Mercurio e Marte

Torneo regale

Testo del libretto

ATTO UNICO

Scena unica

L'AURORA
Lascia Titon, deh lascia,
ch'io lasci il roseo letto
ch'io tronchi il tuo diletto,
io fui già messaggera
di quel sol, che fa bello un mondo solo.
In questi dì giocondi,
io son d'un sol foriera,
d'un sol, che nacque ad illustrar sei mondi.

Scaldava il sole antico
il verde alle campagne,
e col raggio fecondo
portava i fiori a rallegrare un mondo.
Ma questo sol novello
coronato d'angelici splendori
porta sei mondi a rallegrar sei fiori.

Già di perle rugiadosa
l'uscio apersi all'aureo dì,
bel Narciso, e bella Rosa
di mia mano allor fiorì.
Or felici i nostri albori
fan fiorir di perle i cori.

Respirate, o zeffiretti,
di dolcezza ai dì felici,
e, garrendo gli augelletti
rispondete, e voi pendici:
tante gioie, e tanti beni
dite voi mesi sereni.

I mesi cantano anch'essi, e prima Marzo.
MARZO
Io son fine odorato
d'ogni gelido affanno,
io son Marzo fiorito, alba dell'anno.a
Già, dileguato il gelo,
di propria man mi coronava il Sole
di pallide viole,
ed or, che in questi lidi,
mercé d'una dolcissima rugiada,
figlia del tosco cielo
previene tutti i fiori
il mio giglio celeste,
amor delle sue foglie il crin mi veste.
GIUGNO
Padre son io della futura messe
de bifolchi il tesoro,
io son il Giugno d'oro.
Già nuda, e solitaria
di queste bionde chiome unica amica
mi coronò la spica,
or, che bella è quest'aria
d'un novo sol d'amore
onde il giglio celeste eterna il fiore,
io delle foglie sue care, e divine
intreccio le mie spiche intorno al crine.
SETTEMBRE
Quel Settembre son io,
che saporite pompe all'aria spiego,
e sul peso de frutti i rami piego.
Fu sol mio pregio, e cura,
dopo l'estiva arsura,
di mature ricchezze ornarmi il crine.
Né fu chi mi vedesse
turbar giammai le belle glorie al Maggio.
Ma poiché, sotto un raggio
più puro, e più sereno
fan lega il frutto, e il fiore,
e fiorita d'amore
la primavera mi sospira in seno,
intreccio questa chioma
e di gigli, e di poma.
GENNAIO
Che fo più qui, che penso
io Gennaio infelice infra le squadre
dei dì cari, e sereni
io di piogge, e di gelo orrido padre?
In questi bei contorni
non è, né sia più mai,
o nubiloso il cielo, o l'aer denso.
Addio sereni giorni, e mesi gai,
quel sol da voi mi caccia,
che dal tosco orizzonte
la bella fronte aprio,
e svelando la faccia
il dolce autunno a primavera unio.
(nel partire)
Respirate, o Zeffiretti,
di dolcezza ai dì felici,
e garrendo gli augelletti
rispondete, e voi pendici,
e tu cara età dell'oro
teco porta il tuo tesoro.
L'ETÀ DELL'ORO
Io son l'Età dell'oro,
che torno a voi mortali
scorta da quel mio sole,
che sì benigno, e lieto,
nell'adorato suo dolce viaggio
dai paradisi toschi
aprio su questi lidi il suo bel raggio.
Io torno a voi mortali, e meno meco
la bella copia ai campi,
la bella pace ai cori,
e le grazie, e gli amori:
al mio primo apparire,
quasi augelli notturni in faccia al sole,
da voi cari mortali
fuggono tutti i mali.
Vedrete infra le selve,
dal ventilar dell'aure
umide, e mattutine
gli arbori affaticati
sudar le vive ambrosie in grembo ai fiori
vedrete sul mattino,
al dolce lagrimar d'albe ridenti,
o, che giorni beati,
fiorir di manna i prati.
Ma più, ma più vedrete,
sovra i colli dei cori,
or che fiorisce il giglio,
o, che novo gioire,
la cara purità tutta fiorire.

