non perde occasione per elaborare in profondità alcuni frammenti tematici. Di questo secondo processo possiamo non accorgerci all'ascolto, ma finiamo per seguire il percorso tracciato dall'autore cogliendone a livello inconscio i nessi. Per tale ragione il materiale, anche se mai ascoltato, ci sembra già conosciuto, come appartenesse all'universo sonoro precedente. La cerniera modulante che porta alla ripresa della sezione iniziale ha un forte potere di suggestione: il compositore è maestro nel mettere d'accordo frammenti tematici e necessità di guidare le parti verso la ricomparsa del materiale iniziale. In questo artificio della spontaneità risiede la perfezione formale dell'ultimo Mozart: tutto si muove come se non potesse fare altrimenti, senza incrinature o forzature nella condotta del tessuto sonoro.

Il secondo movimento, Adagio, si apre con un tema principale, esposto dal clarinetto e ripetuto dall'orchestra, così intenso e sognante che sembra disporsi verso di noi come se comprendesse, volendoli consolare, i turbamenti e le difficoltà del vivere, librandoci in un universo trasparente e disteso. L'aspirazione mozartiana alla serenità e alla luce va oltre il fatto religioso, scopre e comunica una sacralità laica dalla quale è difficile non farsi avvolgere. Il brano sublima a pura essenza, libera da ogni contingenza mondana, una tersa plasticità melodica sulla quale aleggia la fiduciosa speranza del Flauto magico, insieme alla volontà di distillare il suono in volute di concentrata liricità. Nella parte centrale il clarinetto spicca il volo dagli interventi orchestrali, dando origine a un gioco di pieni e vuoti che sembra mimare il respiro, ricordandoci quanto la musica abbia natura organica e vitale.

Un ammiccante e scherzoso tema apre il Rondò finale, nelle quattro sezioni del quale Mozart ama sviluppare, più che frammenti, intere riconoscibili gemme tematiche. Tale materiale, con una maestria che ispirerà Schubert, viaggia nelle distese smisurate della malinconia, oscillando tra modo maggiore e minore, mutando fattezze grazie a un cromatismo che plasma ogni motivo secondario rendendolo carezzevole e convincente. Fra giochi d'eco, imitazioni troncate a favore di morbide discese, intervalli insoliti e ampi del solista, ci si avvia verso l'ultimo episodio che anticipa la ripresa e la chiusura. Più di un momento del coevo Flauto magico echeggia in questo Rondò: si pensi al vagheggiamento di Tamino, privo di sensi, da parte delle Dame nell'introduzione del primo atto, oppure alla disperazione di Papageno alla ricerca di Papagena nel finale del secondo atto dell'opera.

Mozart torna con questo Concerto alla ricchezza tematica che caratterizzava le creazioni della sua giovinezza, al piacere di far parlare ogni momento strumentale come fosse una scena, come avesse a disposizione personaggi. Ne risulta una composizione di incredibile freschezza e vitalità, nonostante il momento esistenziale, per Mozart, non fosse tra i migliori. Ombre di una strana cupezza, quasi fosse l'interiorizzazione di una minaccia, caratterizzarono i suoi ultimi mesi; un disagio tra l'altro provato non solo dal compositore, ma anche dalla moglie, continuamente afflitta da problemi non meglio identificati ai quali tentava di porre rimedio con lunghi soggiorni termali. Ma di questi momenti la storia ha cancellato i tristi effetti, lasciandoci tra le tante meraviglie mozartiane, questo splendido Concerto per clarinetto.

