Adagio e fuga in do minore per quartetto d'archi, K 546


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Adagio (do minore)
  2. Fuga. Allegro (do minore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello oppure orchestra d'archi
Composizione: Vienna, 26 Giugno 1788
Edizione: Hoffmeister, Vienna 1788

Trascrizione per quartetto d'archi dalla Fuga per due pianoforti, K 426
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Mozart sì applicò a più riprese e con passione allo studio del contrappunto. Fu soprattutto negli anni del soggiorno viennese che ebbe modo di conoscere e approfondire i grandi lavori contrappuntistici del passato; fu a Vienna che venne in contatto con la cerchia del barone Gottfried van Swieten, mecenate e colto dilettante dì musica che nella sua abitazione organizzava regolari esecuzioni della musica di Bach e Händel. E fu ancora negli anni viennesi che Mozart sì entusiasmò per le fughe di Bach, che fece oggetto di uno studio attento e appassionato. Non doveva essere estranea a questo interesse neppure la frequentazione degli ambienti massonici, cui lo stesso van Swieten apparteneva. La fuga e la scrittura contrappuntistica assumevano, in quella cerchia, il valore di una trasparente metafora: nell'edifìcio contrappuntistico, e nella fuga che ne è la più complessa espressione, gli adepti coglievano di riflesso l'operato del Grande Architetto dell'Universo. Di qui l'attivismo con il quale le logge massoniche si adoperarono, nelle principali città europee, per riportare in vita capolavori del passato come gli oratori di Händel e le fughe di Bach, nei quali la scienza contrappuntistica raggiunge vertici ineguagliati.

Uno dei massimi contributi di Mozart al genere è costituito dalla Fuga in do minore K. 546, composta in origine per due pianoforti (K. 426) e trascrìtta in seguito per archi, con l'aggiunta di un Adagio introduttivo. Di straordinaria intensità espressiva, l'Adagio è dominato dal contrasto tra figure ritmiche ed energiche e un motivo dolente, che insìste su patetici semitoni. Lo stesso contrasto espressivo tra azione e ripiegamento, tra eroismo e rassegnazione caratterizza l'austero soggetto della Fuga. Improntata a un clima di estrema severità, la composizione da fondo a tutti gli artifici del contrappunto osservato, valendosi di una tecnica e di un controllo espressivo che rivelano la profonda assimilazione della lezione bachiana

Claudio Toscani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Tra gli aspetti più affascinanti della riflessione storica sulla musica vi è senza dubbio l'indagine su come sia mutato nei secoli il concetto di tradizione che spettatori, dilettanti, compositori ed esecutori hanno fatto proprio nei secoli. Qualche particola dell'infinito caleidoscopio di opinioni che animò tale problematica, ancora oggi attuale, ci giunge dalle testimonianze scritte di chi la musica la visse come lavoro e come impegno critico e intellettuale.

Sia detto subito che la materia è magmatica, sempre aperta a nuove interpretazioni e sottoposta a nuove evoluzioni del gusto; essa ha però il pregio, se analizzata con attenzione, di apportare spesso qualche elemento rivelatore sulle relazioni tra musica e società, non dimenticando tuttavia che nella maniera in cui un compositore si rivolge al passato c'è una percentuale di influenza sociale, dichiarata o tacita, e una parte di esperienza e di giudizio personali.

Mozart è un punto di osservazione privilegiato per la problematica in questione: da giovanissimo ebbe il pregio di viaggiare molto, di avere un apprendistato cosmopolita; ebbe la fortuna di conoscere molti ambienti culturali europei con i loro gusti e le loro tradizioni. La sua sensibilità fu termometro di molte delle tensioni culturali dell'epoca. Il suo incontro a Vienna e la decennale amicizia con il bibliotecario imperiale barone Gottfried van Swieten, vengono spesso descritti come elementi importanti per l'evoluzione del suo stile. Mozart aveva cominciato a frequentare il barone nel 1781. Ambasciatore a Berlino presso Federico II, van Swieten si era affiliato in quella città a un gruppo di difensori della memoria bachiana e händeliana di cui facevano parte altri compositori. Uomo politico con interessi culturali, grande amante della musica al punto da essere compositore di Sinfonie («rigide come lui stesso» a dire di Joseph Haydn), van Swieten amava farsi promotore anche a Vienna della diffusione dell'opera di J. S. Bach e di Händel. Aveva dato in gran copia anche a Mozart spartiti e partiture di questi due autori, materiale di cui il salisburghese si serviva eseguendoli e studiandoli in casa. Scrisse nel 1783: «Quando Constanze udì le fughe, se ne innamorò: ora non vuoi sentire altro che fughe e soprattutto (in questo campo) Händel e Bach. Siccome poi mi aveva sentito improvvisarne io stesso, mi domandò se non ne avessi già scritta qualcuna e quando le risposi che no, mi rimproverò aspramente di aver trascurato quanto di più bello e interessante ci sia nella musica, e non smise di pregarmi fino a che non gliene scrissi una. [...] Col tempo ne farò altre cinque e le regalerò al barone van Swieten». Più che per Mozart, il cui ruolo di compositore aveva sempre contemplato di necessità lo studio di variegate tipologie di musiche recenti o passate, la citazione ci interessa per la presa di posizione della moglie: che Constanze trovasse le fughe così attraenti al puro ascolto, testimonia un fatto di evoluzione del gusto assai interessante.