La Discordia accompagnata da due Furie.
DISCORDIA
E qual felicità vantando or vanno,
e seminando questi
personaggi mentiti,
e deità sognate?
La Discordia son io,
che tante risse posi
l'altr'ieri in cielo infra Mercurio, e Marte,
per impedir gli onori
a cotesti imenei,
che intenderete or quale
spettacol si prepari agl'occhi vostri.

Una delle Furie soggiunge.
FURIA 1
La pazzarella Aurora
quel mendico barlume,
quella dell'oriente,
cecità preziosa
vanta giorni felici, e non s'accorge,
che nascendo fra l'aure, e fra le brine
seco guida sospiri, e mena pianti.

L'altra Furia aggiunge.
FURIA 2
E quell'altra infelice
maschera immaginata
canta lieti ritorni, e seco porta
i titoli dell'oro, e giurerei,
che fu l'età degl'insensati legni.

Tutte tre.
DISCORDIA, LE DUE FURIE
E quei mesi mal nati
figli d'ignoto padre,
che nel fuggire han vita
cantin pur essi ancora i dì sereni.
Sfrondarem tutti i fiori
intorno al crine a Marzo
e le vantate spiche
gravide d'aria pura
vaneggeranno intorno
alle chiome di Giugno,
e quei biondi alimenti
saran gioco de' venti,
getterem tutte a terra,
e pesterem coi piedi
le poma di Settembre,
e gl'intrecciati fiori
perderanno gli odori
e Gennaio pentito
dell'assettate fughe
farà dell'anno a scorno
alla serie de' mesi anch'ei ritorno.

La Discordia sola.
DISCORDIA
Ingegni marziali,
e voi forensi Achilli
dove son, dove son le nostre figlie
e le guerre, e le liti?
S'inchini al mio parlar prole sì bella.

Una delle furie.
FURIA 1
Anzi, dov'è la pace?
Ch'io voglio, in questo punto,
sfrondarle, con quest'ugna,
l'eternità dei sempre verdi ulivi.

L'altra furia.
FURIA 2
Anzi, dov'è la copia?
Ch'io voglio i suoi tesori
gittar al vento, e lacerarle il corno.

Tutte tre.
DISCORDIA, LE DUE FURIE
Torniam, torniamo al cielo
valorose compagne,
compagne solo al discordar concordi.
Torniam, torniamo al cielo,
e questo crin de serpi,
e quest'orribil viso
oggi porti l'inferno in paradiso.

Mercurio irritato dalla Discordia.
MERCURIO
Quel dio, che vi ragiona,
stupidi spettatori,
egli è quel dio, che la seconda sfera
move in un giro eterno,
e d'influssi ingegnosi il mondo sparge.
Quel Mercurio son io,
cui riveriva Egitto,
cui l'arabo adorava,
stella de' vostri ingegni,
dio delle vostre menti,
scaturigine eterna
di quei raggi secreti,
onde ragion s'onora infra mortali.
Pende dal mio bel corso
ogni vostro discorso,
e di mille intelletti
vittoriosi in campo
pendono dal mio carro i bei trionfi.
E se fu mai, che si pregiasse, in terra,
la mia divinità d'alcun seguace,
oggi le mie delizie
tutte tutte riposte
stanno nel vostro duce,
regnano nella mente al vostro eroe.
Egli è dell'arti mie l'onor primiero,
e d'ogni studio mio pompa, e decoro.
Io son quassù nel cielo
il suo duce diletto,
il luminoso auriga ai moti suoi;
egli è quaggiù fra voi
raggio della mia luce,
luce della mia stella,
e d'ogni vostro ben stella, e fortuna.
Or che Imeneo mi tolga,
or che Marte mi levi
i miei più degni onori,
mi pesa, o spettatori,
quinci via più di sdegno,
che di splendore acceso
giro per questo cielo, e quasi, quasi,
vo sregolando alla mia sfera i moti.
Ma poiché la mia forza
non basta a sciorre i nodi,
ond'Imeneo congiunse alme sì grandi,
anzi bella speranza
mi vezzeggia lo sdegno, e già m'insegna
a tollerar sì bella gloria in pace,
almen non vo', che Marte,
quel mio fiero nemico,
e turbi le mie glorie,
e s'usurpi il mio pegno,
e ai diletti suoi trarlo si vanti.
Che pubblicar disfide,
e trar di tanti spettatori il guardo
a contese ferine, e non umane?
Che una fronte turbata
versi prodigamente
fra tempeste di sdegno
pioggia di reo sudore
il suo pregio è maggiore.
Trar sudor dagl'ingegni,
e stillar sulle carte
i gloriosi inchiostri è la mia cura.
Che paraggio v'è mai
fra le trombe, e le cetre,
fra timpani, e viole,
fra le lingue, e le spade
tra funesti cipressi, e vivi allori?
O quanto mai più vale
il fulmine felice,
d'una lingua oratrice,
che di brando guerriero alta ferita.
Una lingua efficace
quasi falce sonora
là, nel mezzo d'un campo
miete mill'alme, e mille
all'aura d'eloquenza alfin mature,
e la falce di Marte i corpi miete.
Ed osa quel fellone
scender meco a tenzon nell'arti mie?
Distornerò ben io questi tornei,
e renderò ben io vane, e bugiarde
d'un emulo superbo,
le speranze, i pensieri, e le promesse.
In un castel sepolto,
sotto 'l fondo del mare
lo sfidatore è stretto,
i venturieri anch'essi
stanno parte rinchiusi
d'un monte qui vicino, in mezzo ai sassi;
parte stan relegati
nella palude ombrosa,
e parte prigionieri
nella montagna etnea traggono l'ore,
e finalmente parte
nelle viscere stanno
degli orribili mostri in mezzo al mare,
scendan, se ponno, a torneare in campo.