Simone Ciolfi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il Concerto per clarinetto K 622 venne completato da Mozart nell'ottobre del 1791, ossia nell'ultimo anno di vita del compositore, che sarebbe morto di lì a pochi mesi. Sugli ultim giorni di Mozart fiorirono diverse leggende, dall'avvelenamento a causa della gelosia di Salieri ai presentimenti di morte che avrebbero perseguitato il compositore impegnato con la composizione del Requiem, fino alle esagerazioni sulle sue mortificanti condizioni di vita. Strane voci circolavano subito dopo la sua scomparsa: già il 7 gennaio 1792 (a poco più di un mese dalla morte) il «Salzburger Intelligenzblatt» parlava in questi termini «Mozart scriveva [il Requiem] con le lacrime agli occhi e sempre protestando: "Temo di scrivere un Requiem per me."» Un resoconto che contrasta sia con l'attività di Mozart in quest'ultimo periodo, sia con la documentazione che sempre più copiosa si è potuta reperire a riguardo. È del 14 ottobre l'ultima lettera di Mozart documentata scritta alla moglie Costanza, impegnata in una delle sue abituali cure a Baden, in cui Mozart parla dell'enorme successo che riscuoteva il Flauto magico, dal 30 settembre in scena al Theater auf der Wieden, e della serata precedente, che il compositore aveva passato nientemeno che con il suo presunto antagonista: «sono andato a prendere Salieri e la Cavalieri [il soprano austriaco, allieva e amante del compositore italiano, ammirata anche dal salisburghese]. Non puoi immaginare quanto sia piaciuta loro non solo la mia musica, ma il libretto e tutto l'insieme... non c'è stato brano che non gli abbia strappato un bravo o un bello». La lettera prosegue su tono sereno, con Mozart soddisfatto di quello che probabilmente fu il più grande successo operistico della sua carriera, compiaciuto dei complimenti e dell'affettuosità dimostratagli da Salieri ma anche molto impegnato e per nulla infiacchito dagli insuccessi artistico-finanziari degli anni precedenti.

Mozart era rientrato da nemmeno un mese a Vienna, reduce da una trasferta a Praga, dove aveva partecipato alle celebrazioni per l'incoronazione di Leopoldo II. A Praga le cose non erano andate benissimo per il salisburghese, che pure era stato di gran lunga il compositore più eseguito con due opere, il Don Giovanni e La clemenza di Tito, alcune messe, tra cui quella dell'incoronazione, e numerose composizioni minori. Ma nei resoconti ufficiali il suo nome fu sovente omesso, a tutto vantaggio del compositore di casa, il boemo Leopold Kozeluh. Secondo il racconto del primo biografo mozartiano Niemetschek ancora una volta Mozart si trovò vittima degli intrighi e dell'invidia altrui: Kozeluh «a Praga tormentò continuamente Mozart con la più gretta delle gelosie. Lo calunniò malignamente attaccandone persino la moralità» con il risultato di essere nominato compositore di corte l'anno successivo e di meritare una sola parola nei quaderni di conversazione di Beethoven:«miserabilis».

Nella capitale boema, due giorni dopo la lettera citata, il 16 ottobre veniva eseguito il Concerto per clarinetto K 622 in un concerto di beneficenza tenuto da Anton Stadler (1753-1812), l'esecutore amico di Mozart a cui fu dedicata la composizione. Stadler era uno dei più rinomati clarinettisti del momento ed è per lui che Mozart scrisse le sue composizioni più importanti per clarinetto, dal Quintetto K 581 alle arie accompagnate della Clemenza di Tito. Il concerto fu originariamente concepito per corno di bassetto, strumento prediletto da Stadler, affine al clarinetto, ma con un'estensione più ampia di una terza al basso. Il manoscritto autografo è andato perduto: resta la versione pubblicata nel 1801 a Parigi in una copia manoscritta, che probabilmente dovette servire a preparare l'edizione. Entrambe, per adattare l'opera ad uno strumento più largamente utilizzato, hanno parzialmente modificato la parte solistica e non sono completamente autentiche. Oltre ai numerosi dettagli modificati a causa della minore estensione, la deviazione dall'originale di maggior rilievo consiste nella sovrapposizione del clarinetto solista ai violini primi nei tutti orchestrali secondo un'indicazione che è sicuramente non autentica.

Il Concerto K 622 è tra le ultime composizioni che Mozart fu in grado di completare e mostra caratteristiche compositive tipiche della sua piena maturità, come il ricorso ad elaborazioni contrappuntistiche. Inoltre l'articolazione della forma-sonata, pur presente, è celata da una elaborata tecnica di sovrapposizione delle frasi musicali che crea un discorso estremamente fluido ed ininterrotto. Attentamente calibrato alle necessità espressive della composizione è l'organico orchestrale, che oltre agli archi vede impegnati solamente corni, flauti e fagotti con l'esclusione degli oboi, la cui penetrante sonorità mal si addiceva ad un concerto che, pur di grande impegno tecnico per il solista, punta a una calda espressività, a tratti quasi intima.