L'amore per il contrappunto non era dunque più una faccenda per soli esperti: dalle appendici solenni del genere sacro e dal silenzioso lavoro del privato esercizio, lo stile contrappuntistico aumentava il suo indice di gradimento fra gli ascoltatori. E Mozart si mise a lavoro: il 29 dicembre 1783 completò la stesura della Fuga in do minore K. 426, opera preceduta da diversi frammenti di fughe per tastiera lasciate incomplete. Si trattava di una severa e maestosa fuga a quattro voci per due fortepiani, alla quale Mozart voleva far precedere un Preludio: un progetto iniziato ma portato a compimento più tardi.

Nel giugno del 1788, infatti, egli riprese in mano la vecchia fuga e la riadattò per quartetto od orchestra d'archi aggiungendo, come ebbe a scrivere lui stesso, anche un «Adagio a due violini, viola e basso per una fuga che scrissi tempo fa». Si trattava dell'Adagio e Fuga in do minore K. 546, un'opera che trasfondeva nel colorismo degli archi il carattere serio e impegnato della composizione precedente. Rispetto alla prima versione, l'Adagio ha qui la funzione di accentuare l'effetto meccanico e sublime della fuga tramite un'introduzione patetica ad hoc: la tensione tra l'elemento fiero ed energico che apre il brano e un secondo segmento dal tono dolente e sommesso costruito su respiri di semitono, costituisce una sorta di rifugio intimistico dalla natura interrogativa.

Nella Fuga seguente Mozart allestisce un'imponente struttura: un austero soggetto caratterizzato da ampi intervalli viene sottoposto al severo artificio del contrappunto e puntellato da un mobile controsoggetto che dona al tutto un'affascinante sinuosità cromatica. Nel trattamento dell'elaborazione motivica Mozart segue strade a volte personali a volte ortodosse, riuscendo a stupirci anche nelle situazioni più canonizzate del genere, fino allo "stretto" finale (topos tecnico della fuga) che conclude il brano in modo grandioso e solenne. Il Mozart lirico, sensuale e ammiccante si trasforma qui in un poderoso busto di marmo: l'unica ragione per cui egli si riconosca in costruzioni del genere è l'affidare loro un valore mistico, trascendente. Artificio, solennità, chiara percezione dell'architettura donano alla musica contrappuntistica una dignità "religiosa", un sapore rituale. Il meccanismo del contrappunto sembra rendere la composizione indipendente dai turbamenti umani (non a caso era spesso usata per celebrare la divinità), donargli una vita propria nella quale il brano pare originarsi da sé. L'interpretazione dello stile severo nel tardo Settecento anticipa il crescendo culturale che porterà nel secolo successivo la musica a essere arte con una propria altissima dignità intellettuale e spirituale.

Mozart intercettava con l'Adagio e Fuga K. 546 l'evoluzione del gusto europeo tendente a far evolvere il classicismo verso lo spiritualismo romantico ancora di là da venire. Ma non è da escludere che la sua natura fortemente trasgressiva, sempre e comunque attenta a dare il meglio della sua maestria creativa in ogni campo, donasse al solenne portamento della fuga anche un tocco segretamente ironico.

Simone Ciolfi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Alla fine del 1781 troviamo Mozart, stabilitosi a Vienna, fra gli assidui del barone Gottfried van Swieten. Questo signore olandese si era ritirato a Vienna dopo una fortunata carriera nella diplomazia asburgica. Durante la sua missione a Berlino aveva avuto modo di avvicinare i figli di J.S. Bach. Essi lo avevano iniziato ai maestri della polifonia barocca, e di ritorno a Vienna van Swieten esortava con le sue «esercitazioni musicali della domenica» i musicisti al culto di Bach e di Haendel. Mozart rimase addirittura scosso dall'incontro con lo stile rigoroso, copiò varie fughe di suo pugno, e si immerse nello studio del contrappunto. Fra queste esercitazioni va annoverata la Fuga per due pianoforti in do minore K. 426. Essa è a quattro voci, ricca di artifici contrappuntistici, stretti ed inversioni del tema. Il do minore, secondo la tradizione viennese, è una tonalità drammatica. Il tema ha difatti carattere di affermazione contrastata, carattere sottolineato dall'esordio volitivo e dalla conclusione cromatica. Questi due principi, e il controsoggetto aperto da tre crome ribattute e concluso da un trillo, dominano l'intero pezzo, sottolineano la supremazia dell'emotività sulla scrittura rigorosa, e inducono Mozart ad un contrappunto selvaggio. L'immagine è quella di un turbine che travolga, in nome della passione, i generi e la loro codificazione storica. Nel 1788 Mozart trascrisse la Fuga per quartetto d'archi, e vi premise una Introduzione. Il pathos della Fuga risulta accresciuto nella più sentita cantabilità degli archi, e la Introduzione prelude alla temperie esasperata della versione quartettistica con uno studio sulla potenzialità drammatica dell'armonia modulante. E' una pagina che leva il sipario sulla disperazione romantica, e con quel senso della disfatta, dell'irredimibile, che Mozart trasmetterà a Schubert, Mahler, Berg, i musicisti della città maledetta.

Gioacchino Lanza Tomasi


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD AM 151-2 allegato alla rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 21 Febbraio 2009
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 9 gennaio 1975


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Ultimo aggiornamento 23 settembre 2015