Marte contra Mercurio.
MARTE
Alla mensa di Giove,
ov'io del quinto ciel splendore, e dio
tra furori beati
nella coppa d'un elmo,
il nettare guerriero or or bevea,
udito ho le querele,
intesi i tradimenti,
e scoperti gl'inganni
del nume de' bugiardi,
autor delle chimere,
del dio delle menzogne, e dirò quasi
del valletto del sole
indignità del cielo
ingiuria delle stelle,
e del nostro collegio orrore, e scorno.
Pretende il dio malvagio
di schernire i miei studi,
e l'opre ingiuriar della mia mano,
et ancor non intende
l'insipido argutello,
che piccante del mondo è la mia destra.
Il pazzarel si vanta
d'esser fatto il monarca, e fatto il dio
d'un suo logico mondo
pieno di mille essenze,
che non sono, e non furo, e non saranno,
e, con siffatte macchine s'è fatto
l'architetto d'un tarlo,
per roder gl'intelletti a voi mortali.
Io, che sottrarre intendo
a cotante miserie il vostro eroe,
e procuro di trarlo
dall'ombra delle carte al sol dell'armi,
e vedrà tosto l mondo
più della lingua altrui
il suo braccio guerrier fatto eloquente,
non avrò dunque forza
a scior gl'indegni nodi, ond'oggi stanno
lo sfidator coi venturieri avvinti?
Carattere infelice,
che in abito di stella,
vai macchiando le sfere,
dal gran libro del cielo vo' cancellarti.
Più felice, e più fausta
del tuo lume più chiaro
giù nei campi dell'aria è la cometa.
Io movo un cielo, ed abito una sfera
più lucida, più grande, e più possente,
che non è di costui
il circolo infelice, onde si vanta.
Sì sì farò ben io, che impallidisca
l'arte delle sue voci al suon dell'armi.
Farò, che, al fiero suono
del gran timpano mio, taccian le cetre.
Intreccerò ghirlanda
di cipressi, e di lauri a quella testa,
che fu scelta dal cielo
a fabbricar felicità per voi;
ma voglio, in questo tempo,
perché sul volto stesso
venga bianco l'ardire al mio nemico
schernir gli scherni suoi, con l'arti sue.
Io vo', con modi dolci, e modi cari,
agl'imenei, che d'onorar mi pregio
trar liberati i combattenti in campo.
Vo spalancar gli Elisi, e trarne Orfeo,
perché sì dolce gorgheggiando canti,
che di perle canore un nembo sparga
sull'alma a Margherita arsa d'amore.
Compariranno intanto,
in queste care arene
tratti dal canto suo sassi guerrieri.
E benché un cenno solo
della mia deità potesse ancora
disincantar tant'altri
dalla costui malvagità ristretti,
io voglio, o spettatori,
e per vostro diletto, e per mia pompa
mover la terra, il ciel, mover il mare,
e far, che tutto quasi
il collegio divin conspiri meco
a liberar i combattenti in campo.
Scendi Venere intanto,
nume propizio, e dolce,
e favorisci pronta a' miei disegni,
e poiché ad altre prove
serbo gli dèi marini
dal profondo del mar libera l duce.
Ecco la mia ciprigna,
o come bella sorge,
or sì, che per vendetta, io son beato.
VENERE
Invocar non potevi, o dio dell'armi,
nume di me più pronto ai cenni tuoi,
or or dai falsi abissi
trarrò su queste arene il tuo gran duce.