Il Concerto K 622 ha un'articolazione in tre movimenti allegro-adagio-allegro. Nel primo movimento l'esposizione orchestrale stabilisce il clima dell'opera presentando un tema cantabile, ricco di appoggiature, elaborato contrappuntisticamente con entrate a canone che ritorneranno sia nell'esposizione del solista che nella ripresa. L'esposizione del solista è modificata rispetto a quella orchestrale con l'inserimento di un passaggio in tonalità minore, ad orchestrazione ridotta, di intonazione cameristica, che poi giunge alla dominante. Lo sviluppo lascia ampio spazio allo strumento solista, i cui interventi sono inframezzati dai tutti orchestrali per pervenire, attraverso una lunga nota tenuta del clarinetto, ad una ripresa accorciata. Di più semplice fattura, ma splendido per l'intenso lirismo e la delicatezza, è l'adagio, secondo movimento, nella tonalità di re maggiore, che presenta una parte centrale contrastante. Chiude la composizione un vivace rondò finale, nel tempo di 6/8.

Andrea Rossi-Espagnet

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Oltre a quello per clarinetto Mozart ci ha lasciato altri sette concerti per strumenti a fiato (uno per fagotto, due per flauto, quattro per corno), cui se ne devono aggiungere un paio perduti, nonché alcuni rimasti allo stato di frammento, senza contare quello per flauto ed arpa. La «gerarchia» degli strumenti stabilita dal costume musicale del settecento si riflette in qualche misura su quasi tutte queste composizioni, facendone qualcosa di abbastanza vicino al genere della musica d'intrattenimento: potrebbe contribuirci la naturale predisposizione degli strumenti a fiato al far musica all'aria aperta, che dette vita per tutto il secolo a tante Serenate, Divertimenti e composizioni affini; lo stesso Mozart, in una pagina come la «Gran partita» per tredici strumenti, ha mostrato di sentire l'influsso di un uso del genere.

Il «Concerto per clarinetto» non risente di questo clima se non superficialmente, e comunque in misura abbastanza irrilevante. Per molti motivi, anzi, esso sembra iscriversi nella serie dei concerti che Mozart ha dedicato a strumenti ben più «nobili» (sempre secondo l'ottica dei suoi tempi), come il violino e il pianoforte. Ed a questa dimensione del concerto, che è poi quella da lui coltivata con maggior intensità, la pagina famosissima che ascoltiamo oggi sembra aggiungere una parola tutt'altro che superflua. Ne fanno fede l'alto numero (622) che lo contrassegna nel catalogo Köchel, che segue com'è noto l'ordine cronologico, e più vistosamente la data di nascita di questo concerto, che è del settembre 1791: Il «Requiem» l'ultimo, incompiuto capolavoro di Mozart, è numerato K. 626; la data della morte di Mozart è il 5 dicembre di quello stesso 1791. Siamo dunque nel momento della più alta maturità di Mozart: un nuovo confronto con la forma, da lui portata a perfezione, del concerto solistico non poteva avvenire con una pura e semplice opera d'occasione; non poteva non risentire dei caratteri che rendono la sua ultima stagione creativa gravida di consapevolezza e significati altissimi e spesso profetici.

Badando solo alla cronaca, certo, anche il «Concerto per clarinetto» è un pezzo d'occasione, una delle tante pagine scritte su misura per un virtuoso. Il destinatario del concerto, il clarinettista Anton Stadler (1753-1812), ha un suo posto nell'aneddotica mozartiana per essere stato uno dei più intimi amici del maestro, che lo ebbe fratello in massoneria e compagno di serate piacevoli (partecipò spesso alle baldorie con cui Schikaneder distraeva Mozart durante la composizione del «Flauto magico»), ed è passato alla storia per essere riuscito (e dev'esser stato senz'altro il solo), a farsi prestare del denaro — una bella sommerta, per di più, cinquecento fiorini — dal compositore più indebitato che la storia della musica ricordi; e Mozart mori senza aver rivisto i suoi soldi. Ma ben più importante è la traccia che Stadler (che era indubbiamente un curioso personaggio, ma evidentemente anche un artista di eccezionali qualità) ha lasciato nella produzione musicale di Mozart. Per lui vennero composti il «Quintetto in la maggiore», il «Trio» che fu detto «dei birilli», nonché due «obbligati» (uno per clarinetto e uno per «corno di bassetto», il clarinetto contralto oggi in disuso) nella «Clemenza di Tito».

