Sestina - Lagrime d'Amante al Sepolcro dell'amata, SV 111

a 5 voci e basso continuo

Musica: Claudio Monteverdi (1567 - 1643)
Testo: Scipione Agnelli
Organico: 2 soprani, contralto, tenore, basso, basso continuo
Edizione: in Il Sesto Libro de Madrigali, Ricciardo Amadino, Venezia, 1614
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Sestina, su versi di Scipione Agnelli, fu composta nel 1600 e data alle stampe nel 1614. Essa consta di sei Madrigali dedicati alla memoria di una giovane cantatrice, Caterinuccia Martinelli, prematuramente morta. Il drammaticismo ha ormai permeato nelle intime strutture la polifonia madrigalistica monteverdiana, che risüona con accentuazioni ed espressioni tipicamente monodiche, piegandosi ad un'effusione patetica greve di sconsolata accoratezza.

Giovanni Carli Ballola

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Le innovazioni monteverdiane «che a quel tempo rappresentavano le imperfezioni della moderna musica», per dirla coll'Artusi) si rivelano invece appieno ne «Il sesto libro de Madrigali a cinque voci con uno Dialogo a Sette con il suo Basso continuo per poterli concertare nel clavicembalo e altri Stromenti di Claudio Monteverdi..»: secondo H. Prunières basterebbe questo solo frontespizio a testimoniare la fine dell'ideale polifonico, poiché «il basso continuo permette di ridurre al clavicembalo le diverse voci, lasciandone dominare una». Ma non tutti i Madrigali del «Sesto libro» hanno il «continuo»: tra quelli che ne sono privi figura il gruppo della «Sestina» Lacrime d'amante al sepolcro dell'amata che Monteverdi aveva composto nel 1610, cioè quattro anni prima della pubblicazione della raccolta. La «Sestina» è dedicata alla memoria della cantante Caterinuccia Martinelli, la «Romanina», morta nel 1608 all'età di soli diciotto anni. La piccola Caterina era stata portata a Mantova alla Corte di Vincenzo Gonzaga quando aveva tredici anni e, messa in casa di Monteverdi per essere educata alla musica, ne era diventata l'allieva prediletta. La morte la colse proprio mentre si apprestava a dar vita per la prima volta al personaggio di Arianna, figura centrale della omonima opera di Monteverdi di cui ci è pervenuto solo il celebre Lamento. Il primo di questi Madrigali (Incenerite spoglie), dove una sola voce evoca l'anima perduta mentre le altre fanno coro con un carattere quasi strumentale - per l'atmosfera armonica, per il ritmo insistente, quasi duro, desta l'impressione d'una «sinfonia funebre», impressione che i madrigali seguenti prolungano. (D. de' Paoli). Nel secondo (Ditelo voi), Glauco, l'amante vedovo, chiama i fiumi a testimoni della sua «gelida pena»; nel terzo (Darà la notte il sol) la immutabilità delle leggi della natura, per cui il sole non può splendere di notte, né la luna illuminare il giorno, viene posta a simbolo della costanza del suo duolo; nel quarto madrigale (Ma te raccoglie) sono ancora i lamenti di Glauco che vengono contrapposti alla pace in cui la Ninfa amata gode nel grembo del cielo; nel quinto (O chiome d'oro) si evocano le sue gentili sembianze mentre nell'ultimo la natura tutta viene invocata a testimone dell'angoscia dell'amante desolato. In ogni caso la qualità della musica di Monteverdi supera di gran lunga l'aulico petrarchismo dei testi e si eleva alle altezze della più pura e decantata poesia.

Roman Vlad

Testo

LAGRIME D'AMANTE AL SEPOLCRO DELL'AMATA

Incenerite spoglie, avara tomba
Fatta del mio bel sol terreno Cielo
Ahi lasso! i' vegno ad inchinarvi in terra
Con voi chiuse 'l mio cor a marmi in seno
E notte e giorno vive in piano in foco
In duol'in ira il tormentato Glauco.

Ditelo, o fiumi, e voi ch'udiste Glauco
L'aria ferir di grida in su la tomba,
Erme campagne (e 'l san le Ninfe e 'l Cielo):
A me fu cibo il duol, bevanda il pianto,
Poi ch'il mio ben coprì gelida terra,
Letto o sasso felice il tuo bel seno.

Darà la notte il sol lume alla terra
Splenderà Cintia il dì prima che Glauco
Di baciar, d'honorar lasci quel seno
Che nido fu d'amor che dura tomba
Preme: nè sol d'altri sospir, di pianto
Prodighe a lui saran le fere e 'l Cielo.
 
Ma te raccoglie, o Ninfa, in grembo al Cielo.
Io per te miro vedova la terra,
Deserti i boschi e correr fiumi il pianto.
E Driadi e Napee del mesto Glauco
Ridicono i lamenti e su la tomba
Cantano i pregi dell'amato seno.

O chiome d'or, neve gentil del seno,
O gigli de la man, ch'invido il Cielo
Ne rapì. Quando chiuse in cieca tomba,
Chi vi nasconde? Ohimè, povera terra,
Il fior d'ogni bellezza, il sol di Glauco
Nasconde? Ah, muse, qui sgorgate il pianto.

Dunque, amate reliquie, un mar di pianto
Non daran questi lumi al nobil seno
D'un freddo sasso? Ecco l'afflitto Glauco
Fa risonar Corinna il mar e 'l Cielo.
Dicano i venti ogn'hor, dica la terra:
Ahi Corinna, ahi morte, ahi tomba!

Cedano al pianto i detti, amato seno;
A te dia pace il Ciel, pace a te, Glauco;
Prega honorata tomba, e sacra terra.

(Sesto Libro de Madrigali)
(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 6 aprile 1973


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Ultimo aggiornamento 10 gennaio 1955