Coro di Marte ringrazia Venere partendo.
CORO
Volate in questi accenti,
o dolcissime grazie,
perché si renda il meritato onore,
alla diva bellissima d'amore.
Fortunato campione
or ti consola, e godi,
godi ch'or or saranno
da sì beata man sciolti i tuoi nodi.

Venere cala verso il mare, e segue cantando così.
VENERE
Ei sa, s'io l'amo, e ne fan fede al mondo
mille dolcezze mie,
che, con sì caro dio lieta gustai:
né che pubbliche sian punto mi cale,
poscia, che tutti sanno,
che fiamme di vergogna,
tra le fiamme d'amor loco non hanno.
Chi più di me potea
far delle forze sue pompa nell'acque?
Io son la dèa d'amore, e nacqui in mare,
e ' premio del natale
strinsi, nel nascer mio, l'anime amanti
a dar tributo all'acque salse in pianti.
Suddita del mio foco
vive la dèa dell'acque
la bellissima Teti, essa no 'l nega;
e qui si tratta infine,
una causa comune,
il vassallo comune è prigioniero.

Qui si muterà la nube in conca, e Venere alzando la voce soggiungerà.
VENERE
Or si converta questa nube in conca.
(e poco dopo)
Sorgi dai cupi fondi infausta rocca
e spezzatevi voi
incantate catene, e resti intera
l'antica libertade al nostro duce.

Coro di Venere.
CORO DI AMORETTI
Amoretti canori
sciogliete il dolce canto,
ch'or or sciolto è l'incanto.
Cantiam, che Citerea
la bellissima dèa
nel mezzo di quest'onde
il dio dell'eloquenza oggi confonde.

Tanto si replichi questo, che sia sorta tutta la rocca col sig. duca, ed allora Venere soggiunge.
VENERE
Entra libero omai
dall'incantate soglie, in questa conca
generoso campione, anzi piuttosto,
mio novello seguace.
Chi d'amorosi lacci il cor ha cinto
portar già non dovea
di catena men degna il piede avvinto.
Se un'alma innamorata
dovea, per rea fortuna,
prigioniera, e sepolta esser nell'acque;
non era altr'acqua alla sua sorte eguale
che del pianto d'amor l'onda fatale.
(poco dopo soggiunge)
Or solchiam per diporto,
questi flutti tranquilli,
e farem nascer poi
un dolcissimo porto agli occhi tuoi.

Coro di Venere mentre solcano il mare.
CORO
Or, che gode un bel sereno,
il tuo cor già sì turbato,
di quest'acque amiche il seno,
lieto solca eroe beato.
Questo mar, se tempestoso,
se cruccioso,
fu ministro a te di noie,
or tranquillo, e dilettoso
campo sia delle tue gioie.

Nel far sorger la città di Gnido, così dice Venere.
VENERE
Per pascer gli occhi tuoi di novo oggetto,
mutisi questo lido
nella città di Gnido:
e voi canori alati,
finché sorta si veggia
adorate il natal della mia reggia.

Coro di Venere mentre sorge la città.
CORO
Questa reggia che nasce a poco, a poco
albergo di Ciprigna, e degli amori,
s'adori pur, con odorati incensi,
e sia l'affetto il foco,
e serviranno intanto,
di turibolo il cor, d'incenso il canto.

Venere, dopo sorta la città.
VENERE
Quest'è l'antica, e bella
famosissima mia città di Gnido,
là dove il mondo tutto,
e regina m'inchina, e dèa m'adora,
dopo le tue battaglie, io t'offro questa,
per fede al tuo riposo,
per reggia al tuo diletto.
Quinci usciranno or ora,
pronti i padrini, e i paggi ed io tra tanto
mentre nel mezzo all'acque,
delle tue glorie avvampo
ti do quest'elmo, e ti consacro al campo.