E questo concerto, come si diceva. Per la verità, Mozart aveva già steso circa duecento battute del primo movimento nel 1789, pensando però a un corno di bassetto; riprese in mano il lavoro su richiesta di Stadler mentre si trovavano tutti e due a Praga, per le rappresentazioni della «Clemenza». Tornato a Vienna, completò rapidamente il lavoro e lo spedi a Stadler, rimasto nella capitale boema per le repliche dell'opera, che lo esegui durante un suo recital. Nel 1796 Stadler, che si trovava di nuovo in difficoltà finanziarie (era tornato dalla sua licenza con quattro anni buoni di ritardo, e aveva logicamente trovato il suo posto già occupato da altri), pensò di far soldi pubblicando il concerto (vendendolo, ovviamente, a due editori diversi). Ma Mozart lo aveva a suo tempo scritto destinandolo ad uno strumento inventato da Stadler stesso, che aveva una estensione, verso il grave, di una terza in più rispetto al clarinetto normale; ragion per cui Stadler dovette farne un arrangiamento, che è poi entrato stabilmente in repertorio.

Naturalmente, accanto alla bravura di Stadler, c'era anche un interesse più interiore, più specificamente musicale all'origine dell'attenzione dedicata da Mozart al clarinetto. Anche prescindendo dai pezzi solistici, tutta la sua ultima produzione testimonia della sua predilezione per questo strumento, relativamente «giovane», quanto a dignità musicale, rispetto agli altri legni: mentre flauto oboe e fagotto sono stabilmente presenti negli organici sinfonici del Settecento, il clarinetto vi figura solo sporadicamente (in Haydn, per esempio, solo nel caso delle Sinfonie più tarde, posteriori alla morte di Mozart). Strumento originariamente considerato da dilettanti, esso si introduce nella pratica colta in seguito a certi perfezionamenti tecnici, e soprattutto in seguito all'affermarsi di una sensibilità già lontana dallo «stile galante» (che aveva segnato il trionfo del flauto). L'eccezionale potenza espressiva del clarinetto sarebbe balzata in primo piano nell'orchestra romantica, sino a farne un po' il re dei legni (in Weber, in Brahms, nel teatro d'opera; ma già in Beethoven, tutto sommato); con Mozart siamo ancora in fase di scoperta: nella «Sinfonia in sol minore» esso viene introdotto soltanto in una versione posteriore, rimasta per decenni sconosciuta.

Detto questo, non si vuol certo appiccicare a questo bellissimo concerto l'etichetta, già alquanto arbitraria nelle opere mozartiane che pure sembrerebbero giustificarla, di un romanticismo ante litteram. Esso resta a tutti gli effetti, e non c'è davvero niente di male, un lavoro del diciottesimo secolo, e di quel tempo serba intatte le caratteristiche di stile, altissimamente decorativo e brillante al punto giusto com'è. Ma è indubbio che lo stesso trattamento dello strumento solista è posto sotto il segno di una sensibilità carica di sfumature non sempre gioiose: si pensi al ricorso costante alle zone gravi della sua estensione, abbastanza singolare se ci si ricorda che la fortuna del clarinetto era cominciata proprio quando al registro originario, detto «chalumeau», e circoscritto appunto ai gravi, l'introduzione del meccanismo del «portavoce» aveva aggiunto quello acuto del «clarino» (donde poi il nome odierno dello strumento], rendendo possibile un virtuosismo simile a quello del flauto e del violino.

E questo gusto dei suoni gravi, dal timbro «umano» del clarinetto, che ci ricorda l'uso, frequente nell'ultimo Mozart, del corno di bassetto, trova una sua precisa rispondenza nella stessa scrittura musicale del concerto, che introduce nel luminoso la maggiore della tonalità d'impianto ampie zone in minore che non costituiscono un puro e semplice arricchimento della tavolozza armonica. L'impianto formale non presenta sorprese, articolato com'è sui classici tre tempi. Il primo è particolarmente sviluppato, e vede il clarinetto impegnato fin dall'inizio assieme al «tutti» orchestrale; di preferenza, lo strumento solista emerge sulle linee degli archi, staccandosi dalle parti dei fiati (due flauti, due fagotti, due corni). Il materiale musicale presenta, in questo primo tempo come nello stupendo «Adagio», una certa parentela con quello del «Quintetto per clarinetto». Il virtuosismo, tenuto fuori della porta nel secondo tempo per dar campo ad una cantabilità purissima e pensosa, ricompare nelle uscite solistiche che punteggiano il «Rondò» finale, di incessante vivacità ritmica.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 16 Gennaio 2010
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 25 novembre 1999
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 25 novembre 1977


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 3 febbraio 2019