Questo Salmo (il testo è del CXXII, Canto dei pellegrinaggi: «Laetatus sum») fu composto da Monteverdi nel periodo del suo ufficio di maestro di cappella in San Marco, dove aveva a disposizione trenta cantori e venti strumentisti. Il lavoro si avvale di tali possibilità, essendo scritto per soli, coro, archi, fagotto, tromboni e organo. Esso fu pubblicato postumo, nel 1650, dal Vincenti, nella raccolta intitolata «Messa a quattro voci et Salmi».
A fondamento di questa composizione di stile concertato è posto un «basso ostinato» che ripete per ben 171 battute lo stesso disegno (Sol-sol-do-re), dapprima in tempo quaternario a valori uguali di semiminime (Andante), poi in tempo ternario con ritmo trocaico (Allegro), infine ritornando al tempo iniziale. Un procedimento, questo del «basso ostinato», che appartiene più al genere profano che al sacro - lo stesso Monteverdi lo usò per oltre cento battute in Zefiro torna dagli «Scherzi Musicali» - ma che indica come il Maestro, peraltro sinceramente religioso, non si attenesse alla retorica dei generi, affidandosi invece al suo libero genio inventivo.
Su tale basso si svolgono delle variazioni corrispondenti ai vari versetti: la prima è per due soprani soli e fagotto; la quarta (passaggio al tempo ternario) riunisce i vari elementi in un vasto insieme che improvvisamente si allarga alla parola Gloria con l'intervento del coro e dell'organo in un poderoso accordo di mi maggiore «unica modulazione - nota il Casella - di tutto il pezzo (particolarità che offre una impressionante identità col celebre Bolero di Ravel, anch'esso un immenso «basso ostinato» con una sola modulazione verso la fine)». Infine riprende l'«ostinato» e il Salmo si chiude in una atmosfera di solenne letizia.
Nicola Costarelli