Tritoni vibrano un ponte d'oro al Mantenitore: perché possa salir sul lido.
TRITONI
Sovra quest'aureo ponte
generoso campion smonta sul lido.

Prima invenzione, Apollo.
APOLLO
Questa chioma di raggi,
e questo music'arco,
che saetta la morte, e questa lira,
ove l'armi del tempo
contra le glorie altrui
canora sepoltura ebber mai sempre,
mostran, ch'io sono Apollo
il gran padre de' lumi, il dio del canto.
Vivon, nel basso mondo,
consacrati al mio nome
l'aquila fra i volanti,
il lauro fra le piante,
l'elitropio tra i fiori,
e l'oro tra i metalli, è così mio,
ch'io son l'oro del cielo,
ei della terra è divenuto il sole.
Vissi, più che mai lieto
l'altr'ier, che il vostro eroe
consacrasse l'ingegno al dio dell'armi,
per divenir ben tosto
materia di quest'arco, e questa lira.
Ma Mercurio malvagio oggi s'ingegna
di distornar sì gloriose imprese.
Vengo pertanto anch'io,
generoso vicino, amico Marte,
spirito de' miei raggi
a vendicar quel torto
che t'ha fatto tra sassi il tuo nemico.
Ma nel dolce cospetto
di quel volto regale,
in cui fanno armonia mille bellezze,
io vo', che per dolcezza oggi divenga
musica la vendetta.
Spalancatevi intanto
felicissimi Elisi, e n'esca Orfeo,
che sì soave canti
che gl'incantati sassi
tirati dall'armoniche catene
passeggin questo campo,
e sul canto di lui
per ineffabil forza
della mia deità mora l'incanto.
Alle musiche prove
voi del lieto permesso
dive canore mie siate presenti.

Le Muse sul monte Parnaso prima, che Orfeo esca.
LE MUSE
Cinzio quest'è il tuo colle,
l'aura della fatica,
e de' sacri sudori
una rugiada amica
l'han fecondato tutto,
e sono i versi i fiori,
ed è la gloria al suo cultore il frutto.

Orfeo.
ORFEO
Or, ch'io torno a voi mortali,
non so per qual destino
musico peregrino
a spirar dolcemente,
sotto musiche forme aure vitali,
tornino ancora a raddolcir le fiere,
tornino ancora a intenerir le pietre,
a dar senso alle selve,
et a fermar nel maggior corso i venti,
cara cetera d'oro, i nostri accenti.
Può cantar del giglio,
che divino furor pur or m'ispira,
a celebrar col canto
di sì bel fiore il vanto.
Oggi di lui fioriti
spirano tutti i cori
primavera d'Amore.
Oggi di lui dipinti
spiran tutti i pensieri
paradisi di fiori;
per lui da mille voci
fatta canora è l'aria.
L'aure di lui son piene,
e degli odori suoi
odorata la gloria oggi diviene.
Svestitevi amaranti,
or caduchi, e caduti,
dei titoli immortali,
il bel giglio s'è fatto
sacro all'eternitate,
e quinci, con dolcissima catena,
giudizioso Amore
a fiorir sulle sfere oggi l'ha tratto.
O come il tosco cielo
gli fa ricco monile
di bellissima perla,
a cui perla simile,
non produsse giammai fondo eritreo.
Felicissimo cielo,
e voi dell'Arno avventurosi colli,
in cui tanto valor nacque, e fiorio.
Ecco, che i rozzi sassi
figli delle durissime montagne
animati di gioia,
e vivi di stupore,
per opra degli dèi,
vengono anch'essi ad inchinarsi a lei.

Qui si combatte.

Invenzione della seconda squadriglia.

Giunone.
GIUNONE
Questa veste dipinta,
di fulmini, di piogge,
di nuvoli, e baleni
mostra, ch'io son dell'aria
la regina, e la dèa
Giunon suora di Giove.
Volano nel mio regno
a far collegio i venti,
e stabilir tempeste,
per castigar talor l'ozio del mare.
Nel mezzo alla mia reggia,
i sospiri del centro
si convertono in pianti,
e tornan poscia, onde partiro in riso.
Nel mio trono sublime,
le lucide comete
hanno imparato ad emular le stelle.
Nel più basso confine
del mio spirabil mondo
insegnata dal sole Iride archeggia.
Da quell'arco si scaglia
colorita la pace agli occhi vostri;
e 'l ceruleo colore in lei prevale.
Ma non però si fidi
il malvagio Cilenio
di quell'arco di pace,
che saprò ben anch'io,
in pro del dio dell'armi,
con l'altre deità movergli guerra
ma vo' tentar intanto,
curiosa vendetta.
Tu madre veneranda
onnipotente dèa
cui tutto il mondo in Berecinto adora,
odi i miei giusti prieghi;
movi priego, deh movi
del tuo potere un cenno,
perché la dèa di Dite
la libertà dal suo Plutone impetri
ai quattro venturieri,
che in mezzo all'ombre eterne
della palude sua vivon sepolti.

Berecinzia invocata da Giunone così risponde.
BERECINZIA
Dilettissima Giuno,
poiché, la tua mercé, godo mai sempre,
sovra le care cime
di Bercinto mio puro il sereno,
con questo stesso core,
alle tue voci ascendo,
e sull'ali d'Amore
alle preghiere tue descendo a volo.

Giunone, subito, avuta risposta da Berenice, si licenzia così.
GIUNONE
Da te sperava appunto,
caro nume adorato,
alle preghiere mie fine, sì grato.
BERECINZIA
(a Proserpina)
Ecate figlia mia,
che in mezzo alle grand'ombre
della notte de' boschi, e dell'inferno
stendi adorata un triplicato impero,
ascendi a queste voci,
e i preghi miei cortesemente ascolta,
per quei dolci sospiri,
per quegli amplessi stretti,
ond'il tuo caro sposo
gode luce amorosa in mezzo all'ombre,
e sente refrigerio infra le fiamme,
deh priegalo, che sciolga
> dagl'incantati lacci
quel drappel generoso,
che vive in mezzo all'ombre
d'una antica palude oggi sepolto.
Tu sai quanta fortuna
fra le gioie d'amor trovino i prieghi.
PROSERPINA
(a Berecinzia)
Quel triplicato impero,
che, per mio dolce fato
d'esercitar m'è dato
nelle selve, nei cieli, e negli abissi
non è, non è perfetto
madre, s'ai cenni tuoi non è spoggetto.
Spenderò, col mio sposo
il valor de' miei prieghi,
e da lui spero a sì grand'uopo aita.

(a Plutone)
Pluton, se mai t'apersi,
con questi occhi sereni,
un raggio di bellezza infra quest'ombre.
Pluton, se mai gustasti
in mezzo a queste arsure
una stilla di dolce, in questo volto.
Sciogli quei lacci indegni
spezza quelle catene, ond'oggi stanno
quei cavalieri alla palude avvinti.
PLUTONE
(a Proserpina)
Dilettissima sposa,
ma più diletta amante
poiché il mio core è teco
i tuoi prieghi dolcissimi son meco.
Or or vedrai su questo nobil capo
i tuoi cenni eseguiti,
il tuo desio compito.

(e poi ai mostri)
Tartarei mostri, esecutori arditi
del mio giusto volere
presentatemi tosto, in queste arene
l'incantato drappel libero, e sciolto.
Su, che si tarda?

Berecinzia ringrazia Proserpina, e Plutone.
BERECINZIA
Se il nodo delle grazie
alberga nell'inferno
grazie vi rendo, o deità d'Averno.

Coro di Plutone prima immediatamente, che compariscano i mostri.
CORO
Vedrai tartareo dio,
in questi neri chiostri,
pronti al tuo cenno i mostri.

Qui poi compariscono i mostri coi cavalieri.

Qui si combatte.

Invenzione della terza squadriglia nella quale verranno librate in aria sei nuvolette in forma sferica, e conforme l'ordine dell'insegna de' Medici, in cima alla superiore sederà il dio d'Amore col dardo, e l'arco adorno di perle, nell'altre nuvolette saranno gruppi d'Amoretti.

Il dio d'Amore canterà così.
AMORE
Quell'io, che qui comparvi
sovra sei stelle assiso,
già volge il sesto lustro a far felice
questa terra, quest'aria, e questo cielo,
e sì beatamente
qui fermai la mia fede,
e fissai le radici,
che più che mai soavi,
in questi giorni ancora
tanta felicità produce i frutti.
Or ora queste sfere,
simboli gloriosi
di bella eternitate
io vengo, o spettatori,
io vengo a far le vostre gioie eterne.
Allor di ricche perle
coronai la faretra,
ed or di perle ancora
pompeggia l'arco, e tesaurizza il dardo,
né sapria d'altre gemme
d'altre, che di Margherite,
mostrarsi bello agli occhi vostri Amore.
E poiché quel malvagio
brutto dio de' sofismi
conturba, ed impedisce
le gioie mie, con Marte oggi comuni,
vengo a sgridar Bellona,
perché non mova anch'essa
in pro del dio dell'armi,
per confonder costui l'ingegno, e 'l braccio.
Sotto l'etnea montagna,
un drappel di guerrieri
per opra di costui viene incantato.
Perché, perché costei non gli trasporta,
velocissimamente in questo campo,
a farsi, in questo punto,
spettacolo beato agl'occhi vostri?
Su Bellona, che tardi?
CORO DI AMORETTI
Agli amorosi prieghi
del nostro dio d'Amore
china, china Bellona il ferreo core.
BELLONA
(ad Amore)
Non mi sgridar Cupido,
ch'io porto in mezzo al core,
e sovra i miei pensieri,
i gusti del mio duce,
gli onori d'Imeneo
gl'interessi di Marte, e i prieghi tuoi.
Prevenni i tuoi lamenti,
ed arrivando alla montagna etnea,
liberai con un cenno
quel drappel generoso,
e sovra un nobil carro
rapidamente spinto,
per secreta virtù di questa mano,
or per terra, or per aria,
gl'intimai la venuta a queste arene.
Cupido or udirai
i timpani forieri
di sì bramato, e maestoso arrivo.
AMORE
(a Bellona)
Gloria de' nostri strali
onor del nostro impero, aver sì pronto
alle nostre querele un cor guerriero.
BELLONA
(gli replica)
Tregua de' nostri ardori, addio addio.

Gruppo d'Amoretti con Amor partendo.
CORO DI AMORETTI
Onnipotenti strali
parole onnipotenti
a soggiogare un core
né la man, né la lingua ha il dio d'Amore.

Qui si combatte.

Quarta ed ultima invenzione.
SATURNO
Io son quel dio, che delle sfere erranti
move la più sublime,
onde il cielo stellato,
con mille bocche sue, bacia il mio cielo.
Padre degli altri dèi
mi riveria la Grecia:
nume della fermezza
m'inchinava l'Arabia.
Idol della prudenza,
mi celebrò talor l'antico Egitto.
Tardi, gelidi, e fissi
sono gl'influssi miei;
ma se fu mai, che fiamma
riscaldasse Saturno
giusta fiamma di sdegno
contra il figlio Mercurio oggi m'accende.
Il mio campione invitto
il mio gran semideo,
per servir a quegl'occhi,
in cui vagheggio il mio bel figlio, il sole,
dispose queste arene,
intimò questo campo,
ed esponendo al marziale arringo,
magnanime querele,
sì generoso scrisse,
che le scritte proposte avrebbon fatto
arrossar gli Alessandri a quegl'inchiostri.
E costui che pretende
dalle carte macchiate il suo decoro,
dalle querce abbattute onore al lauro,
strinse, con vario nodo i cavalieri,
e fin nel mezzo al mare,
e nelle stesse viscere de' mostri
il perfido incantò l'ultima squadra.
Ma tu caro Nettuno,
se del gelido impero a parte meco
vivi nel mondo, e regni,
se nelle conche tue,
preziosi natali,
e favori vitali
le belle margherite ebber mai sempre,
esci dai freddi fondi,
apri la reggia algosa,
e dal ventre de' mostri
quel famoso drappel libera omai.

Sorge Nettuno; e prima ch'egli risponda a Saturno gli Dèi marini gli cantano quest'inno.
DÈI MARINI
Per riverenza il corso
fermate in aria, o venti,
e voi per riverenza,
furibondi torrenti
arrestate sul lido,
il torbido tributo
questi di tutte l'acque è il dio temuto.
E tu la conca imperla,
leggiadra Galatea
e la pianta sabea
dalla scorza ferita,
sovra quest'acque chiare
pianga fumi odorati al dio del mare.
E voi mutoli pesci
i nativi silenzi omai rompendo,
tra questi salsi umori
divenite canori,
e dalle vostre lingue,
oda dell'acque il dio
al suo nome devoto un mormorio.
Orche voi smisurate,
vastissime balene,
qua venite, e piegate,
con un devoto inchino
le lubriche montagne al dio marino.
E tu dell'acque figlia
placidissima auretta,
nudrita alla marina,
su questi flutti inchina
il tuo volo devoto,
e chi nell'onde nacque
mormori mille lodi al dio dell'acque.
E voi ricche conchiglie,
fecondate dal sole,
che alle perle figliole
di nettare celeste
sete soavi poppe,
anzi coppiere, e coppe,
splendan più che mai belle
a questi lidi intorno,
le vostre margherite in questo giorno.
NETTUNO
(a Saturno)
Se ad un cenno del ciel si move il mare,
e 'l flutto ubbidiente
parte dal lido, e torna,
e tranquillo talora, e tempestoso
s'appiana in valli, e si scoscende in monti;
voglio seguir anch'io
l'istinto del mio regno,
e pronto a' prieghi tuoi,
padre Saturno, e dio eseguir quanto vuoi,
anzi vo', che si stenda
il confin del mio regno in questo campo.
Perché, sciolto che sia
quel drappel generoso
dagl'incantati nodi,
in questo giorno vaglia
a mover su quest'acque una battaglia.
Uscite, uscite intanto
pronti da questo lido,
o voi flutti marini,
e gli antichi confini oggi rompete,
e voi mostri crudeli,
che il gran fondo del mar muti abitate,
venite, e trasportate
liberi dagl'incanti
sovra i lubrichi dorsi i cavalieri.

Mentre queste cose si fanno, il Coro di Nettuno.
CORO
O che prove, o che prove
inusitate, e nove
del gran dio di quest'onde oggi vediamo,
cantiam, lieti cantiamo,
cantiamo lieti, e mora
in sul confin del canto
fra le musiche gioie oggi l'incanto.

Galatea allagato il salone comparisce sovra una isoletta conducendone un'altra.
GALATEA
Che prodigio inaudito,
spettacol non veduto io qui rimiro?
Dunque dei falsi regni
l'antichissima meta oggi si rompe?
Forse ai toscani legni
era confine angusto il mare antico?
O si dilata di letizia il mare,
poiché per fargli onore
una perla regal gl'ingemma i lidi?
Oppur devota onda
a sì rare bellezze amplia lo specchio
ma poiché questa parte
deve a nova battaglia essere il campo,
io Galatea, per farne
spettacolo più caro a sì begli occhi
prontissima composi
quest'isole vaganti,
per accogliere, in esse i combattenti.
Tu guerrier generoso
scendi, con franco ardire,
su questo mobil campo,
e'n quest'isola, intanto
mira, ch'a te devota
anco, in mezzo del mar vive la terra.

Qui si combatte.
Giove nel mezzo del concistoro di tutti gli Dèi, così dice a Mercurio, e Marte.
GIOVE
Divi, che insieme guerreggiando andate,
se la gloria vi stringe
in questa empirea fede,
stringavi ancora amor, stringavi fede.
Facciano amica parte
delle lor proprie glorie
e le carte alla spada,
e la spada alle carte,
e la Discordia intanto
da questo sole eterno,
precipitosamente
con le compagne sue torni all'inferno.

La Discordia con le Furie.
DISCORDIA
Pietà Giove pietoso.
DISCORDIA E FURIE
Pietà, pietà che merita perdono
chi segue nell'oprar il proprio istinto.
GIOVE
Scellerata Discordia,
e voi furie dannate
al sempiterno pianto
traete pur, traete i giorni dentro
al tenebroso centro,
e la pace beata, e 'l dolce riso
abbian ne' lieti sposi il paradiso.

Qui son precipitate.
Replica tutto il coro degli Dèi il medesimo:
CORO
Scellerata Discordia
e voi furie dannate.


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Ultimo aggiornamento 24 luglio 2020